Questo articolo è stato proposto da Giovanni D’Alessandro moderatore nel nostro Forum con il nickname di Tonymusante. Giovanni è nato a Roma il 20/12/1962; pratica sin dall’infanzia diverse discipline sportive tra cui, a livello agonistico, atletica leggera e biathlon atletico, nel quale è stato al vertice per molti anni vincendo titoli e criterium nazionali. Qui la discussione originale con le repliche dei partecipanti.

Oggi, in piena era di diffusione internet, è senz’altro più facile attingere a informazioni, studi ed archivi di quanto non fosse possibile anche solo 15 o 20 anni fa.

Questo dato, nel nostro sport, ci ha permesso non solo di leggere e scaricare tutte le novità e le esperienze americane dal Westside di Simmons agli articoli di Pure Power, Ironman ecc. ma anche di intaccare, in parte, il mito dei pesisti dell’Est, cominciando ad avvicinarci alle sistematiche riconducibili a Sheiko e Smolov, sia pur ancora leggermente capziose e fraintendibili, in quanto scritte in lingua originale russa e non dirette alla diffusione verso il grande pubblico come invece nella logica del business americano.

I confronti tra le diverse scuole ci consentono approcci e riflessioni su realtà completamente diverse e su metodiche di allenamento quasi opposte.

Un certo scalpore ha denotato la progressione sistematica di lavoro in multifrequenza – attuato proprio da Sheiko – e, di fatto, consistente nella ripetitività quasi ossessiva degli esercizi di gara in sessioni di allenamento quotidiane o addirittura bigiornaliere.

Le versioni che da più parti vengono fornite sulla effettiva realizzazione di questa metodica, con interpretazioni spesso forzate e contraddittorie delle singole applicazioni pratiche, hanno creato un alone leggendario attorno alla figura di questo indubbiamente grande tecnico del powerlifting, al punto da far passare in secondo piano un aspetto importante quasi quanto i suoi stessi sistemi di allenamento: vale a dire, che il concetto della multifrequenza o multi ripetitività degli esercizi di gara negli atleti di élite non è certo nuovo nei paesi dell’Europa orientale né riconducibile a lui bensì praticato da alcuni decenni, in diverse specialità della pesistica, da altri illustri allenatori oltre che in svariati paesi.

Pavel Dobrev

Il problema fondamentale delle scarse conoscenze reperite in passato sulla materia era dovuto – come in parte ricordato – essenzialmente a due fattori: l’esistenza, fino a meno di 20 anni fa, della famigerata cortina, che rendeva impenetrabile ed oscuro il mondo dell’ex impero sovietico in tutti i campi e, pertanto, anche in quello della ricerca sportiva; in secondo luogo ed anche dopo la caduta del muro ed il crollo dell’URSS, l’impossibilità permanente – in assenza del web – di attingere poco più che informazioni sporadiche e lacunose da una società ostinatamente chiusa e restia ad allestire e pubblicizzare novità editoriali o ricerche universitarie a doppio cieco, atte ad esser confrontate con quelle di altre scuole ed esaminabili, in primis, da ricercatori ed esperti del settore.

In realtà, la dottrina (definiamola così) della multifrequenza – dove ormai è acclarato intendersi la frequenza ripetitiva delle sessioni di allenamento, che vertono sugli esercizi base, sia pur con marcate differenze di routine in ciascuna di esse – è nata molto prima di Sheiko e, come quasi sempre nell’ambito degli sport aventi oggetto i pesi, ha origine con il sollevamento pesi olimpico soprattutto nella ex DDR ed in Bulgaria.

Dal weightlifting il concetto fu dilatato ed esteso al powerlifting, con notevoli successi tra gli anni ’80 ed i primi del ’90.

Qui di seguito, riporto un documento a mio avviso interessante e consistente in un’intervista, per quei tempi piuttosto rara, concessa ad Oreste Nigro da uno dei massimi maestri della pesistica dell’Europa dell’est, il prof. Pavel Dobrev (nella foto sopra).

L’intervista fu pubblicata a metà degli anni ’90, già tradotta, sul periodico italiano Powerlifting & bodybulding diretto da Giuseppe Termine, all’epoca impegnato con la FIPL.

Chiaramente quello che segue è un riassunto – anzi – direi un cenno per sommi capi del pensiero della scuola bulgara: non vuole contenere indicazioni operative e programmatiche di allenamento né rappresentare valori ideali di pianificazione.

