Indicazioni per il nuovo Protocollo per il Grasso Ostinato - Stubborn Fat Protocol 1.0:

  • Possibilità di svolgere il protocollo in qualsiasi momento della giornata, preferibilmente 3 o più ore dopo l’ultimo pasto.
  • 30 min. prima dell’esercizio è possibile assumere 100-200 mg di caffeina, 0.2 mg/kg di yohimbina, e 1-3 gr di tirosina. Tutti questi supplementi sono opzionali.
  • Svolgere 5-10 min di riscaldamento.
  • Svolgere 10 min di HIIT, oppure 20 min di esercizio coi pesi ad alte ripetizioni e pause brevi (come il cricuit training). Nel HIIT è possibile scegliere fasi di durata variabile, come 10 sprint da 15″ ad intensità quasi massimale alternati a pause da 45″, oppure 5 sprint da 60″ ad intensità leggermente inferiore alternati a pause da 60″. Anche in questo caso di consiglia di scegliere una macchina cardio che non si è abituati a usare, per aumentare i livelli di catecolammine.
  • Al termine dei 10 min risposare 5 min per permettere agli acidi grassi di essere rilasciati nel torrente ematico.
  • Svolgere dai 20 ai 40 min di attività aerobica ad intensità moderata. Questa dovrebbe essere svolta su una macchina cardio usata abitualmente, in quanto permetterebbe di bruciare gran parte delle calorie in questo modo dal momento che è possibile fare più lavoro a parità di intensità.
  • Possibile mangiare nell’immediato post-allenamento.

Stubborn Fat Protocol – Protocollo per il Grasso Ostinato 2.0

Lo Stubborn Fat Protocol 2.0 venne concepito da McDonald nel 2007 con l’intento di perfezionare ulteriormente il precedente protocollo. La sua idea era quella di enfatizzare maggiormente la mobilizzazione e l’ossidazione del grasso, quindi decise di marcare il principio di mobilizzazione del grasso mediante l’HIIT e della massima ossidazione lipidica mediante l’SST, producendo però benefici aggiuntivi riproponendo nuovamente l’HIIT per una seconda volta nell’ultima parte del protocollo. Tutto questo però doveva essere organizzato evitando di renderlo troppo duro per la persona.

In base all’ipotesi che l’esecuzione dello Steady State dopo l’HIIT potesse avere l’effetto di attenuare il dispendio calorico e lipidico indotto dal secondo, l’SFT2.0 prevedeva ora che l’HIIT venisse eseguito per metà prima dello Steady State e per metà a seguito. Quindi il nuovo protocollo ora consisteva in: 1) riscaldamento, 2) HIIT da 5 minuti, 3) pausa totale da 5 minuti, 4) steady state training da 20-40 minuti, 5) HIIT da 5 minuti, 6) e un breve defaticamento.

A questa nuova serie di passaggi, McDonald aggiunge delle modifiche nella durata e nell’intensità degli sprint nei due protocolli HIIT. Per accentuare la risposta ormonale, egli imposta il primo HIIT con sprint di durata inferiore per poter raggiungere intensità massimali, al fine di ottenere la maggiore liberazione delle catecolammine (adrenalina e noradrenalina). Inoltre, sprint più brevi impediscono all’atleta di esaurirsi sia in termini globali, si in vista del successivo SST.

Secondo il fisiologo, evitando elevati picchi di lattato si dovrebbe attenuare l’effetto inibitore nella mobilizzazione dei grassi dall’adipocita indotto dalla molecola. Questa teoria era basata sui risultati di uno studio in cui risultava chesprint di durata inferiore avevano un maggiore impatto sulla lipolisi durante l’esercizio portando nel contempo ad una minore insorgenza della fatica.

Per quanto riguarda la fase steady state, McDonald sostiene che l’intensità ideale sarebbe stata vicino alla soglia anaerobica per massimizzare la spesa lipidica, ma poiché per gran parte delle persone questo livello di intensità risulta troppo elevato a seguito di una sessione HIIT, ha suggerito di mantenerla moderata, in linea con le indicazioni relative al precedente SFP1.0.

