Si Luca probabilmente hai ragione e mi affretto a precisare che ho citato l'Albania casualmente, come paese non all'avanguardia nel calcio ma non certo per discriminazioni etniche o politiche.
In un altro esempio avevo menzionato il Lussemburgo (non posso mica fare sempre gli stessi esempi) anche più debole calcisticamente ma di tutt'altro livello sul piano economico, così almeno non sussistono fraintendimenti.
Per chi come me ha fatto sport dall'età di 6 anni e agonismo dall'età di 14, divorando libri che andavano dalla teoria dell'allenamento alle biografie di atleti di vari sport, questo concetto è molto caro.
Lo sport è metafora della vita e l'agonismo non è altro che la contesa in chiave moderna e regolamentata dell'eterna sfida che l'iuomo iniziò contro i fenomeni naturali, le belve e contro altri popoli nomadi nella preistoria, poi con la fatale deviazione verso guerre e conquiste dall'antichità fino ai giorni nostri, transitando per i tornei cavallereschi nel medioevo o la tenzone del duello nei secoli a seguire e ricordando persino la contesa tra capi del branco nel mondo animale.
La differenza è che la regolamentazione e le convenzioni insite nell'attività sportiva consentono (o dovrebbero consentire) una sfida non bellica ma civile e leale.
In quest'ottica l'uomo si misura con se stesso - prima ancora che con gli avversari, senza i quali tuttavia non si avrebbe una reale misurazione a parametro della propria forza e del proprio valore - in contesti predeterminati e regolati da norme che diano la possibiltà di stilare classifiche e stabilire primati in ambiti prescelti e consistenti nelle diverse attività atletiche convenzionalmente prese; quando queste ultime poi allargano il proprio fronte fino ad estendersi geograficamente nello spazio, numericamente in quantità, qualitativamente in valori tecnici universalmente riconosciuti e storicamente in un lasso di tempo sufficiente al fine di creare albi, almanacchi e raffronti, esse divengono ufficialmente riconosciute; chiaramente si aggiunge poi, per talune, l'aspetto marketing e busiess che le dilata e stavolge in molti aspetti ma questo purtroppo è un altro problema.
Il cammino dell'uomo atletico è dunque proprio questo: apprendere la tecnica del gesto che si è scelto, verso cui ci si sente portati e che per contingenza si è avuto occasione di sperimentare, accrescere le qualità fisiche e costruire la condizione atletica necessaria, imparare e saper mettere a frutto le conoscenze tattiche e la strategia che quella disciplina richiede per migliorarsi ed eccellere.
Tutto ciò si realizza con l'acquisizione nelle scuole sportive (palestre, campi, oratori, stadi ecc) grazie all'opera di allenatori e maestri, si accresce dopo con l'allenamento e l'impegno personale e con il raggiungimento di un grado di maturità e consapevolezza sia come persona/individuo che atletica, si arricchisce inoltre delle vicende di vita sociale e del contributo e confronto di amici, compagni di squadra ed avversari, si completa dunque con la partecipazione alle competizioni che danno la misura del proprio valore, forniscono il responso del campo/pedana/giuria e degli inevitabili numeri, garantiscono infine quell'esperienza pratica imprescindibile.
A quel punto l'atleta, nei limiti delle sue scelte e situazioni di vita, del momento storico e delle condizioni che lo coinvolgono e riguardano, compie le proprie scelte decidendo innanzi tutto se proseguire, poi che indirizzo e valore dare a quell'attività e - in seguito, dopo anni - che ruolo svolgere eventualmente in essa quando i panni dell'atleta potrebbero essere diventati non più indossabili per motivi anagrafici, fisici, professionali o motivazionali.
In tutto il tempo che intercorre, l'atleta cerca di dare il meglio di se, di confrontarsi sui palcoscenici più importanti che il suo livello gli consente, di misurarsi nel tentativo costante di progredire e migliorare sotto vari profili.
Ciò è possibile con l'allenamento rivolto alla competizione (che, raggiunto un certo stadio, equivale all'agonismo), con le competizioni stesse ai vari gradi di qualificazione cui può ambire ed al continuo e leale confronto con i compagni, il coach, gli avversari occasionali e non, finanche con scuole ed atleti di altre discipline sportive in cui potrebbe imbattersi ed utilissime ad ampliare la propria cultura e mentalità sportiva oltre il particolare ristretto della propria specialità.
Tutto questo però non lo affermo io, poichè altrimenti conterebbe quasi zero, ma la pratica, la disciplina, la didattica e la realtà sportiva di tutte le scuole e federazioni sportive in decenni di sport moderno, eccezion fatta per le devianze ed aberrazioni di tifoserie esaltate, di trasmissioni e pubblicazioni deprecabili e di spettatori estranei di taluni sport diffusi che nulla hanno a che vedere con la concreta, vera pratica atletica e che forse, insieme ad una società realmente malata, contribuiscono a far perdere di vista un ideale sportivo sempre perseguito da coloro che con umiltà e senza interessi lo praticano, permettendo in tal modo e senza eccessivi clamori allo sport di esistere a tutti i livelli.
Grazie per avermi consentito, con la tua intelligente digressione, questa riflessione non per forza correlata all'argomento precedentemente dibattuto.![]()
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