In prosecuzione ed a compendio di quanto scritto nell’articolo “Come eseguire la panca piana : The bench is . . . THE BENCH“, ho ritenuto utile approfondire la disamina della distensione su panca orizzontale operando un distinguo sull’esecuzione dell’esercizio standard, eseguito raw e dunque senza l’attrezzatura di supporto prevista dai maggiori regolamenti internazionali di powerlifting.

Il grande pettorale notoriamente adduce, intraruota ed antepone il braccio ed è proprio in questo range di movimento complesso a cui è deputato che dobbiamo analizzare le fasi di allungamento e successiva contrazione del muscolo nell’esercizio della bench press effettuata senza l’ausilio della T-shirt bench, ossia l’apposita maglia di sostegno.

Si è già detto – nel ricordato saggio sopra riportato – che se ci ponessimo dinanzi ad uno specchio con i gomiti sulla linea delle spalle e provassimo a contrarre i muscoli del petto non riscontreremmo alcun effetto apprezzabile; ma se invece proviamo ad abbassare i gomiti adducendo le braccia verso il busto con un angolo approssimativo di 45°, più o meno appunto nella posa del “most muscolar”, raggiungiamo la contrazione ottimale del gran pettorale.

Dunque, è ben vero che per avere i maggiori risultati pratici nella fase di concentrica occorre prima allungare completamente il muscolo, tuttavia in un movimento complesso – come quello rappresentato da un esercizio, tanto più se multiarticolare – tale allungamento deve verificarsi con una traiettoria ed angolo di leve speculare a quello con con cui si vuol poi ottenere la massima contrazione successiva.

In altre parole, se prendiamo in considerazione la funzione del pettorale che consente di addurre le braccia al busto, si otterrà la massima contrazione nella fase concentrica dell’esecuzione di tale movimento e si dovrà quindi averlo prestirato anche con analoga e corrispettiva traiettoria in fase eccentrica.

L’idea pertanto che si possa ottenere un allungamento maggiore del gran pettorale a gomiti larghi non è confortata da un esame elettromiografico ma è solo una sensazione derivata dall’allungamento completo di altri fasci muscolari inerenti ai distretti del cingolo scapolo omerale, al capo lungo del bicipite, al sottoscapolare ed alla porzione sub clavicolare del pettorale.

Si tratta di una tesi – invero un po datata – di Vince Gironda che, aldilà dell’epoca in cui il celebre bodybuilder la esprimeva fondandola su ragioni obiettivamente molto empiriche, aveva una sia pur parziale ragione d’essere perché riferita appunto all’apporto fisiologico non solo del muscolo grande pettorale ma di una intera catena cinetica sul piano della costruzione plastica, il che poteva quindi giustificare il postulato in chiave prettamente culturistica, non incentrando però l’attenzione su di un esercizio specifico a fini prestativi.

Viceversa, l’adduzione sul piano spaziale nell’esercizio di bench press avviene per effetto della contrazione dei muscoli che scavalcano l’articolazione scapolo omerale in basso, inserendosi anteriormente o posteriormente sul braccio e sul torace.

Esaminando solo i muscoli che si inseriscono anteriormente, essi sono appunto:

  • Il grande pettorale, dai 2/3 mediali della clavicola (parte clavicolare), faccia anteriore dello sterno (parte sterno costale), guaina del retto e dell’obliquo esterno (parte addominale) fino al labbro laterale del solco bicipitale dell’omero;
  • Il coracobrachiale, che non ci interessa particolarmente in questa trattazione.

Per cui, sotto qualunque aspetto si voglia esaminare la questione, per ottenere la massima efficacia del muscolo grande pettorale in armonia con la sua naturale fisiologia di lavoro muscolare e con la biomeccanica più favorevole all’alzata in questione, dobbiamo allungarlo in fase eccentrica e, di conseguenza, contrarlo in fase concentrica adducendo le braccia al busto.

Se si vuole ottenere un diverso risultato con il sinergico intervento di altri gruppi muscolari (comunque più piccoli e di minor potenza propulsiva), allora il discorso esula dal semplice intervento del grande pettorale ma resta pur sempre legato alle funzioni dell’intera catena cinetica nell’espletamento di quell’alzata.

In un protocollo PL, a differenza di quello BB, avremo senza dubbio differenze esecutive nell’esercizio specifico della distensione su panca (fermo al petto, arco lombare, eventuale curva “j”) che non attengono all’allenamento del non agonista.

