I Sistemi Piramidali

Approfondimento: Il sistema piramidale (Ndr)

Chi di noi, soprattutto al principio della propria attività atletica, non ha mai effettuato per prova, curiosità o premura di acquisire un nuovo record personale una sessione d’allenamento basata sull’intensità progressivamente crescente e la proporzionale diminuzione delle ripetizioni?

Sin dall’inizio della frequentazione di una sala pesi, la strada tendente a far salire i carichi mediante il cosiddetto sviluppo “a piramide” viene spesso proposta ai frequentatori giovani e meno giovani e stuzzica pure atleti già esperti.

C’è una reale giustificazione alla base di questo? Vi sono solide e motivate ragioni, magari parziali e da contestualizzare che diano fondamento a tale metodologia? O trattasi viceversa di un modo di procedere approssimato e privo di condotta razionale, una scorciatoia legata a sensazioni e intuizioni per tentare di raggiungere una meta senza disperdere tempo e fatica in elaborati piani di lavoro?

Di fatto, nell’esperienza quotidiana cui si è accennato sopra, risulta trattarsi spesso di un espediente empirico rivolto più che altro ad appagare il proprio ego, lasciando atleticamente poche tracce di un illusorio raggiungimento di uno stato di forma che attesta, nel breve periodo, ciò che già si possiede ma non costruisce prodromi per il futuro.

Tuttavia è errato credere che il concetto di “carico a piramide”, da cui possono farsi scaturire tutti i sistemi attuativi di questa metodologia, abbia come unica realizzazione pratica l’ascesa lineare verso una vetta d’intensità che, forse, ne costituisce l’applicazione più conosciuta nel bene o nel male.

Poiché sono del parere che, nella maggioranza dei casi, il raziocinio e le illusioni come la verità e l’errore si mischiano, dando vita nel tempo ad una creatura diversa da quello che, in origine, si proponeva il suo seminatore o ideatore e che – d’altronde – la storia ci insegna come i progressi negli studi scientifici siano in grado di porre in discussione oggi quanto sembrava valido ieri, proviamo allora con umiltà e pazienza ad esaminare, scevri da condizionamenti esterni, quanto è stato scritto e posto in essere sull’argomento da coloro che ci hanno preceduto, fossero anche in contrasto di vedute e di responsi.

Sin dagli studi più remoti sull’allenamento della forza era chiaro che, per nostre connaturate qualità ed attitudini fisiologiche, una tensione muscolare fosse caratterizzata da impegno contemporaneo del maggior numero di unità motorie, frequenza massimale degli impulsi che le sollecitavano e ritmo sincronizzato della loro attività.

Tutto ciò senza scendere nei particolari delle differenti discipline sportive complesse.

Il sollevamento massimale o sub massimale di un carico risponde a questi requisiti, perché la velocità raggiunge rapidamente il valore ottimale per poi proseguire a velocità costante (Hebestreit, 1934); al contrario, il prolungarsi del lavoro ed il rallentamento della curva di velocità – con l’intervento di diversi meccanismi energetici – induce i muscoli antagonisti a partecipare nel tempo al lavoro stesso, con opera di stabilizzazione, dunque a rinforzarsi a scapito di quelli deputati all’azione concentrica e favorendo in tal modo la fase di resistenza (Vacholder, 1928).

Se però questi assiomi parevano dimostrare che l’allenamento della forza non avrebbe avuto successo senza l’impiego di carichi massimali, altri studi sottolineavano come sul piano energetico fosse da evitare un lavoro fino all’esaurimento, nel mentre – in apparente contraddizione – si rendeva necessario ripetere sforzi massimali in numero maggiore nel piano di allenamento.

Le attenzioni furono pertanto indirizzate verso lo studio di metodiche che permettessero un progressivo e costante avvicinamento ai carichi alti, senza che tuttavia ciò conducesse ad un superlavoro coinvolgente per un tempo prolungato il sistema nervoso, stressandolo oltre misura e creando i presupposti di un inevitabile quanto repentino stallo delle prestazioni massimali.

Il tentativo più vecchio del quale si abbia traccia nel programma di un’applicazione a base piramidale è quello effettuato dal capitano Thomas De Lorme, a cui si attribuisce infatti la paternità del primo sistema piramidale moderno documentato, pubblicato e riferito all’allenamento della forza resistente.