Aleksandar Varbanov

E’ soltanto un contributo per far conoscere una realtà a noi sicuramente inimmaginabile – in quegli anni – e che ha prodotto i frutti di una grande corrente di pensiero non inferiore a quelle americane o dei paesi del cosiddetto occidente.

Da sottolineare che alcune osservazioni contenute nell’articolo, ora abbastanza scontate se lette con la lente dei giorni nostri, erano allora assolutamente innovative per atleti e tecnici italiani.

L’articolo si apre con una compendiosa quanto doverosa presentazione di questo santone della pesistica bulgara e quindi mondiale per quei decenni presi in esame.

Il prof. Pavel Dobrev è stato per un ventennio (1957/1977) il Direttore tecnico della nazionale bulgara di sollevamento pesi, ha personalmente allenato e seguito il due volte campione olimpico Norair Nurikian ed in virtù dei suoi meriti sul campo gli è stato conferito il titolo di Gran Maestro dello Sport, massima onorificenza dello sport bulgaro.

Ha conseguito diversi dottorati inerenti non solo alla pesistica ma concernenti anche la gerontologia e la pedagogia, è stato autore di numerose pubblicazioni ed ha partecipato ad oltre 80 conferenze internazionali.

Nella pratica sportiva agonistica: stabilì nel 1954 (appena ventenne), con un peso corporeo di soli 67kg., il record di slancio ad una mano con 85kg. (annotazione personale: negli anni ’50 questa prova veniva praticata come manifestazione di forza pura e anche negli USA vi furono diverse esibizioni di Grimek sulla specialità).

Passato a praticare il powerlifting in età matura, è stato campione e recordman master in Bulgaria con un totale di 675kg ottenuti con un peso personale inferiore ai 90kg. e senza chiaramente la possibilità di utilizzare l’attuale attrezzatura.

L’intervista si svolge a Sofia, nello studio del Professore, dove l’intervistatore ospite (il menzionato Nigro) cerca di carpire qualche segreto a Dobrev il quale, pur affabile e cortese, si mostra alquanto abbottonato sulle tematiche più scottanti cercando, peraltro comprensibilmente, di non scendere troppo nei dettagli degli studi e dei macrocicli di allenamento specifici, riuscendo ciononostante ad aprire un quadro visivo di una mentalità, di un concetto del lavoro sportivo e delle conseguenti metodiche completamente estranee alla nostra cultura.

Si precisa ulteriormente, per dovere bibliografico, che il testo integrale dell’intervista a Pavel Dobrev è possibile rintracciarlo sul n. 4 di Powerlifting and bodybuilding relativo al bimestre gennaio/febbraio dell’anno 1995.
N.B.) Le notazioni tra parentesi, ove inserite, costituiscono mie aggiunte esplicative indicate con l’abbreviazione integrate al testo n.d.r.

Domanda

Secondo lei, ogni quanto tempo è consigliabile allenare ogni singolo muscolo?

Risposta

Affinché vi sia un carico allenante sufficiente per stimolare l’ipertrofia e per ricevere tutte le risposte fisiologiche del nostro organismo indispensabili per l’accrescimento della forza, sarà necessario lavorare su ogni muscolo giornalmente.

Domanda

Questo che lei afferma è molto differente da quanto previsto nei nostri programmi occidentali: 2 allenamenti, massimo 3, per settimana per ogni gruppo muscolare. Qualcuno potrebbe obiettare che le sue considerazioni vadano bene solo per gli utilizzatori di steroidi ?

Risposta

(il professore ovviamente glissa sul secondo aspetto della domanda, in realtà piuttosto ardita – n.d.r.)
Con i miei quasi 50 anni di esperienza nel campo dell’Atletica pesante, ho potuto notare come persone che si allenano 2 volte a settimana passino a 3 con molta difficoltà, così come chi si allena 3 o 4 volte a settimana riesce difficilmente ad adattarsi ad aumentare gli allenamenti a 5 o 6.

Nello stesso tempo, però, ho notato che coloro che si sono mostrati disponibili ad allenare giornalmente tutto il corpo hanno ottenuto i risultati migliori; tutto questo, in quanto la capacità di adattamento dell’organismo a sopportare è proporzionale alle condizioni nelle quali lo facciamo lavorare.

Approfondite sperimentazioni tecnico/pratiche hanno dimostrato, senza ombra di dubbio, che i risultati migliori non vengono col soggetto in condizioni fisiche ideali bensì in condizioni di recupero incomplete.

