La scelta delle macchine cardio

McDonald suggerisce anche di scegliere dei macchinari cardiovascolari specifici nelle diverse fasi del SFP. Durante l’HIIT egli suggerisce di scegliere una macchina cardio che l’atleta non è abituato a usare. Questo avrebbe il fine di aumentare i livelli di catecolammine, le quali enfatizzerebbero lo stimolo lipolitico.

Questa indicazione vale per l’SFP1.0 e per l’HIIT iniziale nel SFP2.0. Mentre per svolgere il secondo HIIT previsto nel SFP2.0 viene indicato un macchinario a scelta. Per quanto riguarda la fase aerobica in Steady State, questa dovrebbe essere svolta su una macchina cardio usata abitualmente, in quanto secondo le sue indicazioni, ciò permetterebbe di spendere più calorie rendendo possibile fare più lavoro a parità di intensità.

Comunque, McDonald precisa che non ci sia l’assoluta necessità di rispettare queste modifiche, e che tutte le fasi potrebbero comunque essere eseguite sullo stesso macchinario. Infine, egli sconsiglia il treadmill (tapis roulant) per i soggetti non allenati durante l’HIIT (specialmente se prevede picchi molto intensi), in quanto possibile causa di problemi articolari per le persone sovrappeso o per i soggetti con una forma di deambulazione poco idonea, suggerendo piuttosto dei macchinari che, pur permettendo di raggiungere alte intensità di picco, non creano un grande impatto articolare.

È tuttavia necessario fare presente a questo proposito che diverse ricerche hanno rilevato come, a parità di intensità, il treadmill consenta un’ossidazione di lipidi notevolmente maggiore rispetto alla ciclette (o cicloergometro), arrivando anche ad una differenza del 28% maggiore.

Questo vantaggio è probabilmente dovuto al fatto che i macchinari che impongono la mobilizzazione di tutto il corpo e il carico antigravitario permettono un maggiore coinvolgimento muscolare e un maggiore consumo calorico e di ossigeno. Poiché l’obiettivo del SFP è quello di massimizzare la spesa lipidica e il dimagrimento, sulla base di questi dati è possibile suggerire, se il soggetto è idoneo, l’uso di macchinari con tali caratteristiche funzionali piuttosto che il cicloergometro, il cui impatto metabolico, ormonale e lipolitico risulta significativamente inferiore.

Allenamento con sovraccarichi

McDonald offre la possibilità di introdurre l’allenamento coi pesi “metabolico” (metabolic weight training o metabolic resistance training) in alternativa al HIIT. Il termine “metabolico” usato nel contesto dell’esercizio coi pesi definisce uno stile che prevede il coinvolgimento di più gruppi muscolari, una particolare enfatizzazione dello stimolo sui gruppi muscolari grandi, allenamenti in modalità total body (tutto il corpo in un’unica seduta), alte ripetizioni, e pause brevi. Il motivo di questa possibilità è dato dal fatto che l’impatto metabolico e ormonale di questo tipo di allenamento risulta molto più elevato del normale, presentandosi simile a quello creato dallo stesso HIIT. L’autore cita studi degli anni ottanta che mostrarono come questo stile fosse in grado di mobilizzare gli acidi grassi.

Negli ultimi anni sono stati effettivamente proposti da diversi professionisti alcuni metodi allenamento coi pesi formulati con l’obiettivo specifico di ridurre il grasso corporeo, tra cui il German Body Composition (GBC) di Charles Poliquin, il Metabolic Resistance Training (MRT) di Brad Schoenfeld, il Tabata training nella variante riadattata ai pesi, e alcuni altri, i quali normalmente hanno in comune la struttura tipica del circuit training, cioè un allenamento coi pesi con alte ripetizioni, basse intensità (40-60% 1-RM) e pause brevi. Con questa modifica, l’SFP rientra nella definizione di concurrent training, termine usato in ambito scientifico per definire i protocolli che uniscono un’unica sessione di allenamento una fase dedicata ai pesi e una dedicata all’aerobica.

La durata o il volume dell’esercizio coi pesi normalmente si distingue da quello del HIIT, anche se questi parametri subiscono una variazione in base alla specifica tipologia di SFP. Nel SFP1.0 il volume e la durata vengono raddoppiati rispetto alla prestazione HIIT, arrivando a circa 20 minuti totali. Egli propone in questo caso un time under tension (TUT, cioè la durata della serie) da 15 secondi alternato da brevi tempi di recupero per tutta la durata dell’allenamento.

Comunque, in alternativa l’autore sostiene che il TUT possa essere protratto anche fino a 45-60 secondi con tempi di recupero ugualmente brevi per portare benefici analoghi. Questo potrebbe significare 12-15 ripetizioni (oppure un andamento lento) con 30-60 secondi di recupero. I 5 minuti di pausa tra il termine dell’esercizio a l’inizio dello steady state training rimangono un principio da rispettare.

