Abbiamo già discusso dell stacco da terra con un’analisi e relativo studio sulle sue modalità d’esecuzione e su un altrettanto lungo e particolareggiato articolo di Paolo Evangelista sulla guida completa all’esecuzione, che se non avete ancora letto vi consigliamo di fare. Di seguito un altrettanto interessante articolo sulle differenze tra stacco da terra convenzionale e lo stacco da terra sumo scritto da Giovani D’Alessandro moderatore nel nostro Forum con il nickname di Tonymusante.
Giovanni è nato a Roma il 20/12/1962; pratica sin dall’infanzia diverse discipline sportive tra cui, a livello agonistico, atletica leggera e biathlon atletico, nel quale è stato al vertice per molti anni vincendo titoli e criterium nazionali.
Stacco da terra sumo o tradizionale ?
Alcune volte mi accade in palestra di sentirmi rivolgere questa domanda da coloro che iniziano, magari solo per gioco, ad avvicinarsi allo stacco agonistico: “Ho visto Tizio che stacca in questo modo e Caio staccare in quest’altro; sono validi entrambi? A me come conviene staccare?”
È chiaro che una risposta esauriente presupporrebbe del tempo a disposizione superiore a quello che normalmente è in dotazione all’istruttore nella sua attività di routine. Ciò nonostante non si può deludere la lodevole curiosità di un aspirante stacchista o di un atleta in erba.
A colui che non è interessato alle gare sono solito illustrare inizialmente la tecnica convenzionale di stacco perché più appropriata alle esigenze di allenamento generale; tuttavia, quando si approssima una competizione, sia pure di tipo promozionale, cerco di mettere in condizione l’atleta di conoscere entrambi gli stili per poter poi scegliere quello a lui più confacente, almeno ai fini della “pedana”.
Ritengo che la scelta della tecnica di stacco debba essere determinata essenzialmente da tre fattori:
- Tipologia somatica dell’individuo e relative misure corporee
- Fine ultimo dell’esercizio e motivo per il quale si intende potenziare lo stacco (es. intrapresa dell’attività agonistica nella specialità; potenziamento per altri scopi di alcuni distretti muscolari rispetto al quale la gara è solo un diversivo; allenamento dello stacco propedeutico ad altre discipline sportive e, in tal caso, quali esse siano);
- Gradimento personale del soggetto verso uno stile piuttosto che un altro; cosa che – a lungo andare – vanificherebbe le eventuali indicazioni contrarie emerse dai due punti precedenti, in quanto sarebbe controproducente forzare un atleta ad esprimersi contro le proprie inclinazioni, fossero anche e solo psicologiche, poiché si andrebbero fatalmente ad annullare i presunti vantaggi scaturiti da osservazioni pur valide, oggettivamente e didatticamente, ma in quel caso meramente teoriche e poco rispettose della personalità dell’atleta.
Premesso quanto sopra, passo ad esaminare i menzionati 3 punti singolarmente.
1 – Analisi Somatica
Dai dati statistici relativi a numerose competizioni di powerlifting è emerso che il deadlifter per eccellenza, favorito dalla genetica, è quello dotato di braccia lunghe, tronco breve e gambe di lunghezza media, poiché tali caratteristiche nel loro insieme consentono il più favorevole vantaggio di partenza.
Stiamo chiaramente parlando di vantaggi biomeccanici iniziali che potrebbero poi successivamente essere vanificati da altri importanti fattori. È evidente, infatti, l’importanza primaria delle qualità muscolari soprattutto nei distretti relativi a trapezio, erettori, paravertebrali e muscoli posteriori della coscia (bicipite femorale).
Una struttura con tronco lungo e braccia corte influisce sull’angolo del tronco nell’atto del sollevamento, poiché impone al tronco stesso di avvicinarsi al parallelo con il suolo mentre cosce e gambe tendono ad assumere angoli vicini ai 90°.
Ora, più il tronco è vicino alla posizione parallela con il suolo, maggiore è la distanza che separa il bilanciere dalle anche (che fungono da fulcro del tronco) e di conseguenza aumenta il quoziente di difficoltà dell’alzata, in quanto l’atleta cercherà di incrementare l’attività muscolare di cosce, glutei e schiena per ovviare alla predetta inefficienza meccanica.
Al contrario, un sollevatore con tronco breve e braccia lunghe inizierà il movimento in posizione più verticale forzando meno il quadrato dei lombi.
Quindi – almeno in partenza – i sollevatori con tronco breve, braccia lunghe e gambe di media lunghezza, possono trovare una biomeccanica efficace avvalendosi dello stile convenzionale; al contrario, i sollevatori con braccia e gambe corte ma busto lungo godono di maggior facilità sfruttando la tecnica dello stacco da terra sumo.
Mentre i sollevatori che utilizzano la tecnica dello stacco da terra sumo mantengono di norma una posizione più eretta nella fase iniziale di stacco rispetto ai fruitori della tecnica convenzionale e percorrono evidentemente una distanza inferiore dalla partenza alla posizione finale, non vi sono invece differenze particolarmente rilevanti rispetto al manifestarsi del cosiddetto punto critico o “punto morto” tra le due tecniche esecutive.
