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Discussione: dal mito alla storia: gli antichi racconti di Olimpia

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  1. #1
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    Ma la creatina, la prendevano prima o dopo gli allenamenti?
    - Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole -


  2. #2
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    Citazione Originariamente Scritto da Need for mito Visualizza Messaggio
    Ma la creatina, la prendevano prima o dopo gli allenamenti?

    la creatina non credo.....ma qualcuno qualche erba o "spezia" particolare l'avrà senza dubbio presa
    ...i pesi pesano, non c'è niente che pesi quanto un peso...

  3. #3
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    Citazione Originariamente Scritto da Tonymusante Visualizza Messaggio
    la creatina non credo.....ma qualcuno qualche erba o "spezia" particolare l'avrà senza dubbio presa
    Certo! Già nell'antica grecia esistevano "integratori" e "doping" e anche ...i test anti-doping! L'uso di aglio (chiamato 'rosa fetida') era considerato doping all'epoca e - prima delle gare - agli atleti veniva sentito l'alito!! Se puzzavano d'aglio venivano squalificati.

    L'aglio veniva fatto pure mangiare agli schiavi impiegati nella costruzione delle piramidi. Ce n'è testimonianza pure nella Bibbia quando parla del "bene più prezioso lasciato dagli Ebrei" nel fuggire dall'Egitto.

    Veniva pure largamente usato nella Roma Imperiale da contadini e soldati e Carlo Magno ne rese obbligatoria la coltivazione in tutto l'Impero.

    Solo nel XIX secolo fu data da Luigi Pastuer la prova scientifica delle proprietà dell'aglio.

  4. #4
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    ..


    Presenze e spettatori alle Olimpiadi dell'antichità





    Abbiamo visto nei post precedenti come gli antichi Giochi Olimpici si propagarono per fama e prestigio, divenendo in breve volgere di tempo quello che oggi potremmo considerare un “cult”, un evento, qualcosa da non perdere e da cui assolutamente non prescindere.
    La sacralità che permeava le loro origini ed il loro significato, l’alone leggendario che le circondava, l’importanza che a quel tempo veniva rivolta al culto del fisico diedero alle Olimpiadi un’importanza quasi senza pari tra tutte le manifestazioni in tempo di pace.
    Essere atleta ed esprimere le proprie potenzialità fisiche, temperamentali e di coraggio era un viatico sicuro verso la fama ed il successo, una garanzia per la nazione o il paese che veniva rappresentato e che poteva esser sicuro che quell’uomo si sarebbe distinto e avrebbe difeso strenuamente la patria qualora si fosse reso necessario; era inoltre un’autentica espressione di spiritualità e di ringraziamento nei confronti della divinità.
    Non soltanto gli atleti più celebri volevano cimentarsi nelle prove olimpiche ma pure i giovani per cercare di mettersi in mostra, gli uomini già illustri per dimostrare il loro valore a tutto campo ed accrescere la propria notorietà, infine scrittori, poeti, filosofi volevano assistervi, esser presenti, farsi vedere e, entro certi limiti, partecipare sia pur indirettamente, con un’ode, un’opera d’arte figurativa, un canto un discorso.
    Come si evince dai brani che seguono, tutti bramavano recarsi ad Olimpia in occasione dei Giochi, farsi notare e dare supporto, lasciare una traccia che testimoniasse nel tempo il loro passaggio oppure soltanto assistere, incitare, ammirare ed immergersi nella magica atmosfera dell’agone sportivo.



