Questo articolo è stato proposto da Giovanni D’Alessandro moderatore nel nostro Forum, in questo messaggio, con il nickname di Tonymusante. Giovanni è nato a Roma il 20/12/1962; pratica sin dall’infanzia diverse discipline sportive tra cui, a livello agonistico, atletica leggera e biathlon atletico, nel quale è stato al vertice per molti anni vincendo titoli e criterium nazionali.

Tempo fa mi ero assunto l’impegno di dedicare un thread alla distinzione tra i concetti di carico esterno e interno, che in realtà trascendono gli aspetti specifici dello sport dei pesi per coinvolgere realtà sportive molto più vaste ma il cui significato, mi era parso di capire, fosse confuso o distorto tra i non addetti ai lavori (ma forse pure in quell’ambito ).

Nel topic differenze tra l’allenamento del bodybuilding e del powerlifting, aperto nella sezione Programmazione e Pianificazione dell’allenamento, era infatti stato svolto da un utente il seguente ragionamento:

. . . provando a dire a parole mie, direi che per il powerlifter interessa maggiormente l’aumento del carico esterno, in questo caso, siccome gli esercizi del Powerlifting sono multi articolari, il carico interno verrà suddiviso nei vari gruppi muscolari che vengono coinvolti, mentre nel Body building interessa maggiormente il carico interno, quindi l’isolamento muscolare, aumentando il più possibile il carico interno su un determinato muscolo, invece di distribuirlo come appunto fa il Powerlifter.

Pare che le asserzioni di cui sopra fossero dovute alle definizioni di carico esterno e interno fornite da un relatore del settore su di una board tematica specifica e/o durante qualche meeting o seminario.

Ora, fermo restando che non possa ovviamente escludersi che il messaggio del relatore anzidetto sia stato travisato o male interpretato, sia nella fese di ricezione dello stesso sia poi in quella di successiva trascrizione sul forum, mi preme tuttavia soffermarmi su questo argomento per una disamina di alcune considerazioni attinenti alla tematica in questione, che ha rappresentato uno dei capisaldi della moderna scienza dell’allenamento sportivo e che, di fatto, nulla ha a che vedere con eventuali differenze di preparazione tra il bodybuilding ed il powerlifting, atteso che investe viceversa l’intero ambito della preparazione di gran parte se non tutte le discipline atletiche.

Il concetto di carico di allenamento è stato ampiamente e brillantemente affrontato, ben oltre 40 anni fa, da Dietrich Harre – uno dei precursori dell’allenamento sportivo in ottica scientifica, celebre studioso e professore all’Università di Lipsia e preparatore nella ex Germania Est – in una fortunata opera, poi tradotta in svariate lingue e replicata in più edizioni: Trainingslehre, nell’originale tedesco, giunta poi in Italia con il titolo di Teoria dell’allenamento.

Harre – o per meglio dire l’intero collettivo di autori da lui diretto – fonda praticamente tutto il suo scritto su i principi del carico di allenamento, affermando che la capacità di prestazione è sviluppata principalmente dagli stimoli del movimento; se detti stimoli sono dosati in maniera da determinare un effetto allenante e quindi da contribuire allo sviluppo, mantenimento e consolidamento dello stato di allenamento, parliamo di carico di allenamento.

Prosegue quindi operando una distinzione tra carico esterno e carico interno, in particolare:

Il carico esterno è determinato dall’entità e dall’intensità degli stimoli costituenti il carico nonché dalla densità, dalla loro durata e frequenza.

Pertanto, seguendo Harre e poi i principali studiosi della materia, potremmo considerare il carico esterno come l’insieme degli stimoli allenanti somministrati all’atleta a seconda della disciplina praticata: i chilometri ed i tempi di percorrenza, i chili da sollevare, il numero (ripetizioni) e le serie dei gesti motori da compiere, i tempi di recupero, le misure da raggiungere o valicare; essa è di conseguenza una realtà oggettiva, misurabile e quantificabile secondo grandezze matematiche e convenzionali.

Il carico interno è invece rappresentato dalla reazione funzionale individuale dell’atleta al carico esterno, sia sul piano fisico che psichico e contraddistingue il grado di percezione dello sforzo, ovvero quanto ed a che livello lo stressor e lo sforzo siano stati accusati e considerati tali, di modo che la grandezza e l’intensità del carico interno sono prettamente soggettive ed a se stanti, benché influenzate dalle singole componenti di quello esterno.

Per i motivi su esposti, ad identica somministrazione di carico esterno non sempre corrisponde la medesima misura di carico interno: alle condizioni che possono modificare quest’ultimo appartengono dunque i momentanei stati fisici e psichici dell’atleta, le condizioni di impianti e attrezzature, i fattori metereologici e – secondo Mathesius – pure fattori sociali, quali i rapporti atleta/compagni di squadra e atleta/allenatore.

L’adattamento, cui essenzialmente si mira con la preparazione atletica e che ne dovrebbe conseguire qualora il processo di allenamento abbia un corso auspicabile e regolare, è l’organizzazione dei sistemi funzionali fisici e psichici che si verifica sotto l’influenza di carichi esterni per ottenere un più elevato livello di prestazione e la disposizione quindi a condizioni esterne specifiche.

Tra carico ed adattamento esistono rapporti ben precisi, che Harre e Matwejev (quest’ultimo in altra sede) enumerano e descrivono minuziosamente ma che in questo contesto mi pare troppo dispersivo trattare.

Limitiamoci a sottolineare che le componenti fondamentali del carico esterno d’allenamento e cioè dello stimolo allenante, possono essere così riassunte e definite:

Sarebbe però un errore predisporre un protocollo di allenamento basato esclusivamente sulle conoscenze del tecnico, per quanto di elevato livello scientifico e benché corroborate da valutazioni empiriche sul campo ma tuttavia limitate alla costruzione e ciclizzazione del carico da assegnare, senza ascoltare e verificare lo stato di assimilazione dello stesso, la sua tollerabilità ed il gradimento da parte dell’atleta destinatario.

Per un ottimale orientamento in ordine al carico da somministrare ed una costruzione razionale dei microcicli di allenamento, infatti, è necessario che l’allenatore sia informato sulla situazione inerente al carico interno, ovvero quello percepito e gravante su colui che è chiamato a raggiungere la prestazione.

Nella pratica quotidiana è possibile fare una sommaria valutazione del carico interno in relazione ai sintomi di stanchezza mostrati, come anche in base al decorso ed al ritmo del recupero.

Buoni effetti allenanti li provoca un carico atto a produrre un intenso affaticamento, dopo il quale tuttavia l’atleta dovrebbe ancora essere in grado di proseguire fisicamente e mentalmente una giornata lavorativa o di avere un buon rendimento scolastico e di studio; inoltre, dopo 24/48 h. dovrebbe essere capace di proseguire il programma di allenamento senza sforzi evidenti ed eccessivi.

Lo scopo del thread era semplicemente quello di fornire alcuni chiarimenti sulle importanti differenze tra i concetti terminologici di carico esterno e interno come sviluppatisi, nel corso di decenni, in dottrina sportiva ed indipendentemente dalle specialità dei pesi.

Comunque, avendo introdotto e presentato l’opera di Harre, se il tema ha riscosso interesse posso postare a puntate altre discussioni sportive sempre inerenti alla teoria dell’allenamento sportivo del menzionato maestro.

Goodlift