Certamente un atleta in preparazione ad una gara dovrà diminuire, negli ultimi 10/15 giorni, il volume di lavoro (Dobrev precisa che intende trattarsi di meno tonnellate da sollevare in allenamento – n.d.r.) e, negli ultimi 3, 4, 5 giorni, anche i carichi di allenamento (riduzione di intensità); infine, riposando 2 gg. prima della gara si otterrà il culmine del fenomeno di super compensazione.

Domanda

Scusi Professore – vorrei ancora insistere su questo punto – gli americani allenano i powerlifters anche con un solo allenamento settimanale sulla specialità, eppure tutti vediamo i risultati raggiunti.

Risposta

In un arco di tempo di pochi anni i nostri atleti raggiungeranno anche nel powerlifting i risultati già ben noti ottenuti nel weightlifting e, quando ciò accadrà, vi sarà per gli atleti dell’Europa orientale lo stesso riconoscimento che attualmente viene attribuito agli atleti americani.

Già trenta anni fa predissi il successo che i bulgari avrebbero avuto nel sollevamento pesi : adesso posso anche affermare che, non appena riusciremo a potenziare la nostra struttura con un’organizzazione e dei finanziamenti sufficienti, riusciremo ad avere altri campioni che seguiranno le tracce lasciate dai nostri due più forti triboizi (powerlifters) e cioè: Evelin Petrov (allora campione europeo dei -56kg.) e Evgheni Popov (+125kg).

La realtà americana è profondamente differente dalla nostra: personalmente, in base a precisi studi, mi sento di affermare che il nostro risulta essere il metodo migliore per un rapido e duraturo incremento della forza, in tutte le forme.

Oltretutto, l’invecchiamento che colpisce il nostro organismo è inesorabile; per limitare tale processo è necessario allenarsi quotidianamente tramite un uso funzionale dei carichi di lavoro.

Domanda

Qual è quindi, secondo lei, lo schema migliore per allenare The Big 3 nell’arco di una settimana?

Risposta

La distensione su panca andrà fatta ogni giorno, Squat e Stacco a giorni alternati: questo perché non conviene utilizzare gli stessi gruppi muscolari per più esercizi nello stesso giorno.
L’allenamento su panca sarà più leggero e piacevole degli altri perché la posizione orizzontale del corpo è quella che permette al cuore di funzionare al meglio.

Domanda

Secondo i suoi studi, qual è la percentuale ideale di carico per un allenamento e quante le ripetizioni ideali per serie, in rapporto al carico usato?

Risposta

L’ideale è mantenersi, prevalentemente, fra l’80 ed il 100%. Le ripetizioni – è un concetto indicativo – dovranno spaziare da 3 a 12, con le seguenti percentuali:
100% – 1 rip. solo in alcuni casi,
95% – 2 rip.
90% – 3 rip.
85% – 4/5 rip.
80% – 5/6 rip.
per stimolare ulteriormente il processo di ipertrofia, è consigliabile l’uso di un back-set condotto in un range fino a 10-12 ripetizioni.

Domanda

Quale, allora, uno schema ideale per un allenamento di Squat/Bench/Stacco?

Risposta

(a questo punto Dobrev modifica le precedenti percentuali lasciando intendere come vi sia un’applicazione diversa del carico a seconda dell’esercizio, del livello dell’atleta, del mesociclo in esame e dell’obiettivo prefissato. Tuttavia è evidente l’intenzione di non voler passare dal chiarimento dei concetti base e della filosofia di allenamento a rischiose esemplificazioni applicative sulle quali dover poi operare molti distinguo – n.d.r.)

Penso che un ottimo schema possa essere il seguente:
60%x6 – 70%x4 – 80%x3 – 90%x2 (talvolta 100%x1)  poi
90%x2/3 – 85%x3 – 80%x4/5 – 70%x7/8

Domanda

( l’intervistatore prova ad insistere ed a chiedere altre spiegazioni sul lavoro con le alte percentuali).
Alla scuola bulgara viene accreditato un sistema che comprende, nello stesso allenamento, l’esecuzione di 5, 6, 7 ed anche più set singoli, con carichi attorno al 100%. Può essere un buon metodo per l’incremento della forza?