The Raw Bench Press

Tuttavia questo non inficia la corretta biomeccanica dell’intervento del grande pettorale che, con la ricordata adduzione delle braccia, consente non solo una maggiore spinta (e quindi lavoro) del pettorale stesso ma anche una più favorevole traiettoria del carico (dallo sterno alla perpendicolare sugli occhi) ed un minore stress sulle spalle – e in particolare sulla cuffia dei rotatori – notoriamente causa di infiammazioni tendinee ed altri infortuni cronici.

Ora è altrettanto conosciuta la regola che recita come a 90 gradi di abduzione tutti i fasci del gran pettorale siano in posizione di massimo allungamento simultaneo, perlomeno questo risulta dai più diffusi testi di chinesiologia, tra cui – ad esempio – quello di Andrea Umili, “Chinesiologia applicata a fitness e bodybuilding” e successive versioni.

Il problema, in questi casi, nasce purtroppo dalle difficoltà di eseguire dimostrazioni pratiche e dal rischio di fraintenderci a livello teorico.

Molto spesso tra 5 e 10 gradi di differenza di ROM cambia relativamente poco a livello muscolare ma molto come tensione miofasciale. In realtà, nessuno ottiene il vero allungamento della componente muscolare, poiché la tensione che si “sente” è data dal complesso tendine/miofascia e chi solleva pesi con una certa frequenza, soprattutto chi lavora molto i pettorali, ha una miofascia fibrotica e poco “elastica” che riduce ancor di più la performance del muscolo.

Se si parla di allungamento a 90° in abduzione, si descrive una situazione generale e statica corretta in dottrina. Il punto però sta nel considerare che il gran pettorale distende o estende l’avambraccio sul braccio (ed in questo svolge una funzione dove è preponderatamente aiutato dal tricipite oltre che dal deltoide anteriore), antepone ed adduce .

Il fulcro del discorso è capire come possiamo passare da quei 90° di abduzione, a cui si fa riferimento proprio nel testo menzionato, al momento di massima contrazione in adduzione, considerando che un corpo cambiando posizione nello spazio (verticale, orizzontale, inclinata) attiva diversamente gli angoli di leva (sostanzialmente mutandoli) pur nel rispetto della fisiologia muscolare del lavoro per il quale è predisposto.

Di modo che – con esempio puramente didattico – una leva di primo genere, che è essenzialmente in equilibrio, può tuttavia trasformarsi poi in vantaggiosa o svantaggiosa.

Poniamo di trovarci in piedi (o seduti) con i gomiti in linea con le spalle ed i polsi in linea orizzontale con i gomiti, impugnando il manubrio a corna di bufalo di una macchina che simuli il movimento di adduzione frontale ai cavi alti ma da posizione seduta (tipo la dorsypec o chiamatela pure come vi pare); iniziamo quindi ad addurre le braccia verso il busto, vincendo la resistenza impostaci dal carico selezionato sulla macchina.

Cosa abbiamo fatto? Siamo passati dalla posizione sopra accennata di abduzione a 90° a quella di adduzione anche oltre i 45°, grazie alla potente contrazione del gran pettorale (ovviamente non soltanto, in ogni caso non ci stiamo occupando in questa sede di altre sinergie ).

In questo caso – che è poi un esempio generico equivalente a quello apportato dall’ex Presidente FIPCF Umili nel testo – quella posizione di abduzione delle braccia a 90°rappresenta effettivamente il completo allungamento del gran pettorale in relazione alla successiva fase concentrica.

Ma nel frangente non stiamo sdraiati su di una panca . . . e la biomeccanica e la chinesiologia, appunto perché riguardano la “meccanica della vita” ed il movimento dei corpi, cambiano l’interessamento delle leve articolari a seconda di come si posizionano i corpi nello spazio, nel rispetto della fisiologia del “lavoro” (forza x spostamento) muscolare.

Adesso facciamo invece quest’altro esperimento: distendiamoci supini su panca con le braccia in alto e proviamo a scendere con i gomiti verso il pavimento fino a raggiungere la posizione di angolo retto dell’avambraccio con il braccio (o anche più sotto se preferite), portando i gomiti in linea quindi con le spalle.

Proviamo con una mano a toccare il fascio del gran pettorale dell’altro lato: sembra forse iperesteso? A me sinceramente no, mentre lo è la porzione sub clavicolare, i fasci della zona anteriore del trapezio, del deltoide e il capo lungo del bicipite.

E non potrebbe essere altrimenti, per il semplice motivo che l’articolazione della spalla ha – in quella posizione e con l’eventuale bilanciere alto sul petto – impedito ai gomiti di scendere oltre un certo grado e quindi al gran pettorale (perché solo di quello stiamo ora parlando e non di tutti i muscoli della zona del petto nella sua globalità) di stirarsi completamente. Ciò renderà poi parzialmente inefficace la successiva conseguente contrazione.