Per quanto riguarda il SFP2.0, in cui vengono previste due prestazioni anaerobiche, rispettivamente all’inizio e alla fine del protocollo, l’autore propone la scelta di sostituire uno o entrambi gli HIIT con l’esercizio coi pesi metabolico. Nel primo dei due egli invita a mantenere un TUT breve e altrettanto brevi tempi di recupero.

Viene esposto l’esempio del Tabata training con sovraccarichi, che si contraddistingue da 8 serie totali da 20 secondi interrotte da 10 secondi di recupero, per una durata totale di 4 minuti. Mentre nel secondo e ultimo dei due allenamenti coi pesi, il time under tension viene prolungato a 30-60 secondi, alternato a tempi di recupero di 30-60 secondi. McDonald comunque ribadisce che non ci sia la necessità di usare l’esercizio coi pesi sia prima che dopo lo steady state. Si potrebbe inotrodurre l’HIIT per primo e il resistance training per ultimo tra gli esercizi anaerobici o viceversa.

SFP in un programma con i pesi

L’SFP può essere integrato ad un programma di allenamento con i pesi. Esso infatti viene proposto come protocollo per la definizione o il dimagrimento estremo dei culturisti. Nel caso il protocollo venga introdotto in un programma di bodybuilding, McDonald tiene a suggerire vivamente di praticare l’SFP nelle stesse giornate in cui si allenano le gambe, in modo da permettere a questa parte corporea più giorni di recupero. Se l’SFP viene svolto per due volte a settimana, le gambe dovrebbero essere allenate nelle stesse giornate così da riposare 5 giorni. In tal caso, dovrebbero essere lasciate almeno 4-6 ore di distanza tra l’SFP e i pesi, eseguendo il primo allenamento di mattina o a pranzo, e il secondo allenamento di sera.

Dal momento che l’allenamento per due volte a settimana non è possibile per tutti, l’autore propone l’aternativa di svolgere l’SFP1.0 subito dopo l’esercizio coi pesi, e questo dovrebbe essere dedicato alle gambe. In questo modo, dato che, come era stato menzionato, l’esercizio coi pesi può andare a sostituire l’HIIT all’interno del protocollo, potrebbe essere effettuato un allenamento coi pesi “metabolico” per le gambe contando come la parte anaerobica del SFP1.0. In questo modo l’SFP1.0 si presenterebbe come un concurrent training, all’interno del quale viene tipicamente prevista una parte dedicata all’esercizio coi pesi (in questo caso metabolico), e una dedicata all’aerobica steady state.

Altrimenti, sarebbe possibile ridurre la frequenza di allenamento delle gambe ad una seduta a settimana e svolgere l’SFP1.0 nelle giornate in cui si allenerebbe normalmente questa parte corporea. In ultima analisi, l’SFP sostituirebbe una delle due sessioni settimanali dedicate alle gambe. Secondo l’autore, solo rispettando queste sue indicazioni si potrebbero trarre i benefici dei protocolli SFP evitando il sovrallenamento. Ciò che è stato detto per l’SFP1.0 vale naturalmente anche per l’SFP2.0. Nel caso si presenti la possibilità di allenare le gambe subito prima del SFP2.0, McDonald mette in guardia dal rischio di potenziali infortuni a carico degli arti inferiori durante l’HIIT finale, a causa del loro pre-affaticamento. Un problema che comununque non si presenta del SFP1.0, dove l’esercizio viene concluso con la prestazione aerobica.

Frequenza di allenamento

In tema di frequenza di allenamento, McDonald sembra essere piuttosto rigoroso, indicando normalmente l’esecuzione del SFP per una o due volte nell’arco di una settimana, vista la natura particolarmente stressante del protocollo, facile causa di sovrallenamento. Questo è valido soprattutto tenendo conto che l’SFP è stato concepito per la fase di definizione dei bodybuilder, i quali devono anche alternarlo con l’attività con i pesi.

Comunque, le indicazioni sulla frequenza possono variare anche in base al tipo di SFP: l’SFP1.0, nella maggior parte dei casi dovrebbe essere svolto due, o al massimo per tre volte a settimana; mentre per l’SFP2.0 ne viene altamente sconsigliata una frequenza di tre giorni. Comunque dovrebbe essere lasciato almeno un giorno di riposo tra le sedute. McDonald agginge che non ci sarebbe alcun motivo per svolgere un SFP anche una sola volta a settimana, alternandolo con altri allenamenti dimagranti.

Supplementazione

Per favorire una maggiore risposta dimagrante, McDonald suggerisce l’assunzione di tre specifici supplementi la cui attività sinergica dovrebbe portare a potenziare gli effetti del SFP. Si tratta dei già menzionati caffeina, yohimbina e tirosina, supplementi piuttosto popolari nel ambiente fitness. La caffeina, noto stimolante, produce effetti termogenici e lipolitici in proporzione alla dose assunta. La yohimbina è un antagonista adrenergico dei recettori α-2, cioè gli inibitori della lipolisi, favorendo l’attività delle catecolammine e ancora la mobilizzazione dei grassi.