Un esperimento molto interessante, che concerne l’adattabilità delle due tecniche di stacco alle diverse conformazioni somatiche, è quello condotto – nel suo Centro sportivo in Colorado – dall’allenatore e ricercatore americano Tom De Long nei confronti di alcuni powerlifters di livello intermedio e che lo stesso autore ha diffuso con il temine, forse un po’ ardito, di “somatomeccanica”.
Ve lo riporto, in quanto può costituire una interessante proposta di lavoro su gli atleti nelle fasi iniziali ed ancora incerti sulla tecnica da adottare ma, nel contempo, rappresentare una utile verifica statistica relativamente a coloro che già hanno operato una scelta tecnica ben precisa.
- Il soggetto viene avvicinato alla parete con la schiena contro il muro per prendergli le misure;
- Con un metro viene calcolata la distanza tra l’apice della spalla del soggetto ed il suolo: questa rappresenta la lunghezza totale del corpo (tronco e gambe) senza la testa;
- Si misura poi la distanza tra l’apice della spalla e la mano chiusa a pugno: questa è la lunghezza totale del braccio;
- Facendo alzare la gamba al soggetto, si determina con precisione il punto in cui la coscia extraruota attorno al bacino e si calcola la distanza tra questo punto ed il solito apice della spalla: questa è la lunghezza totale del tronco;
- Si procede ora alle seguenti operazioni:
lungh. corpo – lung. tronco = lungh. parte inf.re del corpo
lungh. tronco : lungh. braccio = nx
lungh. tronco : parte inf. corpo = ny
dove
nx = proporzione tronco / braccia (es. tronco = 50cm, braccia = 65cm, da cui 50:65 = 0,77 che vuol dire che il tronco è 0,77 volte la lunghezza del braccio, cioè il braccio è più lungo del tronco del 23% usando valore di riferimento 1);
ny = proporzione tronco/parte infer. (es. tronco = 50cm, parte inferiore = 98cm, da cui 50:98 = 0,51 e stesso discorso di sopra);
Se la proporzione tronco / braccia è inferiore a 0,82 e la proporzione tronco / parte inferiore a 0,55, si dovrebbe prendere in considerazione lo stacco convenzionale piuttosto che lo stacco da terra sumo
Infatti, con le braccia più lunghe del tronco lo stacco termina con il bilanciere al di sotto dell’articolazione delle anche : questa posizione finale vuol dire che la posizione di partenza del tronco è maggiormente in verticale, cioè l’angolo assunto dal tronco è più ampio; ne deriva una maggior attività di quadricipiti, bicipiti femorali e glutei tipica dello stacco convenzionale nonché un angolo più ampio anche all’altezza del ginocchio, con conseguente spostamento più uniforme di spalle ginocchia e delle anche che ruotano in sequenza biomeccanica corretta.
Se, al contrario, le proporzioni risultano superiori, rispettivamente, a 0,82 e 0,55 l’angolo di partenza del tronco è meno ampio, ciò comporta una più evidente inclinazione e, quindi, una posizione meno efficiente dal punto di vista biomeccanico.
Con il tronco più inclinato, l’azione dei muscoli preposti all’estensione del busto e delle anche si traduce in uno schema meno efficace, che richiederà un coinvolgimento ancora maggiore di bicipiti femorali e glutei rispetto ai quadricipiti nonché un onere più elevato per gli erettori ed i lombari con il rischio dell’incurvatura della parte alta della schiena.
Una soluzione, in tal caso, potrebbe essere rappresentata dallo stacco da terra sumo.
2 – Il Fine dell’Esercizio
Non sempre e non necessariamente l’atleta o aspirante tale intende cimentarsi nel powerlifting o diventare un agonista specialista nel deadlift.
In questo caso, la risposta alla domanda “stacco da terra complementare o stacco da terra sumo ?” cambia i suoi connotati, dal momento che la peculiarità da verificare non è più quale tecnica consenta al soggetto i maggiori vantaggi in pedana, bensì quale tipologia di stacco – premesso che ovviamente tale esercizio sia importante ai fini della preparazione dell’atleta in questione – sia più utile al potenziamento dei distretti muscolari che interessano l’atleta ed agli obiettivi che lo stesso si pone per il transfert nella sua attività specifica.
In virtù della notevole componente di forza sviluppata, lo stacco svolge comunque un ruolo importante nello sviluppo e potenziamento atletico di molte discipline che richiedano l’impiego dei muscoli della schiena, fianchi, cosce e gambe ma non necessariamente implica l’adozione di una tecnica particolare di esecuzione.
Per esempio, nel caso di sprinter o saltatori, cui interessa potenziare particolarmente alcuni muscoli quali semitendinoso, semimembranoso e bicipite femorale, può essere opportuno adottare alcune varianti dello stacco come lo stacco alla rumena, ovviamente dosando sapientemente i carichi per non incorrere in un eccessivo sforzo lombare causato dal mancato appoggio del bilanciere al suolo tra le ripetizioni.
