L’ esercizio fisico a digiuno è una strategia di allenamento diffusa nel settore sportivo, soprattutto nell’ambiente fitness, che ipotizza la possibilità di ridurre maggiormente il grasso corporeo o di ottenere benefici generalmente maggiori se l’esercizio fisico viene svolto in stato di digiuno. Questa pratica nella quasi totalità dei casi si rivolge alla prima mattinata, dove il corpo viene mediamente da 8-10 ore di digiuno notturno, e nella maggior parte dei programmi prevede lo svolgimento di attività aerobica, la quale esalterebbe l’ossidazione di grassi durante l’esercizio.
Ad oggi la ricerca scientifica non ha mai effettivamente confermato se questa pratica possa risultare superiore rispetto all’allenamento a stomaco pieno, e, come è avvenuto per l’allenamento in zona lipolitica, molte credenze riguardo alla sua efficacia sono state smentite o messe fortemente in discussione.
La teoria
Considerare l’aspetto dietetico nel contesto dell’attività fisica è essenziale per una prestazione fisica ottimale. Per tanto, la manipolazione corretta della dieta in funzione dell’esercizio fisico fornisce un ambiente più favorevole per ottenere la perdita di peso. Per anni, diversi autori, “guru” del fitness e professionisti hanno ampiamente supportato la teoria che vede nell’esercizio fisico a digiuno di prima mattina (soprattutto esercizio aerobico) un metodo per massimizzare la spesa lipidica durante l’esercizio.
Tra questi, Chris Aceto, culturista, nutrizionista e allenatore di successo, nel suo libro Everything You Need to Know About Fat Loss del 1997 promuove questa metodica, e anche Bill Phillips, nel suo bestseller del 1999 Body for LIFE, sosteneva che l’esercizio aerobico di prima mattina a stomaco vuoto fosse il miglior modo per massimizzare la perdita di grasso.
La logica di questa teoria è la seguente: un’assenza prolungata di cibo durante le ore di digiuno notturno (indicativamente 8-12 ore) comporta una riduzione dei livelli glicemici (zucchero nel sangue circolante), provocando una riduzione delle scorte di glicogeno epatico (scorte di carboidrati immagazzinati nel fegato). Questa situazione obbliga il corpo a privilegiare il grasso come fonte energetica piuttosto che il glucosio, non solo nelle ore di digiuno, ma anche durante l’allenamento aerobico, ma soprattutto a bassa intensità (< 50% VO2max).
Inoltre, poiché l’insulina da carboidrati (l’insulina che viene stimolata dall’ingestione di carboidrati, o da pasti misti contenenti carboidrati) è nota per essere l’ormone che blocca il dispendio di grassi a favore dei carboidrati (portando al rideposito degli stessi grassi), sia in stato di riposo che durante l’esercizio fisico aerobico a bassa intensità, i bassi livelli di insulina associati al digiuno notturno sono favorevoli alla mobilizzazione dei grassi durante l’esercizio, e questo aumenterebbe la disponibilità di acidi grassi da utilizzare come energia durante la sessione di allenamento.
La strategia, piuttosto convincente perché basata su principi fisiologici ed endocrini ben accettati, è diventata molto popolare tra gli entusiasti del fitness e i culturisti, i quali ricercano l’ottenimento di una forma quanto più magra possibile. Tuttavia non vengono mai riportate delle documentazioni scientifiche concrete in grado di confermare se questa metodica possa ritenersi effettivamente utile o superiore rispetto all’esercizio a stomaco pieno.
Inoltre non viene mai considerato un aspetto fondamentale dell’alimentazione, ovvero che diversi macronutrienti (carboidrati, proteine e grassi) sono in grado stimolare diverse reazioni metaboliche in base alla loro natura. Per tanto alcuni cibi sono in grado di inibire l’ossidazione di grassi, mentre altri hanno un effetto permissivo su questo processo, senza che vadano ad ostacolare il dispendio lipidico durante l’esercizio.
Metabolismo e digiuno: cenni fisiologici
La teoria dell’allenamento a digiuno si fonda effettivamente su processi metabolici confermati in letteratura, tuttavia la sola interpretazione di questi dati non può confermare l’efficacia di questa pratica ai fini del dimagrimento, in quanto si tratta di un argomento molto complesso che necessita di essere approfondito più nel dettaglio. Ad ogni modo possono essere accennati i principi fisiologici del digiuno notturno per poter chiarire il suo funzionamento.
