Ragazzi scusate se questi pezzi sono un po’ arruffati, è che questa estate devo rimettere in bella tutte le idee che riguardano gli esercizi per il fantomatico libro che sto scrivendo. Gli schizzi a mano devono essere convertiti in disegni elettronici, i numeri dei simulatori in qualcosa di grafico, gli appunti e quello che è ancora in testa va scritto: questa roba è perciò la brutta copia per fissare i concetti, gli eventuali lettori del libro troveranno tutto scritto con un filo logico.
Quando iniziai a fare stacco imperava una regoletta non scritta che per anni ha fatto si che la mia forma esecutiva fosse immonda: “il bilanciere deve essere attaccato alle tibie quando sei in piedi davanti a lui”. Il problema di questa regolina è che quando afferravo il bilanciere mi sentivo proprio “compresso”. A ripensarci… mah… è incredibile: quando hai capito l’errore ti senti proprio un vero cretino ad esserci caduto!
Tanto per chiacchierare, quando correvo, 3000 anni fa, facevamo pesi e poi il lavoro in pista. Era la prassi. Pavoni, un velocista a livello nazionale dei miei tempi, andò ad allenarsi in Canada con Ben Johnson quando era Big Ben: tornò sconvolto perché facevano i pesi dopo il lavoro in pista. Ora, ***** c’era da capire che a fare i pesi prima di correre rendeva gli atleti superlegnosi e che a farli dopo la seduta in pista era più brillante? Eppure…
Il posizionamento iniziale dello stacco determina l’evoluzione dell’intera alzata, dal record astrale al cappottamento con le risate di sottofondo: dato che non si paga per farlo bene, non vedo perché perpetrare errori assurdi ancora oggi.
Indovinate un po’ chi c’è? Ma dai… il Centro di massa!
Eh si si si si si, è incredibile come questo concetto che può sembrare astruso determini nel bene e nel male le esecuzioni dei nostri esercizi. In questo caso, poi, ci sono ben due centri di massa: quello prima di sollevare il bilanciere dal suolo e quello dopo. Il primo condiziona il posizionamento iniziale ed è l’oggetto di questo articolo. Insieme agli scheletri inserisco quando serve anche gli omini filiforme del simulatore per essere più preciso.
A sinistra lo scheletro è in piedi con le tibie già a contatto con il bilanciere (non fate i saccenti come Giachetti di “Non ci resta che piangere” facendomi notare che il punto di contatto è quello della parte esterna di un bilanciere olimpico, oramai i disegno sono venuti tutti così…)
Quando lo scheletro si accuccia le tibie non possono andare in avanti perché c’è il bilanciere, pertanto è il bacino che deve andare indietro. Il centro di massa (CM) dell’atleta è indicato dal pallino ed è il punto in cui è possibile considerare concentrata tutta la massa dell’atleta. In questo caso è ben al di fuori dell’area sottesa dai piedi e l’unico modo perché lo scheletro non caschi è di afferrare il bilanciere.
C’è chi dice che in questo modo lo sbilanciamento favorisce la spinta perché permette di “strappare via da terra” meglio il carico. Vedremo che non è così ma per adesso… fatelo e proverete una sensazione di scomodità unica che impone un certo grado di concentrazione per mantenere l’assetto corretto con la schiena alle curvature fisiologiche.
Già questo dovrebbe far propendere per scartare la posizione: le energie mentali devono essere rivolte al sollevamento del carico, non allo stare in posizione per poi sollevare il carico… se siete concentrati per non perdere la posizione non lo sarete per tirare il peso via dal suolo. La posizione è talmente scomoda che non si vede l’ora di venire via da terra.
A destra una soluzione così banale che mi vergogno a dire che ci ho messo più di 5 anni a comprenderla… quando lo scheletro è in piedi il bilanciere è scostato dalle tibie ed entra in contatto solo quando è posizionato in basso: in questo modo le tibie possono ruotare in avanti, le ginocchia “entrare” fra le braccia, il bacino può stare meno indietro e la schiena meno inclinata.
Il centro di massa si sposta più verso i piedi ed è così più semplice mantenere l’equilibrio dato che una volta afferrato il bilanciere la sensazione di sbilanciamento è decisamente minore: non mi devo concentrare sul rimanere in posizione, posso concentrarmi sul mio vero scopo.
“Comodo” significa “efficiente”
A sinistra il posizionamento “scomodo” in cui il CM dell’atleta non è sopra l’area dei piedi. A destra immaginatevi l’istante in cui il bilanciere si distacca dal suolo: in questo caso il sistema meccanico cambia passando da atleta a atleta+bilanciere.
Il nuovo CM è quello che si muoverà in tutta l’alzata e con quel tipo di posizionamento è anch’esso fuori dall’area dei piedi.
Il problema, adesso, è che fino a che siete voi quelli sbilanciati indietro, potete afferrare il bilanciere al suolo, ma se ad essere sbilanciati siete voi e il bilanciere… a cosa vi aggrappate? Questo è il senso del disegno a sinistra: nel momento in cui il bilanciere si stacca dal suolo l’instabilità è massima perché iniziate a ruotare indietro!
Perciò… che fate? Istintivamente cercate di compensare lo sbilanciamento… sbilanciandovi in avanti! Le spalle si spostano in avanti mantenendo l’altezza dal suolo praticamente costante. Poiché le ginocchia si stanno estendendo facendo muovere il bacino indietro: se le spalle non salgono la schiena non può che flettersi in avanti.
Questo non è voluto, ma una conseguenza dell’instabilità e in condizioni instabili è difficile mantenere la corretta contrazione muscolare sotto carico: il bilanciere si scosta dalle tibie e il braccio di leva aumenta.
Non è pertanto vero che “sbilanciarsi all’indietro aiuta a tirare!”
Avete mai visto video di chi solleva oltre tre volte il proprio peso corporeo? Oppure gente enorme che tira più di 300Kg? Le partenze sono quanto di più vario possa esistere: c’è chi muove a terra il bilanciere facendolo rotolare verso le tibie e poi tira, c’è chi è in piedi, afferra di colpo e tira, c’è chi afferra il bilanciere, si butta indietro e tira.
Quelle che state vedendo sono “individualità”, cioè adattamenti di una esecuzione canonica alle proprie caratteristiche psico-fisiche. Sottolineo proprio lo “psico”: quei comportamenti sono come dei “rituali” che permettono all’atleta di dare il meglio. Non ci sono motivi particolari, biomeccaniche segrete o reazioni chimiche misteriose che portano a questi comportamenti. Parafrasando l’ispettore Callaghan, le individualità sono come i coglioni, ognuno ne ha due.
Copiarle è sempre fallimentare. L’errore è pensare che quei Kg possano essere determinati da quei comportamenti, vedere il dito che indica la Luna invece che la Luna stessa. Chi invece solleva meno del doppio del suo peso corporeo è bene che si concentri sui canoni descritti, per semplice buon senso: deve imparare e perciò non può conoscere le proprie, uniche, individualità.
Avete mai visto video di chi, non eccessivamente forte, afferra il bilanciere e si abbassa tantissimo sbilanciandosi indietro? Nel punto inferiore del movimento il setup è corretto, perfetto. Poi l’atleta quando inizia a tirare si sbilancia del tutto in avanti e nel momento in cui stacca il bilanciere è in un assetto del tutto errato.
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