Molto spesso l’obiettivo principale è il potenziamento di un determinato distretto muscolare, vuoi perché è quello principalmente implicato nell’attività sportiva che il soggetto svolge, vuoi per necessità diverse che hanno spinto l’individuo a rafforzare quella zona (recupero da un infortunio, correzione di paramorfismi o problemi ad essi collegati e scaturiti successivamente, ecc.).
Anche in questo caso, prima di orientare la scelta verso uno stile od un altro di stacco da terra, dobbiamo sincerarci della effettiva rispondenza della tecnica in esame con il fine da raggiungere.
Attraverso l’esame elettromiografico, ad esempio, si è potuto accertare che gli erettori spinali sono di gran lunga più sollecitati durante l’esecuzione con la tecnica convenzionale di stacco piuttosto che con quella sumo, probabilmente a causa del minor range di movimento delle anche in quest’ultimo caso.
Di conseguenza a coloro che interessa potenziare questa zona, sarà opportuno che adottino la tecnica convenzionale e svolgano altre sì una minor mole di lavoro di isolamento sui muscoli erettori già ampiamente sollecitati da questo stile di alzata; viceversa, agli esecutori dello stacco da terra sumo converrà svolgere un apposito lavoro di rafforzamento parziale per detti muscoli – anche svolgendo occasionalmente tirate in stile convenzionale – per rafforzare adeguatamente un distretto muscolare fondamentale per la corretta postura di tutto il dorso.
Altro utilizzo possibile dell’esercizio consiste nel considerare lo stacco un mezzo di potenziamento speciale per lo squat, cosa che d’altra parte appare reciproca.
Pertanto, se la morfologia del soggetto è caratterizzata da busto lungo e arti più corti, la tendenza sarà verosimilmente quella di assumere una posizione con stance di gambe molto largo e dorso quasi verticale.
In quest’ottica, si utilizzerà favorevolmente lo stile dello stacco da terra sumo per il più economico leveraggio anche come esercitazione speciale per allenare il sitting back nello squat.
Grazie al fatto che lo stacco da terra è considerato a catena cinetica chiusa – cioè un esercizio nel corso del quale i piedi sono stabili su una pedana o un pavimento e, pertanto, con limiti di tipo spaziale – può essere vantaggiosamente utilizzato nei protocolli di riabilitazione del ginocchio dagli infortuni ai legamenti, sfruttando principalmente il bicipite femorale e, in genere, i muscoli della zona posteriore della coscia come stabilizzatori.
3 – Attitudine dell’atleta
Ho lasciato per ultimo la disamina di questo fattore soltanto perché è, comprensibilmente, il meno scientifico ma, non per questo, di importanza inferiore.
Qualunque classificazione o categoria perderebbe di valore di fronte all’evidente intenzione del soggetto di preferire una posizione, una tecnica, un’esecuzione piuttosto di un’altra.
Il tecnico o l’osservatore esperto esterno può, qualora ne ravvisi la necessità, spiegare all’atleta i motivi che lo hanno indotto a pensare che una determinata tipologia esecutiva sia – per lui – più funzionale, economica, efficace di un’altra; oppure può presentargli entrambe le tecniche descrivendone pregi e difetti ed esortandolo ad esercitarsi in entrambe per un potenziamento più esteso, una maggior completezza delle proprie capacità atletiche, un’aumentata opportunità di variare il lavoro ed una possibilità di scelta oculata a fronte di una conoscenza più approfondita.
In sintesi, tuttavia, il miglior trainer o spotter dell’atleta deve verosimilmente lasciare il medesimo libero di scegliere quanto è di suo gradimento e di esprimere in tal modo la propria personalità atletica nell’esercizio, dando ovviamente per scontato che si tratti di individualità con sufficiente età anagrafica e maturità di allenamento per poter affrontare una scelta del genere.
Del resto, credo che anche psicologicamente si possano ottenere maggiori vantaggi assecondando in un primo tempo delle inclinazioni già radicate, lavorando piuttosto alla correzione di altri ulteriori difetti ed attendendo momenti successivi e più idonei per indurre l’atleta a riflessioni spontanee, conseguenti alle vicissitudini agonistiche che via via si dovessero presentare
La presente trattazione esula, allo stato attuale, dalla descrizione del gesto tecnico nell’esecuzione delle due tecniche di alzata e dall’esposizione dei mezzi allenanti ausiliari o dei programmi specifici di allenamento.
Quanto scritto è frutto di riflessioni nate e stimolate da numerose richieste in tal senso di giovani atleti ed utenti di palestra riguardo ad un aspetto dell’esercizio in esame trattato spesso solo di sfuggita e nell’ambito di discussioni più compendiose sull’argomento.
Mi riservo eventualmente in futuro di integrare quanto sopra con altri aspetti inerenti a questa straordinaria specialità.
Scrivi un commento
Commenti disabilitati.