Durante il digiuno notturno, l’assenza di assunzione di nutrienti porta ad alterare l’equilibrio insulina-glucagone aumentando le concentrazioni plasmatiche di glucagone e riducendo le concentrazioni di insulina. Questo porta l’omeostasi dei substrati a passare dai processi di accumulo (processi anabolici) ai processi di mobilizzazione dei substrati e di produzione energetica (processi catabolici). Quando i livelli di glucosio scendono al di sotto della soglia di ipoglicemia, vengono rilasciati gli ormoni catabolici controregolatori, risultando in un ulteriore aumento della produzione di glucosio.
Gli ormoni controregolatori possono essere suddivisi in due tipologie: gli ormoni ad azione rapida (catecolammine eglucagone); gli ormoni ad azione lenta (GH e cortisolo). Nel digiuno a breve termine, come quello notturno, ricoprono un ruolo più importante gli ormoni ad azione rapida. Il glucagone agisce principalmente stimolando la produzione epatica di glucosio a partire da diverse ore dall’ultima assunzione di un pasto contenente carboidrati.
Le catecolammine (adrenalina e noradrenalina) agiscono sopprimendo ulteriormente la secrezione di insulina, mentre stimolano la gluconeogenesi epatica e renale, inibendo l’utilizzazione periferica del glucosio, e stimolando la lipolisi (la mobilizzazione dei grassi depositati). Questo processo provvede a fornire i substrati per la gluconeogenesi(glicerolo), e fonti energetiche alternative per il muscolo (FFA e corpi chetonici). Le catecolammine e il glucagone agiscono in maniera indipendente, ed entrambi sono richiesti per un’adeguata risposta glicemica.
Durante il digiuno, quindi, il glucosio non entra più in circolo dal tratto gastrointestinale mediante l’assunzione alimentare, ma deriva principalmente dal catabolismo del glicogeno epatico (glicogenolisi epatica), e, mediante gluconeogenesi (conversione del glucosio da substrati non glucidici), ricavandolo da molecole quali lattato, amminoacidi e glicerolo, un processo che avviene per la maggior parte nel fegato, ma in minima parte può avvenire anche nel rene e negli intestini in periodi di digiuno molto avanzato.
Il lattato è prodotto dal metabolismo del glucosio nei tessuti periferici in equilibrio col piruvato, che a sua volta deriva da molteplici vie metaboliche e dagli aminoacidi, venendo riconvertito tramite il Ciclo di Cori. Dei vari aminoacidi glucogenetici (alanina, treonina, glicina, acido glutammico), l’alanina prodotta dal catabolismo delle proteine nel muscolo scheletrico gioca una ruolo preminente.
Il catabolismo proteico è reso possibile dalle riduzioni di insulina circolante. Infine, un importante substrato glucogenetico durante il digiuno è il glicerolo, che deriva dall’idrolisi dei trigliceridi nel tessuto adiposo. In questa fase, gli acidi grassi liberi (FFA) provenienti dall’idrolisi dei trigliceridi depositati nel tessuto adiposo diventano il carburante principale per sostenere le richieste energetiche.
Alcuni tessuti, come il muscolo scheletrico e il fegato, sono in grado di aumentare l’utilizzo di FFA a scapito del glucosio per aumentarne la disponibilità al sistema nervoso centrale (SNC) e altri tessuti strettamente dipendenti dal glucosio (tessuti glucosio-dipendenti).
Durante le prime fasi del digiuno, il glicogeno epatico rappresenta la principale fonte di glucosio disponibile, riuscendo a coprire la domanda per 12-14 ore, se le scorte sono sufficienti. Il glucagone sembra essere necessario per la glicogenolisi epatica durante questo periodo, anche se un aumento del glucagone plasmatico non sembra essere lo stimolo principale. Dopo il digiuno notturno, il tasso di utilizzo medio del glucosio da parte di un uomo sano è di 7 grammi per ora. Considerando che le riserve di glicogeno epatico ammontano approssimativamente a 70-80 grammi, queste possono fornire glucosio al cervello e ai tessuti periferici per 12-16 ore.
Due eventi in particolare permettono di mantenere stabili i livelli di glucosio durante questa fase: il muscolo scheletrico e altri tessuti iniziano ad ossidare substrati di origine lipidica al posto del glucosio; la gluconeogenesi epatica, simolata anche dagli acidi grassi, sostituisce la glicogenolisi epatica come principale fonte di glucosio disponibile in circolo. Il catabolismo del glicogeno presente nel muscolo non viene rilasciato nel circolo ematico, e dopo il digiuno notturno la gluconeogenesi del fegato è di minore importanza.