    “ Tutti in Olimpia vengono almeno una volta nella loro vita: i più piccoli come i più grandi, i più sciocchi come i più savi. Artisti, letterati, filosofi vi vengono a far mostra del proprio genio e della propria dottrina; monarchi, principi e ricchi della loro potenza e del loro fasto; atleti e ginnasti della loro forza ed eletti garzoni per i quali è indetto un concorso di bellezza.
    Socrate vi è venuto a piedi e a chi gli diceva che il viaggio era lungo rispondeva: se riunisci le passeggiate abituali che in 5 o 6 giorni fai nella tua casa o nella tua città arriverai senza disagio ad Olimpia.
    Pitagora e Platone li avresti immaginato ai primi ranghi dello Stadio, dove da giovani avevano meritato corone? Temistocle, fatto segno agli sguardi di tutti, folleggia d’orgoglio. Alcibiade vi prova possibile quello che Ateneo dice di Socrate e, già glorioso, vi da un banchetto che resterà memorabile in tutta la Grecia e che solamente Nerone potrà per sontuosità superare. Erodoto vi ha acquistato rinomanza leggendo le sue Storie che qui ebbero il nome dalle Muse. Gorgia, Isocrate, Lisia e Demostene vi hanno declamato le loro orazioni.
    Dei poeti vi basti ricordare Simonide e Pindaro, che qui cantò e forse anche improvvisò le sue Odi. ”



    (tratto da “I Giochi Olimpici” di Ulisse Di Nunzio, 1906).




    busto di Temistocle, generale vincitore nella battaglia di Salamina





    Nel corpo del brano sotto riportato ci viene persino data notizia di una protesta sociale individuale, conclusasi tragicamente, che utilizzò il palcoscenico di Olimpia come oggi spesso avviene per altre importanti manifestazioni internazionali.



    “ Gli elogi degli olimpionici, che furono l’orgoglio della città e che per la loro gloria si avvicinavano agli onori degli eroi, hanno portato alla creazione di un particolare genere di lirica corale, i cosiddetti epinicia, cantati spesso in Olimpia dopo la vittoria dell’olimpionico.
    I poeti autori degli epinici, come Simonide (556-468 a.C.), Pindaro (518-428 a.C.), Bacchilide ( V-IV sec. A.C.) hanno raggiunto le vette dell’arte in questo genere letterario.
    I Giochi Olimpici rappresentavano un luogo di appuntamento per tutta l’Ellade. Tutti i più illustri rappresentanti della letteratura, dell’arte e del pensiero greco venivano ad Olimpia per fare ammirare i lampi del proprio genio.
    Le cronache di Olimpia registrano la presenza di illustri filosofi, sofisti ed artisti.
    Si sa che ad Olimpia si recò Talete, uno dei primi filosofi greci, che proprio ad Olimpia morì per un’insolazione, poiché il rituale vietava di coprirsi il capo ed alcune gare, come il pugilato, si svolgevano proprio a mezzogiorno.
    Ad Olimpia fu anche un altro filosofo dell’età arcaica, Chilone, ed anch’egli trovò la morte in questo luogo, colpito da un collasso per l’emozione, dopo la vittoria conseguita dal proprio figlio.
    E’ nota in olimpia la presenza di Platone ed Aristotele.
    A Luciano, scrittore del II sec. (123-190) che cinque volte si recò ad Olimpia, dobbiamo una serie di descrizioni di olimpia stessa al tempo della sua rinascita; in uno dei suoi scritti, Luciano descrive la morte del girovago Peregrino (da cui peregrinare – n.d.r.durante i Giochi Olimpici di quel periodo: si trattava di un raduno generale dei greci appartenenti ai più diversi strati sociali e Peregrino, che si suicidò bruciandosi sul rogo, scelse per questo suo atto di protesta proprio Olimpia, per trovarsi di fronte agli occhi di tutta l’Ellade.
    Ad Olimpia furono presenti anche gli storici: Erodoto lesse (489-425 a.C.), come ci narra sempre Luciano, le parti delle sue Storie che descrivevano le lotte dei Greci contro i Persiani.
    Oltre alla poesia degli epinici, un’altra branca dell’arte che celebrava la gloria degli olimpionici fu la scultura. Ogni olimpionico aveva il diritto di porre la sua statua con iscrizione e, dopo tre vittorie, poteva anche far ritrarre il proprio volto in questa statua.
    Tutti i più illustri scultori greci offrirono il proprio talento e la propria arte per celebrare i vincitori delle Olimpiadi.
    ……………………………………………………………
    Euripide e Platone non si tennero lontani dall’attività agonistica, ponendosi in luce con i successi ottenuti anche in questo campo. I biografi di Platone riferiscono che il filosofo prese parte alle gare di lotta e di pugilato dei Giochi Istmici e Pitici. Anche Euripide, uno dei più grandi tragici greci, avrebbe riportato vittorie nel pugilato nei Giochi di Atene e nella lotta ad Eleusi. “



    (tratto da “Agoni ginnici” di Bonislaw Bilinski” , 1979).