De Lorme, nell’ormai lontanissimo 1945 appena dopo la conclusione del secondo conflitto mondiale, progettò un ciclo di allenamento lungo 8 settimane, che intendeva proporre come parte dell’esercitazione militare. Esso comprendeva un prologo preparatorio di 2 settimane ed una successiva fase specifica di 6.

Le sessioni, ripartite in 3xweek, avevano il seguente schema generale:

1° fase)
I settimana

  1. 50% 10RM x5reps + 75% 10RM x5reps x 3sets,
  2. 50% 10RM x5reps + 75% 10RM x5reps x 4sets,
  3. 50% 10RM x5reps + 75% 10RM x5reps x 5sets;

II settimana

  1. 5×50%10RM + 5×75%10RM + 5×100%RM x 2sets,
  2. 5×50%10RM + 5×75%10RM x 7sets,
  3. 5×50%10RM + 5×75%10RM x 5sets;

2° fase)

  1. n serie x 5×50%10RM + 5×75%10RM + 5×100%10RM,
  2. n serie x 5×50%10RM,
  3. n serie x 5×50%10RM + 5×75%10RM.

L’autore in seguito aggiunse varianti precipue per obiettivi diversi e, tra queste, quelle riferibili al parametro forza che più ci interessa ma il primo schema stilato resta agli atti come antesignano della metodica del piramidale.

È chiaro che oggi uno schema così asciutto ed elementare può apparirci perfino semplicistico e cionondimeno, rapportato all’epoca, avvalorava studi fino ad allora soltanto teorici e creava le premesse per successive e più articolate razionalizzazioni del metodo in esame.

Alcuni anni dopo, nel 1951, Zinovieff tentò di rendere più strutturato lo schema in parola e ancor di più fece Wilmore con un primo esempio di progressione inversa (di cui parleremo dopo), inserendola nell’Oxford Technique, metodo tutto sommato piuttosto complesso.

Nel tempo si sono quindi succedute varie sperimentazioni di piramidali semplici, a sostanziale modifica di quelli che ne erano stati i precursori, poiché il concetto di crescita del carico all’interno della seduta di allenamento, accompagnato da una diminuzione del numero delle ripetizioni, ben si confaceva ad un allenamento concreto, stimolante e di facile realizzazione anche in situazioni e logistiche sfavorevoli.

Così Steve Holmann ricorda uno schema di piramidale di 7 serie per atleti in mesociclo di forza (1×12 – 1×10 – 1×8 – 1×6 – 1×4 – 1×2 – 1×1/2), mentre il Dott. Di Pasquale – powerlifter, campione del mondo di bench press ed esperto di medicina sportiva – era solito applicare una formula più concentrata: partiva dal proprio 5 rm stabile x 5 reps e progrediva di un 2/3% in ogni serie, scalando nel contempo una ripetizione; in tal modo la sequenza 5/4/3/2/1 lo vedeva concludere il wo con un carico in aumento ma inferiore al proprio massimale assoluto. Nella seduta successiva e speculare (ossia quella analoga del microciclo successivo) aumentava leggermente i carichi di ogni serie.

In effetti l’obiettivo della metodologia alla base del piramidale è quello di portare l’intensità a livello massimale, sia nell’ambito della singola unità di allenamento che nel microciclo, in un volgere di tempo sufficientemente breve per raggiungere lo stato di forma ottimale.

Il lavoro si sviluppa pertanto in senso verticale, con ridotto numero di serie (perlomeno percentualmente a quello complessivo previsto dal wo). I principi fondamentali sono: scarsa quantità, alta intensità, recuperi via via più ampi tra le serie man mano che si raggiungono i carichi più elevati.

Un sistema di questo tipo, dunque, trova impiego per riacquistare velocemente uno stato di forma perduto, per inattività o infortunio; per raggiungere un picco nella performance durante un periodo agonistico tra competizioni ravvicinate, che abbiano in ragione di ciò indotto ad un precedente scarico; come mantenimento e consolidamento di un livello già acquisito di forza, purché in precedenza sia stato svolto un adeguato lavoro di base con il metodo degli sforzi ripetuti (repetition effort), volto a costruire la massa e la struttura fondamento del successivo sviluppo apicale.