Anche se nel testo egli sostiene che la massima ossidazione lipidica avviene ad intensità vicine alla soglia anaerobica, questo in realtà non sembra essere il caso, poiché la ricerca ha ampiamente stabilito che l’intensità in cui viene riconosciuta la zona lipolitica si colloca attorno a valori moderati o intermedi, mentre in prossimità dellasoglia anaerobica l’ossidazione lipidica viene ridotta.

Nuove indicazioni vengono date anche per l’HIIT finale a seguito dello steady state. Mentre l’HIIT iniziale (prima del SST) prevede sprint di durata inferiore e alla massima intensità, McDonald sostiene che la breve durata porta ad un inferiore impatto metabolico e un’inferiore deplezione di glicogeno rispetto a sprint più lunghi. La massima deplezione del glicogeno è però un importante obiettivo del protocollo, dal momento che più questo viene esaurito, e più verrà enfatizzato il dispendio di grassi. Quindi sprint di durata superiore (ad intensità leggermente inferiore) avranno un impatto metabolico globale generalmente superiore, enfatizzando anche l’EPOC.

Indicazioni lo Stubborn Fat Protocol  - Protocollo per il Grasso Ostinato 2.0:

  • Possibilità di svolgere il protocollo in qualsiasi momento della giornata, preferibilmente 3 o più ore dopo l’ultimo pasto.
  • 30 min. prima dell’esercizio è possibile assumere 100-200 mg di caffeina, 0.2 mg/kg di yohimbina, e 1-3 gr di tirosina. Tutti questi supplementi sono opzionali.
  • Svolgere 5-10 min di riscaldamento.
  • Svolgere 5 min di HIIT con sprint brevi e intensi: 10-15″ ad intensità massimale alternati ad un recupero attivo da 45-50″ a bassissima intensità. Anche in questo caso di consiglia di scegliere una macchina cardio che non si è abituati a usare, per aumentare i livelli di catecolammine. Se si è dotati di una grande capacità di lavoro e recupero, è possibile aumentare la durata del HIIT portandola a 10 minuti.
  • Al termine dei 10 min risposare 5 min per permettere agli acidi grassi di essere rilasciati nel torrente ematico.
  • Svolgere dai 20 ai 40 min di attività aerobica ad intensità bassa-moderata. Questa dovrebbe essere svolta su una macchina cardio usata abitualmente, in quanto permetterebbe di bruciare gran parte delle calorie in questo modo dal momento che è possibile fare più lavoro a parità di intensità.
  • Svolgere 5 min di HIIT con sprint di durata maggiore e ad intensità inferiore. Ad esempio 30″ ad intensità sottomassimale alternati ad un recupero da 30″. Oppure sprint da 60″ e recuperi da 60″. Questo può essere svolto su una macchina cardio a scelta.
  • 3-5 minuti di defaticamento.
  • Possibile mangiare nell’immediato post-allenamento, o al massimo assumere uno frullato proteico se non si ha fame.

Ulteriori indicazioni per il Protocollo per il Grasso Ostinato

Cardio e intensità

Durante i protocolli cardio (HIIT e SST) viene indicata la scelta dell’intensità sulla base della percezione soggettiva dello sforzo individuata mediante la scala RPE (o Scala di Borg). La scala RPE (Rate of Perceived Exertion) è una linea guida per risalire indicativamente all’intensità dell’esercizio senza metodi di misurazione, ma rilevando la sola percezione soggettiva dello sforzo fisico.

La ricerca ha dimostrato che l’utilizzo della scala RPE possa essere uno strumento attendibile per misurare l’intensità senza necessariamente rilevare i battiti cardiaci. Essa viene normalmente composta da 15 numeri da 6 a 20 ai quali è correlato un rispettivo livello di fatica. Per facilitarne l’utilizzo, McDonald ha corretto la scala RPE riadattandola secondo una scala di valori da 1 a 10.