Risposta

(Dobrev, in linea con la sua tradizione culturale e con la mentalità del suo paese all’epoca, ammette ma è ancora evasivo – n.d.r.)
Bisognerà eseguire più ripetizioni per l’esercizio di distensione su panca, mentre si dovrà fare particolare attenzione a rispettare gli schemi delle ripetizioni previste e segnalate per quanto riguarda lo Squat ed il Deadlift.
Sempre per questi esercizi sarà poi importante eseguire estensioni e rotazioni del busto tra le serie. Così facendo si potrà allontanare il pericolo di dolori e traumi alla colonna vertebrale.

Domanda

Qual è il tempo ideale per far riposare un muscolo?

Risposta

L’ideale è un riposo di 24 ore. Trascorse 48 ore può già aversi un iniziale decremento della forza, dopo 72 ore c’è una perdita di forza più marcata ed un indebolimento di tutto l’apparato scheletrico muscolare.

Domanda

Professore, per finire, avrebbe un consiglio importante da dare ai praticanti che si sono avvicinati da poco al powerlifting?

Risposta

Una legge assolutamente da rispettare è quella di non aumentare mai i carichi di lavoro in maniera indiscriminata, ma solo in seguito ad un processo di adattamento del corpo che si estrinsecherà con l’aumento della forza, altrimenti si corre il rischio di ottenere l’effetto opposto.

Il commento

La prima obiezione che può essere facilmente mossa consiste nel rilevare come, al giorno d’oggi, alcune di queste riflessioni ci sembrino scontate e banali mentre altre sono sicuramente da interpretare e rivisitare in chiave critica; tuttavia ciò che mi preme rimarcare è la concezione di fondo alla base di questa scuola, imperniata sulla monotona ripetitività del gesto di gara e sull’amore per il lavoro e la meticolosa ricerca, che – senza nulla togliere ad altre scuole di grande valore e degne di essere studiate con la medesima obiettività, lo stesso ammirato rispetto e pari coscienza critica – ha costituito innegabilmente un caposaldo per la formazione e preparazione atletica di molti tecnici (inclusi alcuni miei maestri) nello sviluppo della teoria dell’allenamento in Italia, da una fase puramente o quasi empirica ad una modernamente scientifica. 

Resta deluso dall’intervista colui che pretenda di scorgervi linee guida per predisporre una scheda programmatica di allenamento o lo scoop di nuove indicazioni segrete sul numero magico di serie, ripetizioni e carichi, piuttosto di ravvisarvi un’importante occasione di riflessione su una metodologia di lavoro.

Come già in altre occasioni ricordato, occorre distinguere tra i metodi ed i sistemi. I primi sono delle filosofie di lavoro basate su alcuni concetti guida : ad es. è metodo il coniugato, che parte dalla necessità di allenare con diverse esercitazioni speciali ad alta intensità le singole frazioni o movimenti parziali di un esercizio gara; al contrario la multifrequenza – pur essa metodo – abbandona generalmente molti complementari per concentrarsi sulla ripetitività degli stessi movimenti, sia pur con protocollo diversi in ogni seduta.

I secondi, cioè i sistemi, sono delle applicazioni pratiche dei metodi“, vale a dire delle routine organicamente studiate e sistematizzate da grandi allenatori per attuare nella pratica i concetti metodologici prescelti in base alla realtà sociale in cui operano, ai diversi obiettivi che devono porsi, alle norme regolamentari che disciplinano la loro attività sportiva in quel paese o in quella realtà federativa piuttosto che in un’altra e, infine, al materiale umano su cui si trovano ad operare.

Così, per intenderci, il westside è un sistema ideato da Simmons per l’applicazione del coniugato ma non è l’unica forma di coniugato; allo stesso modo Sheiko ha predisposto un sistema di multifrequenza diverso dal sistema ideato da Korte (Korte 3×3) o da quello bulgaro, pur avendo alla base lo stesso principio metodologico (ripetitività dell’esercizio nel microciclo) diverso dal principio dei sistemi coniugati.

Dobrev non avrebbe mai potuto – nel breve spazio di un intervista – codificare un sistema di allenamento da confezionare seduta stante al nostro intervistatore (che difatti non lo pretendeva), adatto su misura ad atleti a lui sconosciuti, che si allenavano in altri paesi, con gare ed obiettivi diversi e per non si sa quale stagione agonistica.

Neppure avrebbe avuto senso che si fosse messo a sciorinare una serie di dati aridi e per noi insignificanti, relativi magari ai mesocicli di allenamento sostenuti da Popov prima di partecipare ai mondiali.