    Talete di Mileto





    Con il trascorrere del tempo sorsero problemi simili a quelli dei giorni nostri: quelli più gravi, a livello politico, comportarono la progressiva perdita di taluni dei primitivi valori; altri invece quasi scontati a livello pratico, tra cui la penuria di alloggi per chi si recava tardivamente sul posto.



    “ …. Durante i Giochi Olimpia non è solo il convegno degli atleti più forti ma anche di coloro che più in alto si elevano nei cieli dello spirito. Dei sette savi della Grecia, due morirono presso le rive dell’Alfeo in occasione dei riti quadriennali: Talete, vinto dal caldo e dagli anni; Chilone, schiantato dall’emozione – lui, il savio che aveva lasciato all’umanità il monito ^conosci te stesso^ -nell’attimo in cui abbracciava il figlio, vincitore nel pugilato.
    Quale altro nome può citarsi, tra gli spettatori di Olimpia, che meglio esprima il valore anche spirituale dei Giochi, se non quello di Socrate, recatosi egli pure, tra la commossa riverenza di tutto un popolo che da lui attendeva parole di verità e di vita, sulle rive dell’Alfeo, durante la celebrazione quadriennale?
    Aulo Gellio riferisce esser stato Platone, uno dei più grandi pensatori dell’umanità, sempre orgoglioso della sua prima vittoria nella lotta ai Giochi Istmici.
    Luciano ci fa sapere che in occasione della 236^ Olimpiade (165 a.C.) non era possibile trovare un posto per alloggiare in Olimpia. Tuttavia gli spettatori non erano più gli stessi di una volta o almeno non li avvolge più lo stesso mistico alone di altri tempi, quando Roma non aveva ancora imposto il culto dei suoi imperatori divinizzati e tutto, attorno allo Stadio e all’Ippodromo olimpico, evocava presenti al rito numi ed eroi. “



    ( tratto da “Olimpiadi” di Lando Ferretti, 1959).




    Chilone di Sparta






    Le fonti che abbiamo ci forniscono informazioni relative pure alla presenza di spettatori facenti parte della gente comune, con le loro caratteristiche e le situazioni che ne scaturivano.
    In taluni passaggi sembra realmente di assistere al reportage di un concerto, un Grand Prix o una finale sportiva dei tempi attuali con uno spaccato della società umana così diversa eppure tanto simile nel trascorrere dei secoli..



    “ Gli spettatori assistevano ai Giochi dai terrapieni, seduti o in piedi sul terreno. In massima parte i visitatori dormivano all’aperto o in tende e facevano assegnamento sui venditori ambulanti di cibi e bevande.
    Non doveva essere facile controllare decine di migliaia di greci eccitati, ammassati in un’area relativamente ristretta. C’era un corpo ufficiali con uomini dotati di frusta che teneva l’ordine sia tra gli spettatori che tra gli atleti.
    E’ possibile, secondo un calcolo moderno, che nello stadio potessero ammassarsi quarantamila persone. E’ inoltre da presumere che gli spettatori venissero in maggioranza dall’Elide e dalle regioni vicine, considerate le spese e le difficoltà che comportavano i viaggi nell’antichità.
    Ai Giochi antichi la folla era partigiana, volubile ed eccitabile; in genere, accordava il suo favore al più debole. Lo spirito patriottico non prevaleva spontaneamente ma poteva essere fomentato. Non c’era neanche discriminazione sociale quando si presentavano competitori appartenenti a classi sociali inferiori.
    Nonostante tutto lo snobismo di Pindaro o il rifiuto di Alcibiade - che dopo il 416 a.C. non volle più partecipare, sostenendo che i Giochi fossero stati inquinati dalla marmaglia – la politica sociale e l’opinione pubblica non erano affatto influenzate.
    Ogni concorrente aveva gli stessi diritti formali e se vinceva poteva esigere lo stesso premio: ciò che contava era soltanto la sua abilità e la sua forza. “