La tirosina è un amminoacido precursore degli ormoni tiroidei e delle catecolammine, una famiglia di molecole implicate nell’aumento del metabolismo e nella mobilizzazione del grasso. La tirosina ha dimostrato di accelerare la sintesi di catecolammine. In origine l’autore prescriveva la supplementazione di queste sostanze come parte integrante del protocollo, ma in seguito ritrattò queste dichiarazioni, sostenendo che l’SFP potesse funzionare egregiamente anche senza il loro utilizzo. Egli ne sostiene l’assunzione per migliorare effettivamente le risposte lipolitiche e i risultati indotti dal SFP. In definitiva, la yohimbina inibisce gli α-2 recettori, mentre la caffeina e la tirosina favoriscono l’innalzamento dei livelli di catecolammine durante l’attività.

SFP nella dieta chetogenica

Nella sua prima pubblicazione, The Ketogenic Diet (1998), McDonald trattava nel dettaglio degli aspetti dell’allenamento da applicare durante la dieta chetogenica ciclica (CKD) per instaurare più rapidamente la chetosi al termine della ricarica di carboidrati, o per evitare una possibile temporanea interruzione della chetosi indotta dall’aumento della glicemia in risposta agli allenamenti anaerobici. Nel testo egli segnalava che l’esercizio anaerobico ad alta intensità provocasse una grande elevazione dei livelli glicemici a causa dell’importante aumento dell’adrenalina, un ormone responsabile della liberazione del glicogeno epatico.

Se da un lato l’aumento della glicemia indotto dall’esercizio anaerobico lattacido può disturbare lo stato di chetosi sul breve termine, in definitiva ciò contribuisce ad instaurare la chetosi sul lungo termine. Durante l’esercizio, nonostante l’aumento dei valori glicemici, l’insulina viene inibita dall’azione delle stesse catecolammine, ma al termine dell’esercizio anaerobico i livelli di adrenalina decrementano e la glicemia continua a rimanere più elevata, causando potenzialmente l’intervento dell’insulina, ormone in grado di inibire temponeamente la chetosi. Una delle principali differenze tra l’esercizio ad alta (anaerobico) e bassa (aerobico) intensità è che il rilascio di acidi grassi liberi (FFA) viene inibito durante l’esercizio ad alta intensità a causa dell’incremento dell’acido lattico.

Poiché è possibile che durante una dieta chetogenica alcuni inidividui riportino un decremento della concentrazione urinaria di chetoni (chetonuria) o una completa assenza a seguito della prestazione ad alta intensità, questo probabilmente riflette un temporaneo decremento delle concentrazioni di FFA e chetoni e un aumento della glicemia e dell’insulinemia. Inoltre, il largo incremento delle catecolammine (adrenalina e noradrenalina) riduce il flusso sanguigno al fegato, riducendo ulteriormente la disponibilità di FFA per la produzione di chetoni. Quindi, secondo McDonald, anche se l’esercizio ad alta intensità è probabilmente il modo più rapido per instaurare la chetosi grazie al forte effetto glicogenolitico (di deplezione del glicogeno) sul fegato, l’effetto complessivo di questo tipo di esercizio può essere descritto come temporaneamente anti-chetogenico.

Per porre soluzione a questo problema, l’autore molti anni prima dell’elaborazione del SFP aveva proposto che a seguito dell’esercizio ad alta intensità (per svuotare le riserve di glicogeno epatico) si sarebbe potuta svolgere un’attività aerobica a bassa intensità al fine di ristabilire l’utilizzo di FFA e la chetosi. In questo caso egli aveva suggerito tra i 10 e i 15 minuti di esercizio aerobico a bassa intensità a seguito dell’attività anaerobica come l’HIIT o i pesi per ristabilire la chetosi tramite una riduzione dei livelli glicemici e un rifornimento di FFA al fegato.

È possibile notare che lo svolgimento del protocollo SFP1.0 riesce a rispettare proprio tali suggerimenti durante l’applicazione della dieta chetogenica, per tanto esso può essere sfruttato per questo scopo oltre che per i suoi potenti effetti diretti sulla perdita di grasso nel caso venga seguito un regime alimentare di questo tipo. In sintesi, l’SFP1.0 può essere utilizzato anche durante un periodo di dieta chetogenica per evitare l’eventuale temporanea interruzione della chetosi a seguito degli allenamenti anaerobici.

Al contrario, l’SFP2.0 non rispetta propriamente tali principi perché termina con un’attività anaerobica, tuttavia è possibile introdurre una fase di defaticamento (per altro prevista nello stesso) al termine di questo protocollo per ottenere gli stessi effetti. Di conseguenza, se al termine del SFP2.0 viene svolto un defaticamento di 10-15 minuti, anche questo può essere utilizzato per tali scopi.

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