Quand’anche l’avesse fatto, cosa ci avremmo guadagnato? Forse che qualche benpensante si copiava ed aggiustava le percentuali alla sua maniera di un programma bulgaro da far eseguire in palestra ai suoi volenterosi ragazzotti, solo perché lo ha eseguito così pure il campione dei + 125kg? (che poi è, ne più ne meno, quel che spesso accade quando si pretende di scaricare da internet ed interpretare le routine in cirillico che un Phd ha impostato per il fuoriclasse X – sulla base di analisi ed accorgimenti soggettivi, qualificati e determinati per il momento – e trasferirle a se stessi senza sufficiente background o a qualche malcapitato che fa 100 di panca orizzontale).

L’aspetto nuovo da cogliere al volo nel messaggio lanciato, neanche troppo tra le righe, nei sommari concetti di un fugace incontro era la filosofia alla base di quella cultura d’allenamento: comprendere che non esisteva solo il 5×5 da fare 1 volta a settimana insieme ad un’altro allenamento sulle 2 o 3 ripetute – come ci insegnavano – perché il primo è di forza generale e il secondo è più adatto a quella specifica; capire che non era necessariamente detto che un allenamento doveva durare max 50′, altrimenti poi subentra il cortisolo (che subentrerà sempre prima se il fisico non si abitua mai a varcare quella soglia!); rendersi conto che la novità dell’ Heavy Duty già prima importata dall’America non era poi l’unica e se noi, filo occidentali, venivamo facilmente a sapere che Mentzer riteneva sufficiente 1 serie ad alta intensità come stimolo allenante e che troppe serie sono controproducenti (5/6 max.8 se proprio ti vuoi far male), esisteva pure chi sosteneva esattamente il contrario (cioè, tante serie per tanti giorni ad intensità minore ed incrementabile solo con il progressivo adattamento allo stimolo allenante).

Riflettere, in sintesi, che non c’era una verità o magari un paio di strade percorribili ma culture e mondi diversi, che avrebbero potuto essere o meno adattabili a ciascuno di noi a seconda delle circostanze o delle proprie attitudini, ma era importante sapere che c’erano e che la scelta tra scuole diverse e linee guida opposte, eppure altrettanto valide, esisteva e stava alla nostra intelligenza, alla voglia di sperimentare, alla capacità di distinguere ed all’entusiasmo di poterle studiare ed apprendere, la chiave per verificare “quanto e se” avrebbero potuto essere applicate ed in tal modo contribuire a incrementi prestazionali.

Personalmente, seguendo anni dopo un programma studiato dal mio maestro Violanti – che, insieme ad altri, tradusse alcune linee guida di questi concetti adattandoli ad altre realtà – arrivai, dopo un periodo di stallo, a incrementare notevolmente i miei carichi di panca raw, partecipando consecutivamente a 3 mondiali assoluti di bench press.

Lo stressor assolutamente nuovo rispetto ai miei precedenti allenamenti abituali fu costituito da un programma da 3 x week di sola bench press, con 20/25 serie per sessione a cui si aggiungeva settimanalmente un lavoro di eccentriche ed isometriche: se qualcuno, soltanto un anno prima, mi avesse preconizzato che mi sarei sottoposto – digerendolo peraltro assai bene – ad un allenamento del genere, lo avrei preso per pazzo.

Ovviamente il tutto va modulato in rapporto all’età ed all’esperienza agonistica del soggetto; non mi sognerei di proporre lo stesso allenamento ad un mio atleta di categoria juniores, se non altro perché poi . . non saprei cosa propinargli a 30 anni!

D’altro canto, sarebbe altrettanto superficiale credere che questa metodologia – attuata beninteso e come sempre, ai massimi livelli, perlopiù da atleti supportati – non preveda comunque alternanza tra sedute leggere e pesanti; al contrario, la moderazione dei carichi fino all’adattamento progressivo è proprio una caratteristica dei sistemi di multifrequenza rispetto ai coniugati dove, talvolta, si è indotti a cercare il max. o lavorare su percentuali ad esso molto vicine, ogni 3 settimane, sia pur in esercizi diversi.

Quando Dobrev parla di percentuali lo fa genericamente (e come diversamente avrebbe potuto nello spazio di una risposta) citando i valori della cosiddetta piramide di Harre (codificata appunto da Dietrich Harre nella ex Germania Est).