Due fattori sono in grado di stimolare il catabolismo dei trigliceridi depositati nel tessuto adiposo durante il digiuno: le concentrazioni di insulina circolante si riducono significativamente, di conseguenza la sintesi di trigliceridi (lipogenesi) viene soppressa e la lipolisi (la mobilizzazione degli stessi) viene enfatizzata. Inoltre, la noradrenalina viene secreta dalle terminazioni nervose simpatiche stimolando direttamente la lipolisi aumentando i livelli di adenosina monofosfato ciclico (cAMP) negli adipociti. L’adrenalina, che è secreta dalla midollare dei surreni, sembra giocare un ruolo meno importante in questo processo. Come accennato, tra i principali tessuti che sono in grado di utilizzare lipidi al posto del glucosio spiccano il muscolo scheletrico e il fegato.
Diverse sono le condizioni cataboliche del digiuno prolungato dopo 12-16 ore, in cui le riserve di glicogeno epatico vengono esaurite, e il processo catabolico “di emergenza” della gluconeogenesi diventa prevalente, enfatizzando l’approvvigionamento di glucosio dalla conversione di altre molecole non glucidiche, che come menzionato sono lattato, glicerolo e amminoacidi derivanti dalla disgregazione del muscolo scheletrico (proteolisi muscolare). È in questa sede che intervengono in maniera maggiore gli ormoni controregolatori ad azione lenta quali GH e cortisolo, che necessitano di diverse ore per essere evidenti.
Quindi questi ormoni giocano un ruolo minimo nella prevenzione acuta dell’ipoglicemia, ma sono importanti per la prevenzione dell’ipoglicemia durante il digiuno prolungato. I cortisolo stimola sia la gluconeogenesi epatica che la lipolisi, risultando in un aumento dei livelli di FFA e glicerolo. Il GH ha simili effetti sulla lipolisi e sulla gluconeogenesi, mentre simultaneamente sopprime l’utilizzo periferico di glucosio. Entrambi questi ormoni favoriscono la lipolisi e forniscono substrati gluconeogenici, così come FFA e corpi chetonici, che sono usati come fonti energetiche alternative.
Il catabolismo delle proteine si riduce sensibilmente dopo il terzo giorno di digiuno. Ciò avviene a causa dell’aumento della sintesi epatica di corpi chetonici e nel contempo una sensibile riduzione dell’utilizzazione totale di glucosio da parte dei tessuti periferici e centrali. Questo porta quindi ad un tasso catabolico del muscolo notevolmente inferiore per via di una ridotta necessità di fornire substrati glucogenetici.
Il parere di alcuni professionisti
« Sono d’accordo che si brucia un mix di percentuali diverse che è leggermente superiore per i grassi se ci si allena a stomaco vuoto; in ogni caso, penso che la questione sia: importa? Io ritengo che noi abbiamo un totale di calorie immagazzinate in maniera diversa nel corpo [grasso, glicogeno, ecc.], quindi le calorie bruciate provengono tutte da quel medesimo totale. Pertanto, non importa proprio se la percentuale del grasso nel mix è un pochino maggiore. Se si tratta di attingere dalle riserve di grasso a quel momento, allora si attinge meno dalle riserve di glicogeno e pertanto sarà un po’ meno probabile che le calorie consumate in futuro siano immagazzinate sotto forma di grasso perché le riserve di glicogeno sono un po’ più piene. Quindi è tutta una scusa poco verosimile. » (Greg Landry, phD. The Metabolism System for Weight Loss. 2000.)
« Tutte le ricerche dicono che si brucia una notevole proporzione di grassi in questo modo, cosa sulla quale sono d’accordo al 100%. La maggioranza delle ricerche indica che fintanto ci si riferisce al dimagrimento nel mondo reale, non importa cosa bruciate. Invece importa l’equilibrio calorico nelle 24 ore. Se bruciate il glucosio durante l’allenamento, bruciate più grassi durante la giornata. Se bruciate i grassi durante l’allenamento, bruciate più glucosio durante la giornata. Il risultato finale è identico. Se le cose non stessero così, gli atleti come i velocisti, che non bruciano mai i grassi durante l’allenamento, non sarebbero tirati. In pratica, bruciano così tante calorie che rimangono in equilibrio tra quelle introdotte e quelle consumate e non ingrassano. Quindi, anche se l’aerobica di mattina dà qualche beneficio psicologico ai bodybuilder che si sono programmati di fare così, non posso dire che io penso abbia come risultato un dimagrimento reale, che è la cosa più importante. » (Lyle McDonald, The Ketogenic Diet)
« Il modo più veloce per attingere ai depositi adiposi è fare l’aerobica come prima cosa la mattina a stomaco vuoto » (Chris Aceto)
« Se si fa sollevamento pesi al mattino, consiglierei di consumare prima un pasto leggero, in quanto al mattino i livelli di zucchero ematico sono molto bassi e l’allenamento li abbasserebbe ancora di più. Questo fatto causa nausea e vertigini alla maggior parte delle persone. Se si tratta di eseguire una sessione aerobica breve a bassa intensità, allora [a stomaco vuoto] non dovrebbero esserci problemi, tranne il fatto che l’attività aerobica può compromettere il tessuto muscolare. » (Charles Poliquin)
« Lo stomaco vuoto può causare fatica più rapidamente quando ci si allena. Stancarsi troppo presto può portare ad un allenamento non ottimale. Se andate direttamente alla palestra prima di fare colazione, questa strategia può compromettere la vostra capacità di lavorare al vostro livello di prestazioni ottimali. Un piano migliore è mangiare prima una colazione veloce o uno spuntino che contiene sia proteine che carboidrati, come cereali integrali con latte magro. » (Jenna A. Bell-Wilson, Ph.D., RD, LD.)