Ciò può essere problematico se il soggetto è abituato a valutare la scala RPE sulla base dei punteggi previsti nella versione originale (da 6 a 20), tuttavia non risulta difficile convertire i valori dettati dall’autore estrapolandone la relative intensità nella scala originale. Comunque, se il praticante dispone di metodi più precisi per stabilire l’intensità, può essere suggeribile attenersi a questi dati, anche in concomitanza con l’uso della scala RPE, per poter raggiungere il livello adeguato secondo quanto previsto dal protocollo.

High Intensity Interval Training (HIIT)

Durante l’esecuzione del HIIT, viene data una possibilità di scelta relativamente ampia nella durata delle fasi ad alta (sprint) e a bassa (recupero attivo) intensità. L’autore precisa che sprint di maggiore durata esauriscono più glicogeno e tendono a causare un maggiore stress metabolico.

Tuttavia questi risultano anche molto duri e causano un grande accumulo di lattato, interferendo potenzialmente con il rilascio di acidi grassi che avviene al termine del HIIT. Se sprint di maggiore durata risultano troppo intensi, è possibile ridurne la durata, riducendo nel contempo anche la fase di recupero. Effettivamente sembra che questa modalità consenta di provocare la stessa risposta ormonale senza però generare troppo affaticamento e un eccessivo accumulo di lattato.

Nel contesto del SFP2.0, McDonald fornisce delle indicazioni più specifiche sulla durata dello sprint e del recupero attivo (o passivo se si desidera). Egli sostiene che sprint più brevi, e quindi più intensi, riescano a provocare una maggiore risposta ormonale, liberando una quantità di catecolammine superiore. Inoltre, sprint più brevi, connessi con intensità di picco maggiori, permettono all’atleta di non esaurirsi in vista del successivo steady state. Evitando elevati picchi di lattato, si attenuerebbe l’impatto negativo sull’intrappolamento degli acidi grassi negli adipociti. Pertanto, questa modalità andrebbe prevista nel primo HIIT all’inizio del protocollo.

La durata degli sprint ammonterebbe a 10-15 secondi, mentre le pause arrivano a 45-50 secondi. L’intensità indicata nel HIIT iniziale raggiunge valori massimali o vicini al massimale, cioè con un punteggio di 9-10 sulla scala RPE (corretta dall’autore). Questi livelli tradotti nel punteggio della scala originale equivalgono al 19-20, definibile come uno sforzo “estremamente duro/massimale”. Prevedibilmente, la percentuale del FCmax è relativa al 90% o superiore, che secondo una stima approssimativa (100% FCmax=220-età), potrebbe raggiungere livelli di 180-190 bpm per un soggetto di 20 anni, o 170-180 bpm per una persona di 30 anni. Questa intensità è altamente sconsigliata per persone poco o moderatamente allenate, anziani, decondizionati o con problemi fisici.

Nel HIIT finale egli indica al contrario sprint di maggiore durata e intensità inferiore, che hanno dimostrato di creare un maggiore impatto metabolico e un maggiore esaurimento del glicogeno. Dal momento che la deplezione del glicogeno aumenta l’ossidazione totale di grassi, questo indurrebbe un effetto favorevole nella fase post-allenamento (EPOC). In questo caso vengono suggeriti sprint di 30-60 secondi alternati a recuperi di 30-60 secondi.

L’intensità indicata nel HIIT finale raggiunge valori di 7-8 sulla scala RPE (corretta dall’autore), che sul punteggio della scala originale equivale a 17-18, cioè uno sforzo “molto duro”. La percentuale del FCmax in questo caso potrebbe equivalere al 85-90%, indicativamente a 170-180 bpm per un soggetto di 20 anni, o 160-170 bpm per una persona di 30 anni.

Riguardo alla durata o al volume del HIIT del SFP1.0, vengono normalmente prescritti 10 minuti totali, una tempistica dopotutto piuttosto ridotta rispetto alla durata media dei protocolli HIIT, la cui brevità è però compensata da intensità piuttosto elevate, con valori molto vicini alla capacità massimale (anche al 95% FCmax).

Il volume totale delle stazioni HIIT nel SFP2.0 viene dimezzata rispetto al SFP1.0, semplicemente perché ne vengono previste due fasi differenti da 5 minuti all’inizio e alla fine del protocollo, risultando infine in una durata complessiva delle stazioni anaerobiche analoga. L’autore offre ai soggetti allenati la possibilità di prolungare le fasi HIIT fino a 10 minuti (soprattutto in quello finale, meno intenso), ma le sconsiglia vivamente, sostenendo che tutti dovrebbero dapprima iniziare con una durata di 5 minuti.

