Ragazzi in questo pezzo ripeterò un po’ di concetti già visti, però è necessario per una trattazione fluida. E poi repetita iuvant come dicono gli inglesi, no?
Il punto fondamentale è questo: per la mia personalissima visione del “problema squat” la discesa sotto il parallelo dipende essenzialmente dal tipo di struttura antropometrica dell’atleta. Non c’è trucco e non c’è inganno, non esiste Sim Sala Bim che tenga, non c’è alcun “Ah ecco” o magia della serie Ta-Tah™®©. Esistono persone grossissime che possono fare squat a gambe strette, altre secche che non scendono nemmeno se vengono schiacciate da una pressa.
Lo squattista ideale ha le gambe corte rispetto al busto, ma non è necessariamente così: non fatevi fregare, la possibilità per voi di squattare sotto il parallelo dipende da una serie di fattori, non da uno solo.
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A sinistra il risultato che vorremmo tutti ottenere, questo è uno squat che fa pensare “***** quello è potente”. La “potenza” è di fatto il controllo della traiettoria, e il controllo è rappresentato anche dal fatto che il peso è portato giù in profondità senza che l’atleta sembri “sofferente” in quella postura ma invece sta lì in basso perché decide coscientemente di farlo. Ho scritto cose poco precise, ma rappresentano di sicuro bene le sensazioni alla visione di certi squat.
Controllo, null’altro. Fidatevi: meglio 130Kg fatti così che 200Kg traballanti 40cm più in alto.
Sono convinto che se io sono riuscito a squattare sotto il parallelo e migliorare il mio massimale chiunque possa farlo, ma ciò non significa che sarà semplice: diffidate degli slogan e attenti a non farvi male. Ripeto: leggete quello che scrivo e attenti a non farvi male: imparerete ad usare il vostro corpo in una posizione limite, e al limite basta una piccola imperfezione per passare da “safe” a “danger”.
Mettetevi sulle spalle un bilanciere carico con 20Kg, squattate più profondi che potete, fotografatevi nel punto più in basso: più siete distanti dal disegno a sinistra e simili a quello centrale o a destra, più avete da lavorare.
E’ come se ci fosse un fermo…
Chi non riesce a scendere sotto il parallelo “sente” come se ad un certo punto ci fosse un fermo, una battuta che gli impedisce di scendere, oppure prova una sensazione di sbilanciamento indietro che può compensare solo buttando letteralmente in avanti la schiena.
Prima di parlare di femorali rigidi o altre teorie raffinatissime, è bene concentrarsi su aspetti meccanici grossolani ma importanti. Essenzialmente sono due le cause del mancato raggiungimento del parallelo: femore lungo™®© e caviglia rigida®©™
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Ricordiamo per la 200000 volta che lo squat è un movimento svolto in equilibrio instabile con il centro di massa che non deve spostarsi da “sopra” i piedi. Per semplicità lo consideriamo orizzontalmente immobile, lascio ai baldi sciento-squattisti le considerazioni su cosa succede se invece si muove: generalizzando vedrete che queste considerazioni sono sempre valide.
Nei disegni ecco cosa succede ad allungare o ad accorciare il femore: il bacino si sposta in avanti o indietro, ma poiché il fulcro dell’altalena non si muove conseguentemente l’altalena deve ruotare. Ciò significa che la schiena deve più o meno flettersi.
State provando un retrogusto di banalità e di frustrazione: è ovvio che sia così, ma anche è una condizione inalterabile, perché non è che ci sottoporremo ad una resezione ossea per accorciare il femore in uno squat e chi è alto di sicuro sarà svantaggiato per tutta la vita!
Possiamo però ovviare al problema allargando lo stance, cioè la distanza fra i piedi: uno degli effetti è quello di accorciare il femore sul piano sagittale ed è per questo che veramente non capisco perché c’è chi si ostina ancora a fare squat a ginocchia praticamente unite.
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