Controversie e dati scientifici
In primo luogo, ciò che potrebbe essere messo fortemente in discussione, soprattutto con l’evoluzione scientifica degli ultimi anni, è che il dispendio calorico durante l’allenamento non è un dato realistico per poter valutare l’efficacia di un programma di allenamento mirato alla riduzione della massa grassa, a maggior ragione se vengono solo stimate all’interno di questo conteggio le calorie apportate dai soli grassi. Ciò è dato dal fatto che il dispendio energetico/calorico associato all’esercizio fisico include sia l’energia spesa durante lo stesso, sia quella spesa nel periodo successivo (Binzen et al., 2001). Tuttavia le classiche stime del dispendio calorico si limitano a valutarlo solo durante l’esercizio e non nel periodo successivo.
Il metabolismo opera naturalmente in maniera più complessa. Esso regola continuamente l’uso di grassi e carboidrati come carburante a seconda di una certa varietà di fattori. Come regola generale, se si bruciano più carboidrati durante l’attività fisica, in ultima analisi, si bruciano più grassi nel periodo post-allenamento e viceversa (Hansen et al., 2005). Secondo i ricercatori, l’impiego energetico dei grassi in realtà deve essere considerato nell’arco di tutta la giornata – non ora per ora – per avere una prospettiva significativa del suo impatto sulla composizione corporea. In questo contesto il digiuno presenta dei notevoli svantaggi, in quanto porta ad una riduzione significativa del dispendio calorico nelle 24 ore post-esercizio rispetto all’assunzione di cibo nel pre-allenamento, e può facilmente ridurre la massa muscolare, un fattore che come si potrà vedere, influisce in negativo sul dimagrimento.
Digiuno a lungo termine
Ventiquattro ore di digiuno risultano in un aumento delle concentrazioni di catecolammine circolanti, un aumento della lipolisi, un aumento delle concentrazioni di acidi grassi liberi (FFA), e un decremento del ricambio di glucosio. Tuttavia le riserve di glicogeno muscolare rimangono invariate dopo il digiuno. Viene riportato che 24 ore di digiuno non abbiano effetto sulle capacità di endurance a basse intensità (45% VO2max), Zinker et al. osservarono una riduzione del 38% della prestazione al 50% del VO2max, Loy et al. riportarono un decremento dal 15 al 63% della prestazione dal 79 al 86% del VO2max, mentre Gleenson et al. riportarono un decremento della performance al 100% del VO2max. Il decremento della prestazione non era reversibile con l’assunzione di carboidrati durante l’esercizio.
Dall’analisi di questi dati, si può concludere che il digiuno a lungo termine (tempo medio 24 ore) riduce fortemente la prestazione. In sintesi, il digiuno aumenta la disponibilità dei substrati lipidici e aumenta l’ossidazione di grassi a riposo e durante l’esercizio. Tuttavia, dal momento che le riserve di glicogeno non vengono mantenute, la resistenza alla fatica e la performance vengono compromesse. Il digiuno prolungato tuttavia presenta un altro aspetto negativo, in quanto è un forte stimolatore della perdita di muscolo scheletrico Ad ogni modo, l’allenamento dopo un digiuno prolungato più delle ore notturne non viene considerato nelle classiche metodiche finalizzate ad un maggior utilizzo di grasso durante l’esercizio, tra i vari motivi, perché in questo modo la perdita di massa muscolare indotta può compromettere a sua volta il dimagrimento a lungo termine, ma anche per ulteriori effetti avversi che questo evento può provocare, come l’incapacità di mantenere la prestazione, o l’instaurarsi di uno stato di acidosi.
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