Proviamo invece a scendere con i gomiti in adduzione verso il busto e la linea delle mani tendente alla parte bassa del petto nella zona sternale: tocchiamoci il gran pettorale e ne apprezzeremo un grado di allungamento decisamente maggiore, poiché maggiore sarà stato il livello di abbassamento dei gomiti.

Questo è a mio avviso il discorso: lo stiramento ottimale è quello che si verifica nella massima posizione eccentrica rispetto al lavoro concentrico che ci si è prefissi e si deve eseguire: se il lavoro prevede la contemporanea azione di distensione, adduzione ed anteposizione da parte del gran pettorale, noi dovremo allungarlo in relazione alle successive fasi e traiettorie di lavoro.

Ne consegue che il bilanciere dovrebbe scendere obliquamente verso lo sterno dalla posizione perpendicolare sugli occhi, per poter poi risalire concentricamente sul percorso inverso.

Questo indipendentemente dal fatto che lo scopo sia alzare il carico o costruire il muscolo. Cambieranno tutti gli altri ingredienti: il BB non farà il fermo al petto, non effettuerà l’arco lombare, si disinteresserà di una traiettoria curvilinea a J, farà molte meno serie e meno sedute di panca orizzontale privilegiando manubri e macchine e – quando la effettuerà – utilizzerà diversi programmi, metodi e protocolli . . . .  ma questa – come diceva Conan – “è un’altra storia”.

The Raw Bench Press

Spesso capita di vedere in palestra ragazzi portare il bilanciere verso il collo e rimanerci . . . incollati.

Accade perché tentano di fare la panca quasi unicamente con l’intervento delle spalle! Non attivano i potenti fasci del gran pettorale, non hanno sufficiente range di movimento, da quella posizione, per poter imprimere la traiettoria ottimale atta a vincere la resistenza del carico ed inoltre, nel giro di pochi anni, soffriranno di problemi classici al sovraspinoso o ad altro epicentro della cuffia e di infiammazioni ripetute al tendine del capo lungo del bicipite.

Se anche riescono accidentalmente nell’impresa, vuol dire semplicemente che avrebbero un abbuono di parecchi chili utilizzando muscoli e tecnica appropriati.

Mi aspetto l’obiezione: ma tanto al bodybuilder il carico interessa relativamente. Ma perché, mi chiedo, rimanere con il bilanciere a 2 cm. dalla gola costruisce forse il pettorale?

Mi preme, inoltre, precisare due punti in merito all’originaria trattazione sulla panca orizzontale, che lasciano forse adito a qualche dubbio, nonostante siano stati spesso vagliati, discussi e precisati.

A) Non si interpreti erroneamente il discorso della spinta indietro confondendolo con la tesi che tale azione attivi maggiormente il pettorale; piuttosto è da intendersi che “lo spostamento in alto e indietro del bilanciere risponde alla necessità di sfruttare al meglio le sinergie della catena cinetica interessata al movimento”, ovvero e sostanzialmente petto, deltoidi e tricipiti.

Quando parlo dell’attivazione più funzionale del pettorale mi riferisco alla fase eccentrica, cioè alla discesa in adduzione delle braccia che consente la migliore attivazione della capacità contrattile dei fasci del pettorale allorché poi, nella fase di risalita, gli stessi dovranno supportare con forza propulsiva la distensione/estensione dell’avambraccio sul braccio.

Giunti poi a questo momento dell’alzata, cioè nella fase concentrica, lo spostamento verticale e retroposto delle braccia obbedisce alla biomeccanica più favorevole per il buon fine dell’esercizio, non del solo pettorale ma di tutta la catena cinetica, ossia della sinergia dei gruppi muscolari deputati all’effettuazione dell’alzata.

B) La spinta verso l’alto e indietro (movimento verticale e orizzontale) non è necessariamente curvilinea, per cui non contrasta con la traiettoria lineare.

Una curva è ad arco concavo o convesso a seconda che, dal lato da cui la si esamina, sia rivolta verso l’interno o verso l’esterno. Invece, una traiettoria lineare verticale può essere perpendicolare rispetto al suo punto di partenza oppure obliqua senza per questo assumere le sembianze della curva.

Se mi si passa un esempio un po strambo: la Torre di Pisa è obliqua ma non curva; chi si dovesse sdraiare in piazza dei Miracoli con lo sguardo rivolto in alto, verso la pendenza della Torre, la vedrà inclinata indietro, anziché perpendicolare al suolo, ma non curvilinea. E tutti conosciamo i principi generali di fisica e specifici di meccanica per i quali la celebre torre non sia crollata al suolo in questi secoli, ricadendo la perpendicolare tracciabile dal vertice nella base.