Può, inoltre, essere utilizzato con successo da atleti giovani, già in possesso di buona tecnica e che abbiano conseguito confortanti risultati ma che tuttavia per curriculum, anagrafe ed esperienza possano aspirare ad un progresso e ad incrementi cospicui e stabili nell’immediato.

Quello che conosciamo come fulcro del piramidale moderno è sostanzialmente dovuto allo schema ad “albero di Natale” dei rapporti intensità/ripetizioni elaborato da Zaciorskij – con fini di studio peraltro del tutto diversi dalla progettazione di un sistema di preparazione con procedura piramidale – e poi riprodotto con ampie modifiche e in fattispecie mirate da Dietrich Harre, Direttore Tecnico e guru della preparazione atletica nelle nazionali della ex DDR.

La scaletta, arcinota in tutti i settori della scienza dell’allenamento, è la seguente (con i dovuti aggiustamenti per singole discipline, esercitazioni e individualità):

  • 100% = 1 alzata = carico massimale
  • 90% = 2/3 rep. = carico sub massimale
  • 85% = 4/5 rep. = carico molto elevato
  • 80% = 6/7 rep. = carico elevato
  • 75% = 8/9 rep. = carico medio elevato
  • 70% = 10/12 rep. = carico medio
  • 65% = 13/16 rep e oltre = carico medio debole
  • 55/60% = 16/20 rep e oltre = carico debole
  • 50% ca. e inf. = 25 rep e oltre = carico molto debole

Chiaramente la rispondenza delle ripetizioni alle intensità stabilite risulta tanto più veritiera con i carichi alti, quanto più approssimata e legata a vari fattori di morfologia, specialità e curriculum con i carichi medi e ancor più con quelli ridotti tipici del lavoro di endurance.

Peraltro lo stesso Zaciorskij, nel ’66, ebbe modo di esprimere valutazioni critiche del metodo piramidale, sottolineando come la base della piramide è rappresentata dal tipo di intensità raggiungibile con maggior efficacia tramite il metodo degli sforzi ripetuti, siano essi rivolti alla forza resistente o alla resistenza in senso propriamente detto; all’opposto, il vertice della piramide è comunque allenabile con sistematiche proprie dell’esclusivo lavoro massimale (il maximal effort eseguibile o meno su gli esercizi di gara), senza quindi che appaia necessario ricorrere ad una sintesi allenante, quale quella che si vorrebbe offerta dal metodo di preparazione piramidale puro.

In quest’ultima ipotesi potrebbe infatti verificarsi che l’atleta, sapendo di dover compiere sforzi massimali e giustamente allettato da questi, risparmi l’impegno nella prima fase di lavoro a percentuali basse e maggior numero di ripetizioni, rendendo di fatto inutile e poco economico il lavoro; oppure, concentrandosi generosamente nel rispetto di quanto previsto in tabella sulla prima parte dell’allenamento, paghi dazio ed arrivi agli sforzi massimali in condizione di scarsa freschezza atletica.

Dunque – conclude Zaciorskij – sembrerebbe più proficuo invertire la piramide, rovesciando un lavoro piramidale classico nel suo esatto opposto: 1×100% – 1x3x90/85% – 1x5x80% (così, a titolo esemplificativo).
Dopo di lui, altri arrivarono alle medesime conclusioni in circostanze e pianificazioni diverse: Leighton nel ’67, il menzionato Wilmore, Mc Donagh nell’84, Fleck e Kramer nell’87.

Proprio il già citato Harre propose uno schema da 1×95/100% – 2x2x90% – 3x3x85%.

Con dette varianti lo scopo sarebbe quello di affrontare i carichi massimali o sub massimali all’inizio, in condizione di freschezza dopo il necessario warm up e proseguire con il metodo degli sforzi ripetuti ad intensità inferiori per aumentare la quantità ed incidere, in tal modo, sul volume complessivo.

Volendo pertanto riepilogare le più note applicazioni pratiche del metodo piramidale – catalogandole in gruppi per modalità esecutive – e senza la pretesa di stendere periodizzazioni per questi sistemi, potremmo delineare il quadro che segue con esempi annessi.

