Regime alimentare

È bene riconoscere che per enfatizzare la perdita di grasso corporeo non possono essere valutate solo le modalità di allenamento fisico, in quanto anche l’impostazione alimentare è in grado di enfatizzare, oppure ostacolare o inibire tali processi, ad esempio, in base alla natura dei macronutrienti, o al timing (la tempistica) di assunzione di alimenti o integratori.

Anche se un allenamento venisse svolto nelle zone di intensità in cui avviene un maggiore dispendio di grassi totale o in percentuale, l’eventuale ossidazione di lipidi viene compromessa dall’assunzione di glucidi prima o durante l’attività stessa, spostando il metabolismo verso l’ossidazione di glucidi e inibendo l’ossidazione di lipidi in buona parte dei casi.

Per tanto, tra due soggetti che svolgono un’attività aerobica nella loro zona lipolitica individuale, l’atleta che segue una dieta ricca di carboidrati, o che prima e/o durante l’attività assume un integratore o un cibo ricco di carboidrati, probabilmente subirà una significativa inibizione dell’ossidazione di lipidi durante l’attività a favore dell’impiego di carboidrati, al contrario dell’atleta che non segue una dieta ricca di carboidrati, o che non li assume in prossimità dell’attività stessa. L’effetto inibitorio dei carboidrati assunti in prossimità dell’esercizio aerobico sulla soppressione della mobilizzazione e impiego di grassi durante l’esercizio è maggiore nei soggetti non allenati o moderatamente allenati rispetto ai soggetti allenati durante l’esercizio a moderata intensità, ma è analogo tra le due categorie durante l’esercizio a bassa intensità.

Il regime alimentare influisce sia sulla performance che sull’impiego dei substrati. Nonostante l’impiego di lipidi possa essere prevalente in un’attività aerobica, spesso non viene considerato che l’assunzione di alimenti calorici riesce ad alterare significativamente questo risultato. È stato riscontrato che il massimo consumo di lipidi durante l’attività di endurance è favorito da una dieta a basso tenore di carboidrati a favore di lipidi e proteine.

Questo naturalmente impone una riduzione dell’intensità e della durata dell’esercizio, oltre che a una riduzione delle riserve di glicogeno. Al contrario, una dieta ad alto tenore di carboidrati impone un ridotto impiego di lipidi durante l’attività a favore dei glucidi, e incrementa le prestazioni e la durata, grazie alla maggiore disponibilità di glucosio e anche alle maggiori scorte di glicogeno.

Un emblematico studio di Burke, ad esempio, constatò che 5 giorni di dieta ricca di grassi più esercizio aerobico portarono i soggetti ad un aumento di più del doppio dell’ossidazione di gassi durante l’esercizio a moderata intensità rispetto ad una dieta ricca di carboidrati. Sebbene l’assunzione di carboidrati prima e durante l’esercizio aggiunga un substrato esogeno al corpo, è stato ampiamente constatato che questa strategia sopprime la mobilitazione degli acidi grassi nel plasma e la loro ossidazione.

Ad esempio, l’assunzione di bevande a base di glucidi durante l’attività aerobica, sebbene favorisca un miglioramento della prestazione, e una riduzione dell’utilizzo del glicogeno muscolare, determina anche una riduzione dell’ossidazione di lipidi. Infatti l’alta disponibilità di carboidrati prima dell’esercizio aerobico è associata ad un incremento del glucosio ematico e della concentrazione di insulina, che causa una soppressione della lipolisi del tessuto adiposo e quindi della disponibilità di FFA a favore della glicolisi.

L’incremento delle concentrazioni di glucosio hanno mostrato ridurre l’ossidazione di lipidi inibendo direttamente il trasporto di FFA nelle membrane mitocondriali. Sembra che i carboidrati giochino un ruolo fortemente inibitorio sulla lipolisi: la mobilizzazione dei lipidi è meno influenzata dalla stimolazione catecolamine-dipendente dei recettori beta-adrenergici (data dall’attività fisica), che dalla diminuzione dell’insulina plasmatica (data dall’ingestione di carboidrati). In conclusione, l’assunzione di cibi o integratori glucidici prima e/o durante l’esercizio tende ad inibire la mobilizzazione e l’impiego dei lipidi a favore dei glucidi. Tuttavia, questo effetto può variare in base al grado di allenamento del soggetto.