Bene, gli identici principi di equilibrio e stabilità possono, molto più in piccolo, regolare la nostra alzata su panca consentendoci un iter proficuo e vantaggioso.

Tornando proprio alla nostra “panca”, la spinta distensiva verso l’alto può andare all’indietro sia seguendo una linea obliqua, sia tracciando una curva (in questo caso a seconda della tecnica prescelta) ma è decisamente improbabile che possa essere perfettamente perpendicolare.

Se noi dovessimo eseguire un movimento di adduzione – ho fatto in precedenza l’esempio dell’esercizio alla dorsypec – riusciremmo sicuramente a colpire maggiormente il pettorale, in quanto lo isoleremmo dal tricipite; in questo caso, per potere esprimere appieno la propria forza nell’esercizio in parola, il gran pettorale estremizzerebbe nella fase eccentrica un’abduzione per poter poi ottimizzare l’adduzione.

Per un BB trattasi di un esercizio finalizzato al petto probabilmente più indicato della stessa distensione su panca, come del resto lo sarebbe quest’ultima se effettuata con i manubri e, magari, sul piano inclinato.
Ma, ahinoi, stiamo parlando di bench press . . . e quindi tutto ciò non ci interessa: la scelta si presuppone essere già stata fatta a monte per motivi che, in questa sede, non dobbiamo riesaminare.

Nell’esercizio di bench press la fase concentrica è appunto una distensione: nella fattispecie l’adduzione delle braccia durante l’azione “positiva” non avviene, poiché certo non possiamo scendere a gomiti larghi per poi farci scivolare il bilanciere in avanti sul petto in modo da consentirci una fase concentrica di adduzione/distensione ( a quel punto questo ibrido di “Arnold press” orizzontale la potremmo eseguire con i manubri, non certo nella bench press con bilanciere).

Ora, noi sappiamo e ripetiamo che il gran pettorale adduce, antepone, intraruota le braccia e coadiuva nella distensione dell’avambraccio sul braccio. Come facciamo a metterlo nelle condizioni ideali per sfruttare appieno la sua capacità di spinta nella fase concentrica dell’esercizio di bench press raw e, quindi, sprovvisti dell’equipaggiamento di sostegno ”ad hoc”?

Scendendo (eccentricamente) a gomiti parzialmente chiusi, lo avremo posto nelle condizioni funzionalmente più vantaggiose cioè in adduzione, anteposizione ed intrarotazione, per poter poi proficuamente svolgere la funzione di distensione in quella fase di risalita durante la quale le tre funzioni precedentemente citate non avrebbero più potuto altrimenti essere attivate.

Inoltre: scendendo in adduzione di braccia, permetteremo un arco di movimento più ampio in fase di risalita (attenzione l’arco di movimento del cingolo scapolo omerale non ha niente a che vedere con la traiettoria curvilinea o meno del bilanciere), consentendo quella escursione verso l’alto e indietro che, con il bilanciere attaccato alla clavicola, si esaurirebbe desolatamente dopo pochi centimetri di alzata.

In aggiunta: così facendo il carico si sposterà verso l’alto senza poi gravare a piombo sulla cuffia dei rotatori, con minor incidenza sulla stessa e ridotto rischio di tendiniti e infortuni cronici di cui sono spesso vittime coloro che si ostinano e pretendono di sollevare il peso solo col deltoide anteriore e… il sovraspinoso.
Che poi questo spostamento in alto e retroposto si realizzi con l’una o l’altre tecnica esecutiva, questo si che è un discorso a parte.

Simmons sostiene che la distensione debba seguire il più possibile una traiettoria verticale, privilegiando la via più breve (quella retta), enfatizzando il lavoro in chiusura dei tricipiti, i notevoli archi lombari in uso ad alti livelli e, soprattutto, assecondando e sfruttando il grande sostegno dell’attrezzatura di supporto che – contenitiva e protettiva, pur se adatta ad atleti di elite – favorisce in tal senso un’alzata esplosiva e lineare.

Arthur Jones, il popolare inventore delle macchine Nautilus, autentico genio di biomeccanica applicata, scriveva 40 e 50 anni fa: le “maglie” all’epoca non c’erano, gli atleti si allenavano e gareggiavano in contesti ben diversi e, pertanto, sembrava meno invasivo e più utilitaristico accompagnare il movimento ascensionale all’indietro con una più o meno accentuata (a seconda dei casi) “curva J”, che implicava un coinvolgimento meno marcato dei soliti punti dolenti del cingolo scapolo omerale ed un superamento di alcuni fisiologici ”punti morti”.