    ( tratto da “ I Giochi Olimpici “ di Finley/ Pleket, 1980).




    lo stratega e politico ateniese Alcibiade
    ...i pesi pesano, non c'è niente che pesi quanto un peso...

  5. #5
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    IL PROGRAMMA di GARA dei GIOCHI






    (foto dal sito archeologico di Olimpia)




    I primi programmi


    Come avvenuto in post precedenti, estrapolo alcuni brani dal testo “I Giochi Olimpici nell’antichità” di Lambros e Politis, che costituisce il Rapporto Ufficiale delle Olimpiadi di Atene 1896, le prime dell'era moderna.


    a pag. 16)

    “ In tempi antichi i Giochi venivano celebrati in un solo giorno, cosa che nel tempo divenne irrealizzabile al punto che, nel 472 a.C., il pancrazio durò fino ad un’ora avanzata della notte, causa il protrarsi dei concorsi ippici e di quelli del pentathlon; quindi, fu deciso che la durata dei Giochi dovesse essere di 5 giorni. “


    a pag. 24)

    “Nelle prime 13 Olimpiadi i Giochi consistevano nella sola corsa; nel 724 a.C., si aggiunse il diaulo o corsa doppia e quattro anni dopo il dolicos o corsa multipla (di resistenza – n.d.r.)
    Nel 708 a.C. (diciottesima Olimpiade) furono introdotti il pentathlon e la lotta, nel 688 a.C. (23^ Olimpiade) il pugilato, nel 680 a.C. la corsa dei carri a quattro cavalli, nel 648 a.C. (33^ Olimpiade) comparve il pancrazio e infine nel 632 a.C. (37^ Olimpiade) furono inaugurate le palestrine dei fanciulli. A poco a poco furono introdotti altri Giochi e quelli dei fanciulli si generalizzarono.
    I Giochi ippici si disputavano nell’Ippodromo, quelli della corsa insieme agli altri nello Stadio. Questi ultimi venivano chiamati sotto il termine generico di Giochi ginnici, poiché coloro che vi prendevano parte dovevano essere nudi, dal greco gymnos (nudo).
    All’inizio i corridori si coprivano con la fascia attorno ai reni (perizoma) ma, a cominciare dalla 15^ olimpiade, questa abitudine fu abolita a causa del disturbo che recava agli atleti.
    Nel 396 a.C., ai primi giochi ginnici e ippici, furono aggiunti i concorsi di tromba e declamazione e si concesse agli araldi vincitori non soltanto una corona ma anche il privilegio di proclamare gli altri vincitori. “



    a pag. 25)

    “Dall’alba del primo giorno la folla si porta nell’Altis per assistere ai sacrifici dei tori, che erano immolati sull’altare del padre degli dei e ciò rappresentava l’inizio dei Giochi Olimpici.
    Questo sacrificio era seguito da quello delle vittime immolate dai Théores delle diverse città elleniche. Costoro, vestiti di ricchi ornamenti, facevano uso per questi sacrifici di preziosi vasi sacri e di incensieri, che erano stati loro offerti dai concittadini
    .………………………………………………………
    Nel secondo giorno cominciavano i Giochi propriamente detti. Questa giornata era consacrata alle gare dei fanciulli, preambolo delle gare degli uomini che avevano luogo nei due giorni seguenti.
    Per molto tempo le gare per i fanciulli – importanti quanto quelle degli adulti – consistevano nella corsa e la lotta, istituite l’una e l’altra nel 623 a.C.; il pugilato fu introdotto per essi nel 616 a.C.
    I fanciulli percorrevano nella corsa metà dello stadio. Più di 400 anni dopo – e cioè verso il 200 a.C. – si permise ai fanciulli di prendere parte al pancrazio, prova molto più difficile, nella quale il pugilato era combinato con la lotta.
    Nel 628 a.C. fu introdotto il pentathlon ma non ebbe luogo che una sola volta e, forse, per gelosia degli Elei, a seguito della vittoria riportata da un fanciullo nella Laconia, chiamato Eutélide.
    Nel terzo giorno cominciavano le gare degli uomini maturi…………………………………”