Il meccanismo inibitorio indotto dai carboidrati avviene sempre a basse intensità, ma se nei soggetti non allenati e moderatamente allenati avviene anche a moderate intensità, questo tende a non verificarsi nei soggetti ben allenati a moderate intensità. L’ossidazione inoltre viene maggiormente ridotta con l’assunzione di carboidrati ad alto indice glicemico (IG), rispetto a carboidrati a basso indice glicemico. Queste conclusioni non sorprendono, in quanto è risaputo che anche in stato di riposo (assoluta prevalenza del metabolismo aerobico) e carenza di glucidi, il muscolo scheletrico e cardiaco possono arrivare ad utilizzare per l’80 % lipidi a scopo energetico.

Tuttavia, in seguito all’elevato stimolo insulinico indotto dall’assunzione di carboidrati, il muscolo scheletrico e cardiaco esprimono una preferenza per l’utilizzo di glucosio piuttosto che degli acidi grassi all’interno dei processi aerobici, intensificando quindi la glicolisi. L’insulina ha inoltre un ruolo nella soppressione dei processi lipolitici, inibendo quindi gli ormoni e gli enzimi deputati a questo compito.

L’origine del mito

A parte le rilevanti variabili dettate dall’alimentazione, il grado di impiego di lipidi durante l’esercizio è dipendente dall’intensità. Più bassa è l’intensità, maggiore è la percentuale di grasso depositato che viene utilizzato come combustibile. Maggiore è l’intensità, maggiore sarà in proporzione l’utilizzo di glicogeno e/o dei fosfati muscolari (ATP, CP). Proprio qui nasce il fraintendimento.

Il buon senso dovrebbe rendere evidente che, anche se si sta ossidando una maggiore percentuale di grasso accumulato, gli sprint avrebbero un maggiore impatto sulla riduzione del grasso nonostante il minore utilizzo proporzionale di grasso per sostenere la maggiore intensità. Sono state condotte sufficienti indagini sulla soglia di intensità massima in cui viene massimizzata l’ossidazione di lipidi. Una ricerca emblematica di Achten e Jeukendrup (2004) trovò che il picco di ossidazione di lipidi avviene ad un’intensità di circa il 63% del VO2max.

Questo livello di picco viene progressivamente ridotto oltre tale soglia, trovando valori minimi attorno al 82% del VO2max, vicino la soglia anaerobica, al 87%. In base a questo principio metabolico, è venuto a crearsi un grande fraintendimento nell’ambiente fitness. Secondo una certa interpretazione, una maggiore quantità netta di grasso viene ossidata grazie ad una minore intensità dell’esercizio, indipendentemente dalla durata dello studio o delle conclusioni finali. Inoltre, è stata confusa o scambiata l’ossidazione netta di lipidi indotta dall’allenamento con l’ossidazione strettamente durante l’allenamento, senza considerare quindi l’impatto sul dispendio lipidico dopo l’esercizio. Non è mai stata fatta una distinzione tra:

  • l’ossidazione lipidica durante l’allenamento;
  • l’ossidazione lipidica nel periodo di recupero;
  • l’ossidazione totale di grassi durante un periodo di 24 ore post-esercizio;
  • l’ossidazione di grassi su lungo termine, come alcune settimane;

Quindi, in base ad interpretazioni approssimative, la presunta superiorità dell’attività cardio a bassa intensità per ossidare grassi continua ad essere promossa più di attività maggiormente intense che richiedono meno tempo, e che potrebbero rivelarsi maggiormente efficaci.

