Perché allenarsi a cedimento funziona? Una possibile spiegazione scientifica al successo pratico delle metodiche HIT.
Il body building, si sa, ha sempre saputo o intuito cose che la scienza solo in seguito ha suffragato e spiegato. Negli anni d’oro del body building inteso come pratica sportiva cui si dirigeva l’uomo medio il cedimento era una certezza forse maggiore dell’esistenza di Dio, poi sono giunti i fitness center con appresso vagonate di Personal trainers “addestrati” in centri d’estetica piuttosto che sotto il ferro, sputando sangue. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: un immediocrimento dell’uomo che ora ambisce ad assomigliare a un tronista di Maria De Filippi, piuttosto che a Mike Mentzer.
Stiamo crescendo in un mondo in cui da ogni parte ci viene inculcato che il cedimento è una tecnica pericolosa per l’elevato rischio di infortuni e soprattutto dannosa: overtraining sistemico, depressione degli androgeni come testosterone e di ormoni anabolici come l’importantissimo IGF-1 (insulin growth factor 1) sembrano solo la punta dell’iceberg di quello che ci può accadere portando sistematicamente a cedimento i nostri sets. Certo è che neanche il powerlifting ci viene in soccorso: la scuola russa, prima teorica dell’allenamento a buffer, non concepisce il cedimento, ma porta la programmazione ad un crescendo di intensità fino alla prestazione di picco, pena decremento della prestazione massimale. Essendo un grande estimatore dei russi in ambito powerlifting non posso certo permettermi di contraddirli (anche se a farlo ci ha pensato un certo Louie Simmons, capostipite della scuola americana del West Side) anche perché qui andremo ad analizzare i risvolti prettamente ipertrofici del sistema. Per quel che riguarda l’aumento della prestazione massimale, che ricordo essere legata in grandissima parte alla componente neurale, mi trovo d’accordo al 100% con la linea di pensiero russa il cui attuale frontman è sicuramente il Master of Sports Sheiko.
Andiamo quindi ad analizzare cosa dice la letteratura scientifica riguardo al cedimento come tecnica usata di continuo. Gli studi cui ho avuto accesso indicano chiaramente che il cedimento, nel tempo, porta a un decremento della prestazione massimale e a un consistente abbassamento di ormoni quale l’androgeno steroideo testosterone e dell’ormone di natura proteica IGF-1 e questo è stato visto al termine di uno studio della durata di sedici settimane. La maggior parte degli articoli che ho letto indica il calo del testosterone come il peggiore dei problemi da affrontare, ma a preoccuparmi seriamente fu principalmente il calo di un altro ormone: l’insulin growth factor-1 o IGF-1.
L’IGF-1 è prodotto principalmente dal nostro fegato ma è prodotto anche all’interno dei nostri muscoli e questo sono in pochi a saperlo. La sua secrezione avviene come risposta a segnali meccanici come possono essere definiti i danni tissutali provocati dall’allenamento con i pesi, e in particolar modo dall’allenamento che pone enfasi sulla fase eccentrica del movimento.
[Heinemeier KM, Olesen JL, Schjerling P, Haddad F, Langberg H, Baldwin KM, Kjaer M. Short-term strength training and the expression of myostatin and IGF-I isoforms in rat muscle and -tendon: Differential effects of specific contraction types. J Appl Physiol, 2006 Oct 12]
L’IGF-1 (Insulin Growth Factor-1) si divide in due sottocategorie una prodotta a livello sistemico e l’altra a livello autocrino , chiamate rispettivamente IGF-1Ea e IGF1-Ec o Mechano Growth Factor.
Il mechano growth factor (MGF) è prodotto a livello muscolare e non a livello epatico e assolve alla funzione principale dell’attivazione delle cellule staminali muscolari per l’avviamento dei processi di riparazione, nonché di ipertrofia muscolare.
[Hill M & Goldspink G (2003). Expression and splicing of the insulin-like growth factor gene in rodent muscle is associated with muscle satellite (stem) cell activation following local tissue damage. J Physiol, 549, 409-418]
Quando con l’allenamento andiamo a distruggere le fibre muscolari ed a creare danni tissutali il MGF (IGF-1Ec) interviene per dare il via ai processi di riparazione ed ipertrofia: le cellule staminali, che normalmente giacciono vicino alle fibre muscolari, si fondono con le cellule danneggiate donando loro il nucleo ed il MGF riempie nuovamente il pool delle staminali.
[Goldring K, Partridge T & Watt D (2002). Muscle stem cells. J Pathol, 197, 457-467]
L’intervento dell’IGF-1 a seguito del danno tissutale avviene, contrariamente a quanto si possa pensare, indipendentemente dalla presenza dell’ormone GH e questo è stato dimostrato in appositi studi di laboratorio.
L’IGF-1 prodotto in forma sistemica è costituito dall’IGF-1Ea, molto simile al suo capostipite, viene prodotto nel fegato e nei muscoli e viene secreto sempre in risposta allo sforzo muscolare.