    lo stadio di Olimpia




    In realtà, non è chiaro se i programmi siano stati sempre rispettati ed al riguardo le fonti che trattano tale aspetto sembrano parzialmente discordanti.
    Molti sottolineano l’origine leggendaria nel significato della durata dei Giochi; tuttavia è probabile che l’arco temporale di svolgimento delle gare e delle celebrazioni annesse sia stato modificato nel corso degli anni e delle edizioni, cercando poi di giustificarlo attribuendo ai numeri un valore escatologico.
    Vediamo cosa ci raccontano in proposito altri testi.



    Il programma generale dei Giochi


    Secondo Pindaro l’Olimpiade durava cinque giorni e secondo Erodoto, storico del V secolo, i cinque giorni erano stati voluti da Ercole. Il giorno greco andava da tramonto a tramonto e in quei giorni avevano luogo sacrifici, gare e feste.
    Non sappiamo quanti giorni fossero dedicati a Giove: alcuni dicono uno solo ma, con il passar degli anni, i vari sport furono distribuiti in più giornate.
    Dopo la 77^ Olimpiade il pentathlon e la corsa a cavallo furono fissati per il giorno precedente a quello del sacrificio alla divinità.
    La vera successione avrebbe dovuto consistere in sacrificio, Giochi, festa - come risulta da due Odi di Pindaro – mentre l’ordine delle gare è stabilito da un papiro di Oxirinco:
    1) corsa dello stadio,
    2) diaulos,
    3) dolicos,
    4) pentathlon,
    5) lotta,
    6) pugilato,
    7) pancrazio,
    8 ) corsa per ragazzi,
    9) lotta per ragazzi,
    10) pugilato per ragazzi,
    11) corsa in armatura,
    12) corsa dei cocchi,
    13) corsa a cavallo.
    Non è dato sapere con precisione quando e dove fossero incoronati i vincitori.
    "


    ( tratto da “Sport e Giochi nell’antica Grecia” di E. Norman Gardiner, vol. I )




    Pure per ciò che riguarda la successione delle gare si ebbero sicuramente modifiche oltre che integrazioni da Olimpiade a Olimpiade, come del resto ci fa intendere il brano appena letto, dando all’elenco degli sport in programma un valore prettamente teorico, come in parte pure ci confermano i brani che seguono.