La ricerca

Analizzando tutte le ricerche sulla fisiologia applicata, vengono ottenuti una serie di risultati confusi a causa della grande varietà di protocolli testati come le caratteristiche dei soggetti esaminati, le manipolazioni dietetiche, il bilancio energetico, e le intensità usate nell’esercizio. Tuttavia, la ricerca sull’ossidazione di grasso corporeo indotta dall’esercizio può essere facilmente interpretata da una divisione degli studi in 3 sottogruppi:

  • effetto acuto o a breve termine: durante l’esercizio fisico e immediatamente dopo;
  • effetto a medio termine: durante 24 ore post esercizio;
  • effetto cronico o a lungo termine: a distanza di diverse settimane;

Effetti acuti

Oltre a misurare l’ossidazione dei grassi durante l’esercizio fisico, gran parte delle analisi sugli effetti acuti valutano anche l’ossidazione dei grassi entro 3-6 ore dal termine dell’allenamento fisico. L’ossidazione dei grassi durante l’esercizio fisico tende ad essere più elevata nelle prestazioni a bassa intensità, ma l’ossidazione di grassi post-esercizio tende ad essere più elevata nelle prestazioni ad alta intensità.

Ad esempio, Sedlock et al. (1989) osservarono che i triatleti durante una pedalata al 75% VO2max per 20 minuti bruciarono più calorie dopo l’allenamento rispetto alla pedalata al 50% VO2max per 30 o 60 minuti. In uno studio simile, Phelain et al. (1997) confrontarono l’ossidazione dei grassi a 3 ore post-esercizio da una prestazione al 75% VO2max rispetto alle stesse calorie bruciate nella prestazione al 50% del VO2max.

L’ossidazione dei grassi durante l’esercizio è risultata leggermente superiore nel gruppo che si allenava al 50%, ma era significativamente più alto per il gruppo che si allenava al 75% nelle 3 ore post-esercizio. Lee et al. (1991) analizzando soggetti maschi del college, compararono gli effetti termogenici e lipolitici dell’esercizio somministrando prima della prestazione una bevanda a base di latte e glucosio, valutando gli effetti che questa aveva sull’esercizio ad alta intensità o bassa intensità.

Prevedibilmente, l’assunzione della bevanda aumentò l’entità del EPOC (connesso con la termogenesi misurata) in maniera significativamente maggiore rispetto ai gruppi che non avevano assunto la bevanda in entrambi i casi. Altrettanto prevedibilmente, il protocollo ad alta intensità aveva provocato la maggiore ossidazione di lipidi durante il periodo di recupero rispetto al protocollo a bassa intensità.

Effetti a 24 ore

È stato riscontrato che la maggiore ossidazione dei grassi durante e nei primi periodi post-esercizio cardio a bassa intensità è irrilevante quando gli effetti sono misurati nell’arco di 24 ore. Lo studio di Melanson et al. (2002) fu forse il primo ad analizzare gli effetti sull’ossidazione lipidica sul medio termine, contrariamente alla maggior parte delle ricerche che la misuravano durante l’esercizio, o solo a distanza di poche ore. La ricerca coinvolse un gruppo misto di uomini e donne magri e sani di età compresa tra i 20 e i 45 anni.

Questi vennero suddivisi in gruppi che si allenavano rispettivamente al 40 e al 70% del VO2max. Non venne rilevata nessuna differenza nell’ossidazione totale di grassi tra i gruppi a bassa e ad alta intensità entro 24 dal termine. Treuth et al. (1996) trovarono che non solo i soggetti spendevano più calorie durante la pedalata in High Intensity Interval Training(HIIT) (15 x 2 minuti a 100% VO2max con 2 minuti di riposo) rispetto allo Steady State Training (SST) (60 minuti a 50% VO2max), ma spendevano anche più calorie durante le 24 ore successive all’allenamento.

Saris e Schrauwen (2004) condussero uno studio simile su maschi obesi paragonando un protocollo HIIT rispetto ad una normale attività aerobica in Steady State Training. Anche in questo caso non venne rilevata alcuna differenza nell’ossidazione dei grassi tra i trattamenti HIIT e SST entro 24 ore. Inoltre, il gruppo ad alta intensità aveva effettivamente mantenuto un quoziente respiratorio post-esercizio inferiore. Questo significa che la loro ossidazione dei grassi era superiore rispetto al gruppo SST per il resto della giornata successiva all’allenamento.