Proprio Dobrev, però, si preoccupa di raccomandare di non aumentare mai i carichi di lavoro in maniera indiscriminata ma solo in seguito ad un processo adattivo del corpo.

Tra le linee guida dei programmi basati sulla multifrequenza c’è proprio la predominanza della ripetitività del gesto atletico a discapito di una continua ricerca dell’intensità del carico: in una settimana cioè, pur allenandosi quotidianamente sulla bench press, saranno alternate sedute di minor intensità ad altre maggiori, alcune convenzionali ad altre speciali (isometriche/eccentriche) ad altre ancora di panca con impugnatura variabile (più stretta o più larga), con la board press, a movimenti incompleti ecc. sempre però con lo sfondo predominante dell’esercizio principe da ripetere fino alla nausea; lo stesso ovviamente può dirsi per le sedute di squat o stacco, dove il discorso appare più semplice, in questa delimitata fattispecie, in quanto trattasi di sole 3 sessioni settimanali, nella stesura originaria di Dobrev.

Anche il discorso sulla percentuale del 100% è generale, come fatto intuire proprio dal Professore nell’accenno sulla saltuarietà del ricorrervi e nella evasività riguardo alla domanda sulle singole alzate, che risulta del resto viziata in partenza da riferimenti non precisi del nostro intervistatore (nella scuola bulgara, infatti, la ripetitività delle alzate singole non implica per forza il massimale).

Spesso, nei sistemi di multifrequenza, il massimale viene ricercato solo dopo mesi ed al termine di un intero specifico periodo, quando non di tutto il macrociclo.

Ricordo, in proposito, proprio il mio maestro spiegarmi che il concetto base dell’aumento dei carichi e dell’ incremento dei massimali non era incentrato sul miglioramento in quanto tale, fine a se stesso, ma assolutamente pianificato proprio in vista della competizione obiettivo finale del programma (o, al limite, obiettivo intermedio) alla quale giungere al top della forma. Una sua frase tipica era: il massimale non lo devi testare, lo fai in gara perché devi arrivare alla gara che hai fame!.

Per tornare all’origine di tutto il discorso, l’intervista di Dobrev, come si è più volte sottolineato, non dice abbastanza da un punto di vista pratico ma in compenso dice molto sotto l’ottica di una nuova visuale d’allenamento.

Il professore, a quell’epoca, lanciò un messaggio ante litteram, che era il massimo che poteva fare in una mezz’ora di intervista.

In sintesi, sosteneva questo: voi finora avete percorso una certa strada in maniera automatica perché in tal modo eravate abituati a fare, così vi hanno insegnato e queste sono le esperienze maturate da voi o da altri e che avete potuto raccogliere.

Bene, sappiate che esiste anche un’altra filosofia di lavoro, forse estranea alla vostra storia e alla vostra cultura e con la quale non avete avuto, finora, possibilità di venire a contatto; vi fornisco dei principi base non come tecnico privato ma garantiti dalla mia posizione ufficiale di selezionatore di una nazionale e con l’avallo di risultati oggettivi e di alto livello raggiunti.

Sono concetti che voi avreste avuto difficoltà a sperimentare ma non per incapacità o incompetenza bensì semplicemente non avendo sufficiente substrato umano nel vostro paese dedito alla pesistica, ne interesse pubblico così elevato in questa disciplina da permettervi di testare e verificare con elevata percentuale statistica la validità di certe tesi.

Vi metto a disposizione le cognizioni base raggiunte all’attualità su questo metodo come sprone ed incentivo a proseguire la ricerca; non posso calarmi nella vostra realtà ed esemplificare oltre questi discorsi applicandoli in un così breve tempo, a distanza ed ignorando troppi elementi fondamentali e neanche avrebbe senso sciorinarvi la preparazione di atleti di elite bulgari, nel corso della stagione agonistica, estrapolando questa pianificazione da un contesto dal quale non si può prescindere.

Lascio a voi, colleghi del mestiere e quindi – presumibilmente – non del tutto ignari o a digiuno della materia, il compito di sperimentare, verificare e trasfondere in uno o più sistemi organici e definiti la realizzazione pratica di un metodo del quale vi ho lanciato l’esca e per il quale vi ho aperto e segnato la strada.

Tale è appunto la sfida che, in modo tanto scientifico negli studi quanto pragmatico nella sperimentazione sul campo, hanno provato a raccogliere in seguito molti tecnici e ricercatori italiani.