    incontro di pugilato




    I sette giorni complessivi dei Giochi


    Sette giorni duravano le feste che venivano celebrate nel mese sacro, dopo il solstizio d’estate, tra il cadere di giugno e la prima quindicina di luglio e finivano con il plenilunio.
    Il primo e l’ultimo giorno erano consacrati a feste religiose, aprendo e chiudendo la gara con processioni e solenni sacrifici a Giove. Di mezzo, i 5 giorni dedicati alle gare.
    …………………
    Primo giorno: si svolgono cerimonie ufficiali, fumano gli altari di Giove, intorno tutta la folla silenziosa e orante. S’invoca la protezione del Dio sulle gare: A Jove principium!
    Ecco i giudici, ellanodici, dai dieci a dodici scelti tra i cittadini dell’Elide, vestiti di porpora e coronati d’alloro, entrare nello Stadio precedendo gli agonisti e salire sopra seggi elevati di fronte a tutti.
    L’araldo con uno squillo di tromba da il segnale dell’inizio: un altro araldo fa compiere a ciascun concorrente il giro dello Stadio, proclamandone il nome e la patria.
    Indi, estratta da ciascuno la sorte da un’urna d’argento sacra a Zeus, i gareggianti sono posti di fronte; comincia la gara e l’accompagnano suonatori di tibie.
    Si inizia la corsa semplice. I corridori, in squadre di quattro, superano rapidamente la lunghezza di 200 metri che li separa dalla meta, così sino a quando giunge l’emozionante prova finale dei vincitori delle gare parziali.
    Segue la corsa doppia che si protrae sino a tardi e la sera si celebrano i vincitori.
    Secondo e terzo giorno: si disputano gli esercizi di pentathlon, il salto, il getto del disco, il lancio del giavellotto, la corsa (di resistenza), la lotta.
    Quarto giorno: riservato ai giovinetti che si addestravano nella corsa, nella lotta, nel pugilato e la folla ammirava così le giovani generazioni che si preparavano ai futuri destini. La giornata era chiusa dagli adulti nella lotta armata.
    Quinto giorno: il programma splendido e sfarzoso prevedeva la corsa con i cavalli, con le bighe e le quadrighe nell’Ippodromo accanto allo Stadio.
    Terminata la gara, il vincitore veniva proclamato e condotto davanti ai giudici; riceveva una ghirlanda di olivo sacro ed un ramo di palma nella mano destra, mentre un araldo con squilli di tromba lo segnalava al pubblico ed il suo nome veniva proclamato insieme a quello del padre, della sua città e talora della sua stirpe. Nessun altro onore si sarebbe potuto paragonare a quello conquistato dal campione olimpico: il suo nome era inciso nell’Altis sacra e qui gli veniva eretta una statua.
    Nell’ultimo giorno, il settimo, le feste si chiudevano con una solenne processione. Vi partecipavano, tra i primi, i vincitori delle gare, i magistrati, i rappresentanti delle città greche, schiere di sacerdoti; si procedeva sino all’altare di Giove, dove si celebrava il sacrificio solenne con offerta di vittime in gran numero al Dio. Indi, nel tempio, il capo degli ellanodici incoronava i vincitori.
    La sera vi era nel Pritanéo il grande banchetto offerto dai magistrati ai vincitori, ai loro amici ed alle rappresentanze. Lì erano cantati gli epinici, gli inni della vittoria, da celebri cantori: tra tutti Pindaro, che immortalò il nome del siracusano Jerone, vincitore in parecchie Olimpiadi.
    ………………………..
    "

    (tratto da “Storia degli sport” di Andrea Franzoni, 1933).




    Ad Olimpia la corsa dei carri era la gara d’apertura, dopo il primo giorno dedicato ai preparativi ed al culto. La corsa olimpica dei cavalli si svolgeva nell’Ippodromo, subito dopo quella dei carri, sullo stesso percorso.
    Il pomeriggio del secondo giorno era destinato al pentathlon (comprendente dunque cinque specialità - n.d.r.), che si svolgeva nello stadio con la probabile eccezione della parte concernente la lotta.
    Il terzo giorno della festa coincideva con il plenilunio. La mattina era occupata da vari riti dei magistrati, fino a raggiungere l’altare di Zeus. In testa marciavano i giudici, seguivano ricchi doni al Dio patrono, gli atleti, i loro familiari ed allenatori.
    Arrivati all’altare assistevano all’atto finale: cento buoi erano uccisi su di una grande piattaforma e le loro cosce bruciate sul tumulo di ceneri accumulatesi sopra e mai rimosse, poiché sacre al Dio. Pausania riferisce che ai suoi tempi il tumulo era alto mt. 6,5. Il resto della carne era trasportato alla casa dei magistrati, per essere consumato nel banchetto conclusivo.
    Il pomeriggio era riservato alle tre gare dei giovani: la corsa dei 200 metri, la lotta e il pugilato. Ad olimpia si definiva giovane chiunque avesse compiuto 12 anni e non avesse ancora raggiunto i 18.
    La mattina dell’ultimo giorno di gara era interamente occupata dalle tre corse di 200 metri, 400 metri e gara di fondo (4.880 mt.).
    Infine, l’ultimo pomeriggio arrivavano la lotta, il pugilato e il pancrazio. I tre sport erano brutali e violenti. Non c’erano limiti di tempo ne categorie di peso e neppure Zeus Olimpo assistè senza tremare – scrive un epigrammista – quando Nicofonte vinse l’incontro di pugilato (l’8 a.C.).
    ………………………