Effetti cronici

Gli effetti cronici o sul lungo termine sarebbero le reali prove al di là di qualunque dato che si può ottenere sul breve termine. I risultati delle analisi effettuate per diverse settimane presentano evidenti vantaggi rispetto a quelle ottenute sul breve termine. Gli effetti cronici possono anche consentire di misurare i cambiamenti sulla composizione corporea al contrario degli effetti acuti. Il filo conduttore tra queste ricerche è che quando le attività vengono paragonate a parità di dispendio calorico, sono state notate trascurabili differenze sulla perdita di grasso corporeo.

Il fatto rilevante sulla questione della composizione corporea, è che i gruppi che si allenano ad alta intensità guadagnano o mantengono la massa magra, mentre i gruppi che si allenano a bassa intensità tendono a perdere massa magra, quindi i gruppi ad alta intensità subiscono una perdita di peso inferiore a parità di perdita di grasso. La mole di ricerche in esame è fortemente a favore del High Intensity Interval Training (HIIT), sia per quanto riguarda la perdita di grasso che per l’aumento o il mantenimento della massa magra, come può dimostrare una lunga serie di studi.

Un esempio rappresentativo fu il lavoro di Tremblay et al. (1994), i quali paragonarono gli effetti del HIIT con la normale attività aerobica (SST) durante un periodo di 20 settimane su giovani adulti. Nonostante il gruppo HIIT si allenasse complessivamente per solo un’ora a settimana comparato alle 3.75 ore a settimana del gruppo steady state, spendendo solo la metà delle calorie durante l’HIIT, quando il dispendio energetico tra i gruppi è stato corretto, la perdita di grasso come misurata dalle pliche risultò 9 volte superiore. Anche se lo scopo dello studio non era analizzare la perdita di grasso, lo era la perdita di peso.

Entrambi i gruppi mantennero lo stesso peso, e questo suggerì che il gruppo HIIT guadagnò più muscolo e perse più grasso. Nel gruppo HIIT, le biopsie mostrarono inoltre un aumento degli enzimi glicolitici, nonché un aumento di 3-idrossiacil coenzima A (HADH) deidrogenasi, un marker di ossidazione dei grassi. I ricercatori conclusero che gli adattamenti metabolici nei muscoli in risposta al HIIT favoriscono il processo di ossidazione dei grassi.

I meccanismi di questi risultati si sono concentrati sugli effetti termici e lipolitici residui mediati dagli adattamenti enzimatici, morfologici e beta-adrenergici nel muscolo. Il confronto tra i 2 tipi di allenamento tende a non trovare alcuna differenza, tranne che per un maggior miglioramento della prestazione cardiovascolare nei gruppi ad alta intensità.

Quello di Tremblay fu il primo di una lunga serie di studi sull’ Interval training ad alta intensità (HIIT) in cui ne venne riconosciuta una certa superiorità rispetto all’aerobica ad intensità moderata, non solo in termini di dimagrimento, ma anche di adattamenti fisiologici. Ciò nonostante, non solo l’HIIT è stato giudicato spesso superiore all’aerobica in Zona lipolica per il dimagrimento, ma anche l’esercizio aerobico ad alta intensità (High Intensity Endurance Training) e l’allenamento a circuito aerobico ad alta intensità (High Intensity Aerobic Circuit Training). Ballor et al. (1990) presero come oggetto del loro studio 27 donne obese sotto regime ipocalorico (1200 kcal). Queste vennero distribuite in due gruppi: un gruppo si allenava ad alta intensità (80-90% VO2max) per 25 minuti; l’altro gruppo si allenava a bassa intensità (40-50% VO2max) per 50 minuti.