Steady State Training (SST)

Secondo le indicazioni del fisiologo, l’attività aerobica durante lo steady state dovrebbe mantenersi su un punteggio di 3-4, cioè uno sforzo “leggero/moderato”. Nella scala RPE originale da 6 a 20, questo valore equivale ad un punteggio di 13-14, che potrebbe essere riconosciuto indicativamente come un livello di intensità relativo al 70-75% sul VO2max o sul FCmax (i principali parametri per misurare l’intensità effettiva nell’esercizio cardio).

Un’ulteriore indicazione fornita dall’autore per individuare l’intensità è quella di mantenere il battito cardiaco a 130-140 bpm, che secondo una stima approssimativa (100% FCmax=220-età) potrebbero ammontare a circa il 65-70% FCmax per una persona di 20 anni, o il 70-75% per una persona di 30 anni.

Nella versione originale del SFP1.0 McDonald prescriveva intensità vicine alla soglia anaerobica, sostenendo fossero più indicate per ossidare una maggiore quantità di grassi. La logica infatti consisterebbe nel mantenere l’intensità dello steady state al livello in cui l’ossidazione di grassi viene massimizzata, un punto che viene riconosciuto come zona lipolitica. Tuttavia, egli sembra aver fornito un dato inesatto, poiché la ricerca ha chiaramente stabilito che la zona lipolitica, sebbene variabile e individuale, viene normalmente raggiunta in un range di intensità per definizione moderato o intermedio, e non vicino alla soglia anaerobica.

L’intensità mantenuta vicino alla soglia anaerobica impone una netta riduzione dell’ossidazione lipidica a favore dell’impiego del glucidi. Nella versione migliorata del SFP1.0 e nel SFP2.0, l’autore suggerisce che, nonostante a suo dire intensità vicine alla soglia anaerobica riescano a massimizzare la spesa lipidica, queste risultano effettivamente troppo dure da mantenere durante lo steady state, proponendone quindi una riduzione portandola all’interno di range più moderati. Pertanto, riducendo l’intensità del SST, McDonald ha corretto questo aspetto, determinandone più probabilmente lo svolgimento nell’effettiva zona lipolitica.

Il volume dello steady state può variare da una durata minima di 20 minuti, ad una massima di 40 minuti. La durata minima è giustificata dal fatto che l’SST è un protocollo adatto per lunghe distanze (o lunghi periodi), e, almeno in condizioni normali, l’ossidazione di grassi non diventa rilevante se non a partire da circa i 20 minuti minimi di attività, cioè la tempistica in cui avviene la transizione dai processi aerobici glicolitici (impiego prevalente di glicogeno) all’attivazione dei processi aerobici lipolitici (impiego importante di grassi).

La durata massima limitata a soli 40 minuti è invece giustificata dal fatto che l’SFP è un programma particolarmente intenso, pertanto prolungare eccessivamente la fase steady state potrebbe rivelarsi una scelta controproducente, aumentando il rischio di sovrallenamento e di catabolismo muscolare. Sono numerose le ricerche che hanno chiaramente stabilito come un periodo di allenamento aerobico sul lungo termine possa portare ad un’importante riduzione della massa muscolare.

Inoltre, l’allenamento aerobico cronico può avere l’effetto di portare le fibre 2b ad assumere delle caratteristiche delle fibre tipo 2a e tipo 1. Quindi le fibre di tipo 2a e 2b (cioè le fibre adatte per la forza e la potenza, e le più ipertrofizzabili) tendono ad acquisire le caratteristiche tipiche delle fibre di tipo 1 (cioè le fibre adatte a sforzi lunghi e poco intensi). Il volume del SST viene comunque modulato anche in base al grado di allenamento del soggetto, all’intensità e il volume della prestazione anaerobica (pesi o HIIT), e all’eventuale svolgimento di una doppia seduta giornaliera.

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