Piramidale classico :
progressione lineare semplice,
5×75% – 4×80% – 3×85% – 2×90% – 1×95%;

Piramide tronca :
rivolta a sport di forza resistente,
8×60% – 7×65% – 6×70% – 5×75% – 4×80%;

Piramide irregolare:
dove non c’è progressione completa e fissa nel range delle reps e nei relativi intervalli tra esse,
12×55% – 10×60% – 8×70% – 6×75% (o 5×80%) – 3 o 4×85/90% – 1×95%
(con le varianti alternabili nelle sessioni);

Piramide inversa :
varie applicazioni tra piramidi rovesciate semplici e irregolari,
1×95% – 3×85% – 4×80% – 6×75% – 8×70% con recuperi maggiori all’inizio e ridotti al termine;

Piramide rafforzata :
variante molto faticosa che consiste nell’aumentare talune serie, sporadicamente, sulla medesima intensità al fine di incrementare il tonnellaggio,
es. 1×95% – 2x2x90% – 2x3x85% – 2x4x80% – 3x6x75% – 2x8x70%;

Piramide a ripetizioni costanti :
ottima per atleti razionali e metodici in discipline di grande concentrazione,
2x2x95% – 2x2x90% – 2x2x87% – 2x2x85% – 2x2x83%;

Doppia piramide :
buon compromesso tra forza massimale e lavoro ripetuto,
4×80% – 3×85% – 2×90% – 2x1x95% – 2×90% – 3×85% – 4×80%;

Piramide inversa ad espansione di serie :
(la mia preferita)
2x1x95% e oltre – 3x2x85/90% – 4x3x80/85% – facolt. 5×4/5×70-75%

Piramide a base larga :
consigliabile per lavori lattacidi e di endurance,
16×50% – 14×55% – 12×60% – 10×65% – 8×70% – 6×75%;

Piramide a base stretta:
come la piramide irregolare ma con l’inizio inoltrato alla serie da 7 o 8 reps.

Esistono poi sistemi che prevedono l’impiego del piramidale all’interno della stessa serie 

Piramide a carico discendente nella serie:
metodo che somiglia a quello degli “scarichi”, tipico del BB, prevede di scaricare il peso dopo ogni rep. proseguendo senza recupero ed effettuando comunque una singola alzata, per complessive 5-6 ripetizioni.
Il numero delle serie utilizzato varia, secondo il livello dell’atleta, da 4 a 8 e i recuperi possono arrivare a 7/8′ ed oltre tra le serie.
Es. 1 set x5 ripet. con 1×95% – 1×90% – 1×85% – 1×80% – 1×75%;

Piramide a carico ascendente nella serie:
molto diffuso ma forse di scarsa praticità, può essere utile per atleti poco abituati allo sviluppo dei carichi e per alcune tipologie di lavori ipertrofici.
Es. 1 set x 10/12 ripet. con 3×50% – 2×60% – 1×70% – 2×60% – 2/4×50%;
un’altra variante sul tema:
1×5 con 2×75/80% – 1×90% – 2×70%

Anche in questo caso mi sono state fatte alcune domande che lasciano lo spazio ad alcune considerazioni e approfondimenti, ovvero sul rapporto piramidale inverso/diretto e la loro utilità e parlando di Zaciorskij su come la base della piramide sia rappresentata dal tipo di intensità raggiungibile con maggior efficacia tramite il metodo degli sforzi ripetuti, siano essi rivolti alla forza resistente o alla resistenza in senso propriamente detto.

Sappiamo che nell’esplicazione di un lavoro atletico il nostro corpo agisce, a grandi linee, mediante tre principali meccanismi energetici : (a tal proposito si legga l’articolo relativo al TUT – Time Under Tension - Ndr) quello anaerobico alattacido dell’ATP, quello anaerobico lattacido e quello aerobico, con tutti i possibili distinguo e le connessioni che possono ovviamente essere interposti nella definizione sommaria di dette classificazioni.

Al tempo stesso sappiamo di poter sfruttare diverse qualità muscolari, quali la velocità, la forza, la potenza, la resistenza, la reattività, l’esplosività, la flessibilità ecc. che, di fatto, non sono poi soltanto muscolari ma agiscono sinergicamente con implicazioni di altre funzioni e caratteristiche strutturali e organiche (nervose, tendinee, articolari, cardiocircolatorie, polmonari e via dicendo).

Alcune delle attività dipendenti dalle ricordate qualità muscolari si verificano esclusivamente all’interno di precisi meccanismi energetici: è il caso della velocità pura o della potenza (forza nell’unità di tempo), che hanno luogo solo in fase anaerobica alattacida; altre invece, come le attività di forza in generale, possono svilupparsi nell’ambito di più di un meccanismo.