Entrambi i gruppo si allenarono 3 giorni a settimana per 8 settimane. Al termine del periodo di studio, non vennero rilevate differenze nella perdita di grasso corporeo tra i due gruppi. Grediagin et al. (1995) assegnarono a due gruppi di donne moderatamente sovrappeso due differenti protocolli cardiovascolari da svolgere 4 volte a settimana per 12 settimane. Il primo gruppo si allenava ad alta intensità (80% VO2max) e l’altro a bassa intensità (50% VO2max). Entrambi i protocolli vennero impostati in modo da creare lo stesso dispendio calorico di 300 kcal. Durante lo studio, i soggetti vennero invitati a mantenere le loro abitudini alimentari e di attività. Le analisi al termine del periodo di studio rivelarono che non ci furono differenze significative in termini di peso, massa grassa, massa magra, e misurazioni antropometriche.

Le analisi trovarono che entrambi i gruppi avevano perso la stessa quantità di massa grassa, con la differenza che il gruppo ad alta intensità aveva guadagnato più del doppio di massa magra, e ciò spiega perché il gruppo a bassa intensità aveva ridotto maggiormente il peso corporeo totale. Un paio di anni più tardi, Bryner et al. (1997) valutarono le differenze in termini di dimagrimento e variazioni della composizione corporea su 15 donne normopeso tra i 18 e i 34 anni. Queste vennero distribuite a random in due gruppi: uno gruppo eseguiva un protocollo aerobico a bassa frequenza cardiaca (media 132 bpm) mediamente per 4 giorni a settimana per 40-45 minuti; l’altro gruppo eseguiva un protocollo cardio ad alta intensità (media 163 bpm) mediamente per 4 giorni a settimana per 40-45 minuti.

La durata dei rispettivi protocolli era di 11 settimane, durante il quale non vennero imposte alcune manipolazioni dietetiche. Al termine del periodo di studio, i ricercatori conclusero che il protocollo ad alta intensità risultò in un decremento della massa grassa, ma non del peso corporeo, mentre questi stessi cambiamenti non vennero osservati nel protocollo a bassa intensità. Quest’ultima modalità non produsse alcuna riduzione della massa grassa. Irving et al. (2008) esaminarono gli effetti della variazione dell’intensità nell’esercizio sulla riduzione del grasso viscerale su donne obese affette da sindrome metabolica.

I soggetti vennero divisi in due gruppi: uno ad intensità bassa, al di sotto della soglia anaerobica, e l’altro ad intensità alta, con picchi sopra la soglia anaerobica. Entrambi i protocolli vennero impostati in modo da creare lo stesso dispendio calorico (400 kcal). Il protocollo ad alta intensità favorì una netta riduzione del grasso addominale, sia sottocutaneo che viscerale, mentre non vennero osservati cambiamenti significativi in alcuno di questi parametri tra il gruppo a bassa intensità e il gruppo di controllo (cioè il gruppo che non eseguiva l’esercizio fisico).

I ricercatori conclusero che i cambiamenti nella composizione corporea sono influenzati dall’intensità dell’esercizio, e i protocolli ad alta intensità sono più efficaci per la riduzione del grasso addominale nelle donne obese affette da sindrome metabolica. Paoli et al. (2010) paragonarono gli effetti del Aerobic Circuit Training (ACT) tradizionale, dell’ Aerobic Circuit Training ad alta intensità e del tradizionale esercizio aerobico diendurance (Steady State Training) sulla composizione corporea, sulla riduzione della massa grassa, sulla forza muscolare.

Quaranta partecipanti vennero divisi nei tre gruppi, allenandosi ciascuno per 3 volte per settimana per 50 minuti in un programma di 12 settimane. L’ Aerobic Circuit Training (nello studio chiamato semplicemente circuit training) differiva dalla variante classica per le stazioni cardio svolte ad alta intensità, cioè poco al di sotto della soglia anaerobica.

Tra i tre gruppi, il gruppo che testava il circuito aerobico ad alta intensità mostrò una maggiore riduzione del peso corporeo, una maggiore riduzione della massa grassa, un generale miglioramento della composizione corporea e un maggiore sviluppo della forza.

Da segnalare che nello studio gli esercizi con i pesi applicavano la tecnica del rest-pause. In conclusione anche l’ACT, cioè una forma di allenamento mista anaerobica e aerobica ad alta intensità, ha dimostrato di ridurre maggiormente la massa grassa rispetto all’aerobica.

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