Dopotutto, Hepburn ed Effelmann alzavano già allora ben oltre 200 kg. non equipaggiati.

Tuttavia, in nessun caso e con nessuna scuola, la massima alzata raw sarà mai completamente rettilinea e perpendicolare. Una spinta che mirasse a completare l’escursione con il bilanciere in posizione perfettamente perpendicolare sullo sterno – o addirittura spingendolo in avanti verso i piedi, come talvolta si legge con molta fantasia – allontanerebbe progressivamente le mani e quindi il carico in esse impugnato dall’epicentro base su cui, tramite le braccia, esso è sostenuto, ovvero dal cingolo scapolo omerale; con conseguente sbilanciamento in avanti del peso, mancato controllo e fallimento dell’alzata.

È chiaro che la dinamica di una bench press geared cambi parzialmente ed anche in modo significativo, tuttavia questa fattispecie esula dalla presente trattazione e le relative esigenze non vanno confuse con l’esecuzione dell’esercizio base di distensione su panca.

In generale, tra le varie tipologie del raw, possiamo affermare che cambia il grado di progressiva inclinazione verticale arretrata del movimento.

Nel caso della curva J, il bilanciere si sposterà da una posizione prossima alla zona sternale (diciamo sopra mammaria) alla perpendicolare sugli occhi o tra occhi e naso; nella traiettoria non curvilinea, il grado di inclinazione dell’alzata porterà il bilanciere dalla medesima posizione di fermo al petto fino ad una perpendicolare sulla parte bassa del volto.

In sintesi, possiamo ora riassumere così una distensione su panca raw:

  1. Il bilanciere, staccato dagli appoggi, scende dalla posizione perpendicolare sul volto verso i capezzoli grazie all’adduzione delle braccia ed alla contemporanea contrazione statica di latissimus, scapole, lombari e glutei;
  2. Dopo il fermo al petto il bilanciere sale esplosivamente e verticalmente (verso l’alto, evitando lo scivolamento alla gola) grazie alla potente spinta propulsiva del pettorale, sinergicamente e massicciamente aiutato dagli antagonisti (gran dorsale e bicipiti, in virtù del fatto che le braccia si trovano al di sotto della linea orizzontale con il busto);
  3. Terminata la spinta degli antagonisti, il pettorale affievolisce la sua azione progressivamente sostituito dai deltoidi che spostano il peso indietro con una traiettoria lineare obliqua o curvilinea, ma comunque imprimendo continui e minimi correttivi, al fine di mantenere i gomiti verticalmente sotto i polsi ed impedire lo slittamento in avanti che costringerebbe i tricipiti ad un isolato movimento di simil french press, destinato al fallimento. In questa fase, come già i dorsali avevano supportato i pettorali in precedenza, i deltoidi sono sostenuti in isometria dal serratus nell’azione equilibratrice;
  4. Una volta che il bilanciere – ad escursione non ancora terminata – si trova in perpendicolare sul volto, il tricipite diviene il principale gruppo deputato al lockout tramite 2 dei suoi capi (il capo lungo ha un ruolo marginale). In tale ultima fase, l’intervento di accompagno dell’avambraccio, atto a sostenere la sbarra e ad imprimere una leggera intra rotazione del polso assecondando così la presenza del sistema dei “cuscinetti” nel bilanciere, porta al completamento dell’esercizio.

This is the bench . . . se vi pare! E lo è a livello fisiologico e biomeccanico , sia pur rispettando tecniche esecutive parzialmente mutate per fini diversi da quelli propri della disciplina di competizione.

Taluni, in ottica di bodybuilding, cambieranno schemi, volumi, recuperi e numero di ripetizioni; adotteranno settaggi che non contempleranno l’arco lombare, il fermo, l’attrezzatura e quindi una determinata traiettoria; presumibilmente varieranno l’ampiezza dell’impugnatura, forse non terranno i gomiti sempre serrati in distensione e, ad ogni buon conto, preferiranno in qualche occasione una discesa eccentrica limitata, con fase sospensiva a pochi cm. dall’appoggio sul torace.

Ciononostante l’ottimizzazione del gesto, che si allinea al lavoro muscolare più proficuo, se è utile a smuovere più carico – non in conformità a regolamenti di gara ma in obbedienza a principi fisiologici di lavoro muscolare – converrà sia a chi di quel carico ne fa un obiettivo, sia a chi se ne serve per costruire adeguatamente un muscolo.