Scopo di questi articoli è creare un modello dello squat che abbia una sua “coerenza interna”: deve spiegare cosa accade senza contraddizioni, per tutti. Ovviamente, il limite è che non sarà né confermabile né confutabile perché servirebbero studi comparativi, ma già il fatto che le spiegazioni siano coerenti con quello che vediamo è un punto a suo favore.

Il tutto si baserà sulla spiegazione del perché la traiettoria dello squat è di un certo tipo, ma prima di entrare nel tecnico presento un excursus di tutta la storia, dicendovi il finale in modo che chi avrà lo stomaco di leggere non si perderà nei particolari.

Il misterioso sticking point
Lo squat è un movimento banale rispetto ad un sollevamento olimpico, di cui costituisce una parte. Un movimento “semplice” di discesa e risalita a differenza di uno snatch in cui esistono fasi dove l’atleta muove il bilanciere ed altre dove si muove intorno a lui.
Eppure, esiste un punto, a circa 15cm sopra la risalita, dove l’atleta si “impunta”, come se rimanesse “appiccicato” alle sabbie mobili.


E’ il “punto appiccicoso”, lo sticking point. L’atleta arranca e o crolla o chiude l’alzata. Un affare del genere non esiste nei sollevamenti olimpici. Perché accade è molto misterioso e non c’è accordo a livello scientifico sul motivo. Potete leggervi [2] per un’idea di cosa sia.

Ho pertanto scartabellato tonnelate di articoli e materiali, lo squat è effettivamente molto studiato al mondo perché la posizione di “squat”, cioè di “accovacciati” è una postura utilizzata nei lavori manuali, nei sollevamenti e nelle attività di tutti i giorni. Troverete molto meno studi sulla panca, ad esempio, rispetto a quelli per portare carichi sopra la testa.

Sollevare le casse da terra

Secondo voi quale dei tre è il modo migliore per sollevare una cassa da terra? “Ma è semplice, quello a sinistra!”, perché la spina dorsale è alla curvatura fisiologica bla bla bla. Il punto è che questo aspetto NON E’ chiaro, nel senso che ognuno avrà una strategia preferenziale per sollevare una cassa da terra e non è detto che quella a sinistra sia la posizione più sicura o che quella a destra sia dovuta ad una muscolatura troppo debole in certi distretti: in uno studio quella postura era usata da un triplista, di sicuro uno che non aveva debolezze…

In

In [24] ad esempio hanno fatto un esperimento molto carino in cui fanno sollevare a delle persone delle casse da una altezza un centimetro sempre più alta o sempre più spostata, il risultato è stato che i soggetti passavano da una posizione come quella a sinistra ad una come quella a destra, da squat, accovacciati, a stoop, chinati.


Aumentando invece il carico accadeva l’inverso. [1] è un compendio dei consumi calorici delle attività, ed è possibile notare come lo squat sia molto più dispendioso dello stoop, che è una posizione simil-stacco.


Ovviamente, sono delle stime, ma il grafico rende l’idea: lo squat è un movimento metabolicamente impegnativo, questo è il motivo per cui le persone che fanno attività ripetitive possono partire con la schiena bella dritta e poi passano all’altra configurazione.

Ma… fa male tirare di schiena? Con carichi “bassi” di fatto non ci sono elementi per dirlo, perché gli erettori spinali non sono attivi ma la stabilità è a carico dei legamenti: la non attività degli erettori spinali è detta Flexion Relaxation Effect ed è uno dei motivi per cui lo stoop “costa” meno in termini di calorie spese, il che significa che questo tipo di modalità di sollevamento è previsto nelle specifiche della spina.

Le ernie non nascono infatti per un singolo episodio acuto o, quanto meno, questa non è di sicuro la causa principale quanto piuttosto la ripetizione di movimenti scorretti in assenza di un’attività di muscolazione che rinforza i muscoli paravertebrali.

Quando il carico è elevato viene naturale sollevare in una posizione sempre più in stile squat, ma il fatto di trasformare uno squat in uno stoop sarà poi rilevante per noi: schienare lo squat è un modo per diminuire la spesa energetica, alla fine la forza da impiegare nel movimento.

Un articolo molto interessante è il [26] in cui viene spiegato come la “forma” della traiettoria di uno squat sia influenzata dalla mutua coordinazione di caviglia, ginocchio e anca e di come i femorali giochino un ruolo fondamentale in quando muscoli biarticolari: trasferiscono forza dal ginocchio all’anca, in [29] una spiegazione una volta per tutte chiara.

Rimbocchiamoci le maniche
Nel tempo mi sono attrezzato per cercare di sperimentare in proprio. Ovviamente, io non sono un’Università né sono sponsorizzato da un’ente di ricerca però alla fine come diceva Confucio 3000 anni fa, “chi fa da se fa per tre” e avere a disposizione un unico soggetto forte nello squat, io, e un ricercatore che sa cosa guardare, io, mi ha permesso di capirci qualcosa, dai…


Con attrezzature che manco McGyver riuscirebbe a sognare nei suoi peggiori incubi, sono riuscito a tirare fuori informazioni interessanti.


Rapidissimamente perché voglio che vi concentriate sul concetto e non sui dettagli: queste nauseanti curve sono le velocità verticali del bilanciere in 4 mie alzate, le parti riquadrate sono ciò che ci interessa: a sinistra le curve vanno giù e tornano su, a destra no.

“Andare giù e tornare su” significa che la velocità del bilanciere rallenta e poi aumenta di nuovo, se provate a visualizzare un’alzata del genere è proprio quella dove il bilanciere “si intacca” e l’atleta soffre.
A sinistra invece l’avvallamento non c’è e pertanto il bilanciere va su bello veloce, una bella alzata.

In basso le due forme, quella con lo sticking point e quella senza: il punto è che io posso avere uno sticking point con 170Kg come con 130Kg, oppure no! Questo mi ha lasciato di stucco: dagli studi sembra che lo sticking point sia qualcosa di inevitabile, deterministico: deve esserci per forza. nvece non è così.