Possiamo quindi parlare di forza veloce, di forza massimale e di forza resistente, per indicare delle attività con caratteristiche diverse, dove tuttavia le qualità di forza – siano esse in regime di ATP (per es. il massimale di un pesista o lo scatto di un centometrista) oppure di lavoro lattacido (le prese di un lottatore) – restino pur sempre preponderanti; allorché però il lavoro prolungato varcasse quella soglia limite per cui si estrinseca in presenza del lattato per proseguire in fase aerobica, a quel punto non potremmo più parlare di resistenza alla forza o forza resistente ma di resistenza vera e propria o di endurance (i confini, in dottrina, sono molto sottili).

Ora abbiamo visto come la metodologia del “piramidale” – introdotta da De Lorme con un programma fondamentalmente rivolto alla forza resistente – aveva, all’origine, come caratteristica comune quella di iniziare da un’intensità bassa o moderata (perlomeno in relazione a quella finale) e proseguire in crescendo fino ad un’intensità elevata o massimale.

In conseguenza di ciò e sfruttando tale filosofia, i sistemi con i quali si è operato per attuare il metodo piramidale sono risultati i più svariati. Alcuni, come il piramidale forse più comune (utilizzato poi da De Pasquale), partivano da una serie di 5 reps. per giungere alla singola; altri, come nell’esempio del piramidale tronco o in quello riportato da Holmann, iniziavano con serie da 8 o da 12 per arrivare alla fine con una singola o per interrompersi alla serie da 4; altri ancora, come quello descritto da Andrea Umili della piramide larga, avevano un range di lavoro tra le 16 e le 6 ripetizioni.

È evidente come non soltanto le caratteristiche ma soprattutto le finalità di ciascun sistema tra quelli descritti e basati sul concetto di piramide fossero estremamente diverse tra loro, poiché sicuramente rivolte ad atleti e situazioni sportive ben distinte o addirittura diametralmente opposte.

Pertanto e partendo dal presupposto di voler utilizzare il metodo piramidale, avrò dinanzi a me alcune alternative ben precise: opterò per un certo sistema, se mi rivolgo ad un pesista che abbia in obiettivo uno sforzo massimale concretizzabile in una singola alzata; sceglierò invece una seconda applicazione, se alleno uno strongman dotato di forza straordinaria, che tuttavia la esplica in un lasso di tempo maggiore ed a cui interessa trasportare o resistere ad un carico eccezionale per “n” tempo, in confronto al suo avversario, piuttosto che aumentare il peso anche solo di una libbra; preferirò d’altro canto un’ulteriore tipologia se, con il piramidale, volessi allenare un BB in regime lattacido a scopo ipertrofico; infine, ancora un altro sistema, se il mio è un atleta resistente a cui interessino ondulazioni nell’intensità dei carichi o magari un giovane da sottoporre ad una preparazione fisica generale.

In questo senso si inserisce la disamina critica di Zaciorskij.

Egli aveva elaborato la cosiddetta “piramide delle intensità” per fissare dei parametri grazie ai quali potersi orientare, in ragione della disciplina sportiva cui si mirava, sulle percentuali di carico più idonee, sul range di ripetizioni più adatto, sul recupero più congruo.

Non riteneva però opportuno affrontare in unica seduta l’intera scala delle opzioni.

Sostanzialmente lo studioso sosteneva: se l’obiettivo è uno sforzo prolungato (resistenza) o di forza resistente, per il quale si giustifica il range di ripetizioni identificabile nella base della piramide in ascesa, allora perché proseguire con un diverso lavoro ad intensità maggiore e così alta?

Sembrerebbe preferibile, perché più economico in termini sportivi, scegliere il metodo del lavoro ripetuto (repetition effort) e concentrarsi solo su esso, dopo aver individuato il numero o il range di reps necessario alla bisogna; se viceversa si tratta di specialità con implicazioni di sforzi massimali, arrivare ad essi avendo eseguito diverse serie a sostenuto impegno energetico è controproducente all’obiettivo finale; pure nell’eventualità che la disciplina comprendesse contestualmente sforzi sub massimali ed altri ad intensità moderata, parrebbe ugualmente più consono allenare, rispettivamente, ciascuno di essi in sessioni (unità di allenamento) separate, così da poter recepire il meglio da ogni seduta svolta con oggetto mirato e concentrato.