Ambedue i tipi di IGF-1 promuovono i processi di riparazione ed ipertrofia, ma mentre il MGF entra in azione prima dando il via alla fusione delle staminali che aumentano allo stesso tempo di densità, l’IGF-1Ea entra in azione successivamente differenziando le staminali e consentendone la trasformazione in fibre muscolari. Entrando nello specifico la produzione ed il picco di MGF avvengono immediatamente in risposta al danno tissutale (nel giro di 8-10 minuti), rimanendo in circolo per qualche giorno per poi declinare in corrispondenza dell’aumento dell’IGF1-Ea il quale ha il suo picco 7-11 giorni dopo il danno tissutale.
Appare dunque evidente quindi come il vero agente anabolico a breve termine sia l’IGF-1 non nella sua forma sistemica, bensì nella sua forma autocrina.
A questo punto, tornando a noi, mi si obietta che i sistemi HIT andando sempre a cedimento portano alla lunga alla depressione di testosterone e IGF-1, quindi anche del suo “derivato” MGF. In realtà non è proprio così stando a quanto ho appreso. L’IGF-1 ha una vita nel sangue che varia da pochi minuti (circa 10) fino a parecchie ore (circa 7-8): una volta immesso nel sangue può legarsi ad una proteina chiamata IGFBP3 la quale lo preserva dal deteriorarsi e lo mantiene attivo e pronto all’utilizzo per parecchi giorni: sappiamo infatti che circa il 95% dell’IGF-1 sierico è legato a questa proteina. Questa azione potrebbe essere vista come di stabilizzazione dei livelli ematici di questo ormone. Ora succede che protraendo i nostri sets a cedimento, i valori di questa proteina IGFBP3 aumentano rendendo sempre meno IGF-1 disponibile ed è anche in base a questo che taluni scienziati hanno affermato che il cedimento è controproducente, ma nessuno ha mai fatto due obiezioni sacrosante. La prima obiezione è che l’IGF-1E sistemico non è quello che a noi interessa e che anche se i livelli di IGFBP3 fossero realmente alti questo non impedirebbe che la forma autocrina dell’IGF-1Ec e cioè il MGF (quello realmente anabolico a breve termine come abbiamo visto) esplichi i suoi effetti a livello locale di produzione e cioè nel muscolo allenato.
La seconda obiezione invece è stata una recente piacevole scoperta: dopo un iniziale periodo di adattamento organico in cui i livelli di IGFBP3 aumentano in risposta all’esercizio protratto cedimento, con il tempo, i livelli di questa proteina crollano (si parla di un 20% dopo circa 13 settimane) rendendo l’IGF-1 disponibile in massima parte. Questo spiega quello che il body building ha sempre saputo: i sistemi HIT alla lunga funzionano e funzionano alla grande, ma bisogna dare loro il tempo di agire non rinunciando immediatamente se non si vedono i risultati, poiché un periodo di adattamento organico è necessario e da questo non si può prescindere e questo è la scienza a dirlo. A breve termine quindi l’HIT sicuramente comporta decremento di Testosterone, IGF-1 uniti ad un aumento di IGFBP-3 e cortisolo, ma dopo circa 13 settimane questi valori si normalizzano rendendo l’HIT un metodo perfettamente funzionante al pari di quelli a buffer. Mi sento comunque di sconsigliare i sistemi HIT a chi lavora per la forza in quanto si è visto in studi di laboratorio che i valori comparativi delle espressioni di forza in gruppi che lavoravano rispettivamente per un set a cedimento e per 3 sets a buffer, erano maggiori di 50% nel secondo gruppo.
Il problema dove sta allora? L’uomo della palestra potrebbe dirmi: “mi alleno sempre e comunque a cedimento per sempre e risolvo i problemi,tanto a me interessa solo l’ipertrofia!”.
Questa affermazione costituirebbe un grossissimo errore in quanto non dobbiamo pensare solamente ai risvolti ipertrofici ed alla capacità muscolare di rigenerarsi perché i sistemi HIT, i quali utilizzano principalmente multi articolari con grossi carichi con serie portate sempre a cedimento ed oltre, vanno si a danneggiare il muscolo, ma colpiscono anche in maniera massiccia il sistema nervoso centrale (SNC). La necessità dei periodi di scarico nasce proprio dalla necessità di dare respiro a quest’ultimo oltre che a ripristinare i valori ormonali. In questo senso negli ultimi anni ci sono stati degli esempi di sistemi HIT adattati i quali hanno ben intuito o compreso (questo non lo si sa) la problematica e l’hanno brillantemente risolta operando una ciclizzazione dell’HIT con fasi cosìdett blast e cruise: il Dogg Crapp di Dante Trudell è sicuramente l’esempio più evidente di quanto sto dicendo.
Concludendo il discorso quindi i sistemi HIT funzionano ma non nel breve periodo né tantomeno nel lungo se non sono ciclizzati: il segreto sta nel seguirli per un periodo sufficientemente lungo di tempo (pari a circa 12 settimane) tale da portare risultati e poi, e qui entra in ballo la sensibilità dell’atleta avanzato “navigato”, sospesi in favore di una fase di scarico/recupero attivo quando il nostro corpo ci manda dei segnali di cedimento nervoso. Si badi bene che parlo di segnali neurali e non di overtraining, poiché l’overtraining è il segnale principe,la conditio sine qua non, per la quale si ha il drop dei livelli di IGFBP-3: senza questo calo sensibile i livelli di IGF-1 rimarrebbero bassi e/o comunque l’ormone non sarebbe biodisponibile.
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