    una scena di pancrazio




    Dopo la lotta e il pugilato, il programma continuava con il pancrazio: un misto di lotta, arti marziali e pugilato, ove i contendenti si scambiavano pugni, schiaffi e calci; lottavano gran parte del tempo per terra, si mordevano e tiravano persino gli occhi, sia pur contro regolamento, finchè uno si arrendeva battendo la mano sulla schiena o sulla spalla del vincitore.
    Prima della chiusura dei Giochi restava una sola gara: la corsa dei 400 metri con l’armatura. Uno scrittore di tarda epoca sosteneva che essa si tenesse per ultima allo scopo di segnare la fine della tregua olimpica ma pare sia una spiegazione con scarso fondamento storico.
    Tale gara rimase nel programma olimpico dall’anno in cui fu introdotta sino alla fine
    ”.


    ( tratto da “I Giochi Olimpici” di Finley - Pleket, 1980 ).
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  6. #6
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    ONORI e PREMI ai GIOCHI









    Le premiazioni costituivano, già all’epoca, uno dei momenti salienti dei Giochi, perché il premio rappresentava più cose insieme: una meta ambita, un traguardo raggiunto, un simbolo del valore dell’atleta, un riconoscimento di cui essere orgoglioso, talvolta un posto nella storia ed il mezzo per ottenere vantaggi e prebende.
    Sulla questione si dilunga in maniera molto circostanziata ed esplicativa il testo che segue, che vi lascio pertanto in forma quasi integrale.


    " La premiazione dei vincitori doveva costituire uno dei momenti più interessanti per l’atleta. Gli amici del vincitore, durante il corteo trionfale la notte successiva alla vittoria, intonavano il Kallinikos (che in greco indica colui che ha riportato una bella vittoria), cioè un breve inno in onore di Eracle, che pare venisse scandito e ripetuto tre volte.
    Che l’atleta vincitore venisse considerato quasi un Dio lo testimonia anche una particolare onorificenza che gli veniva concessa: la mitra. Si trattava di una benda di lana con la quale poteva cingersi il capo o annodarla al capo o alla coscia. Le bende potevano anche essere più di una ed il vincitore era inoltre onorato con una corona che, a seconda della località, era intrecciata con fronde di varie piante.
    Ad olimpia si usava l’olio selvatico, che un fanciullo non orfano tagliava con un falcetto d’oro dall’albero sacro e che il primo degli ellanodici poneva sul capo del vincitore.
    Il primo atleta ad essere incoronato fu Daicles di Messenia, vincitore nello stadio alla 7^ Olimpiade (752 a.C.) …………..
    Fin dai giochi più antichi, descritti da Omero nell’Iliade, ai vincitori delle gare venivano dati premi in valore. Nei Giochi funebri in onore di Patroclo, sotto le mura di *****, vennero offerti ai vincitori cavalli, muli, bovi, tripodi, vasi e ancelle dalle belle cinture.
    L’onorificenza più ambita era costituita dall’erezione di una statua che ricordava la vittoria, sia nella sede dei Giochi in cui era stata conseguita, sia nella città natale del vincitore. Probabilmente una delle prime statue erette a commemorazione di una vittoria fu quella offerta nel 544 a.C. al pugile Prassidana, scolpita in legno di cipresso.
    L’elenco delle imprese sportive di un atleta veniva spesso inciso sul basamento della statua che l’atleta innalzava in ringraziamento alla divinità. Scolpirono statue di atleti grandi artisti quali Mirone, Prassitele, Policleto, Pitagora di Reggio.
    I vincitori venivano talvolta onorati con la coniazione di monete commemorative.
    Al suo ritorno nella città di origine, l’atleta vittorioso veniva accolto trionfalmente. Exainetos di Agrigento, vincitore dello stadio alla 52^ olimpiade del 412 a.C., entrò in città su di una quadriga con un corteggio di 300 bighe tratte da cavalli bianchi. Si giunse persino ad abbattere tratti di mura perché il corteo potesse transitare agevolmente.
    Ad Atene il vincitore acquistava il diritto di mangiare gratuitamente nella sede municipale per tutto il resto della vita.
    Chi poteva permetterselo commissionava ai poeti più celebri del momento carmini che immortalassero le proprie azioni vittoriose. Questi componimenti prendevano il nome di epinici (epì=sopra e nike=vittoria, cioè per la vittoria). Ci restano epinici di grandissimi poeti come Simonide, Bacchilide e soprattutto Pindaro, che inoltre musicava i suoi carmi che venivano intonati da cori modulati al suono del flauto e della lira ed erano accompagnati da danze. Sembra che Simonide e Pindaro chiedessero per compenso somme in denaro non indifferenti per tali componimenti; Pindaro addirittura tremila dracme. "