Cionondimeno – concludeva – anche volendo ricondurre l’attuazione del piramidale all’ipotesi di un’attività atletica che preveda sforzi ad intensità diversa e oscillante, da effettuare perciò senza soluzione di continuità o, comunque, nel volgere di un tempo ristretto – il che giustificherebbe appieno l’introduzione di un sistema di allenamento misto – la soluzione più coerente sembrerebbe quella di rispettare i parametri fisiologici della successione temporale dei meccanismi energetici, rovesciando la piramide e lavorando (dopo, beninteso, il necessario riscaldamento), secondo la consecutività: forza max – sub max – forza elevata e resistente – endurance, ossia 1/2-3/4-6/8 ecc.

In riferimento all’utilità del piramidale diretto\inverso, fondamentalmente credo che si debba sempre tener presente il fine ultimo e prioritario del nostro allenamento o dell’atleta che alleniamo.

Pertanto, se l’obiettivo è una disciplina di forza pura, dove abbia un senso allenare proprio la forza massimale e ci si trovi in periodo non estremamente lontano dalla stagione agonistica, mi trovo senz’ombra di dubbio d’accordo con Zaciorskij, Harre, Wilmore e Gilles Cometti.

Vale a dire: l’allenamento su sforzo massimale o sub massimale (qualora necessario) dovrebbe avere la precedenza (dopo il necessario warm up), perché coinvolge delle unità motorie nonché globalmente il sistema nervoso centrale in una misura e percentuale tali da non poter altrimenti usufruirne anche solo pochi minuti dopo.

Se del resto sono consapevole che il mio ATP mi concede 6/8” di autonomia per lo sfruttamento massimo, non posso certo coinvolgerlo adeguatamente dopo un 5×85% .

D’altra parte una volta effettuato il lavoro di forza massima, esplicatosi in pochissimo tempo e lasciato ad energie prevalentemente mentali e nervose, sono ancora abbastanza in grado di concentrarmi per svolgere un lavoro tecnico specifico su pesi elevati che, comunque, non potrei rimandare ulteriormente, pena la stanchezza subentrante; dopo di tutto ciò, meno lucido e meno reattivo, potrei ancora essere sufficientemente fresco per un lavoro di forza generale o resistente; poi, esaurite anche quelle riserve e magari leggermente contratto, potrei ancora prolungare il lavoro di resistenza globale il quale, proprio perché fondato sulla capacità di resistere, potrebbe regalarmi un aumento di tonnellaggio e volume complessivo.

È evidente che trattasi di un esempio limite per indicare un teorico ordine di priorità; non è da prendere come riferimento assoluto per esplicare sempre e comunque tutta l’attività descritta nel complesso in un’unica seduta allenante.

Alla luce di quanto sopra e per scendere sul piano pratico, potrei descrivere – sempre a titolo esemplificativo e non per imitazione – un piano di lavoro generico eseguito da uno dei miei ragazzi nello stacco da terra.

  1. Warm up e attivazione progressiva raw
  2. 2×1 full geared a percentuali crescenti nei microcicli,
  3. 2/3×2 parz.te geared di lavoro specifico di stacco deficit,
  4. 3/5×3 raw a percentuali medio elevate,
  5. 4/5 rematore bilanciere da 5/6/8 reps.

La logica, pur chiaramente non rispondente ad un piramidale classico, risente tuttavia di alcune linee guida ad esso assimilabili.

Ovviamente qualora lo scopo prefisso sia invece quello di allenare un atleta ad un’attività di tipo lattacido e/o ipertrofico oppure ad una disciplina con tempi prolungati ecc – tutte finalità in cui mi sono imbattuto ma molto più sporadicamente – a quel punto sia il classico piramidale crescente, così come la piramide tronca o la doppia piramide tronca (12 – 10 – 8 – 6 – 8 – 10 – 12), potrebbero avere molte più ragioni di essere preferite e rivelarsi scelte azzeccate e funzionali.

Dunque e come al solito: est modus in rebus (….che naturalmente non vuol dire che …c’è sempre un modo per risolvere i rebus! )

Sperando di essere riuscito ad evadere tutti i quesiti.

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