    (tratto da “ Homo ludens “ di Marco Fittà e Dante Padoan – 1988)




    Vediamo ora qualcosa in particolare in ordine alle cerimonie di premiazione ed ai momenti immediatamente successivi ad esse alla fine dei Giochi.
    Nei brani che seguono taluni passi offrono descrizioni con indubbie implicazioni psicologiche.


    … La marcia trionfale dei vincitori si apre con gli Ellanodici, gli agoneti, i sacerdoti e, in generale, da tutti i magistrati di Olimpia, vestiti magnificamente con indosso particolari insegne. Dietro di loro seguono in ordine i vincitori vestiti con i più bei abiti e recanti in mano la palma. Sfilano lentamente ed a suon di musica, gli uni a piedi e gli altri sopra a dei superbi carri ornati di fiori o seduti su bei cavalli e puledri bardati d’oro.
    Il corteo si dirige verso lo Stadio, ove il pubblico ha preso posto, mentre i vincitori si piazzano in mezzo al campo, non lontano dalla presidenza. Il rumore e tumulto che regnano nello Stadio cessa improvvisamente alla vista di un uomo che, incoronato dall’olivo sacro, avanza di qualche passo e si ferma nel mezzo, tenendo in mano la lista di tutti i vincitori: è l’araldo che vinto nei Giochi ed a lui incombe il compito di proclamare i nomi dei vincitori.
    Nel più profondo silenzio egli pronuncia ad alta voce il nome di quello che ha vinto la corsa dell’”Stadio”: questo felice mortale darà il suo nome all’Olimpiade. Alla vista della corona l’entusiasmo del popolo non si contiene più, da tutte le parti arrivano ovazioni e grida, gli occhi degli spettatori si riempiono di lacrime di gioia, mentre le fanfare suonano l’inno consacrato…
    Vengono di seguito altri olimpionici che sfilano in ordine davanti al Presidente ma la gloria del vincitore sarà consacrata dal momento che gli ellanodici avranno fatto iscrivere i loro nomi al Ginnasio, sulla lista destinata a perpetuare il ricordo del loro trionfo e della loro gloria.
    Dopo la distribuzione dei premi, lo spettacolo prende un aspetto più solenne; il corteo si riforma preceduto questa volta dalle statue degli Dei portate in gran pompa. I vincitori, con la corona in testa, seguono la processione accompagnata da tutte le autorità civili e religiose, dagli ospiti pubblici, dai deputati delle nazioni. Tutti discendono verso l’Altis.
    Dall’entrata nel recinto sacro un gruppo di cantori intona, al segnale dato, le strofe dell’inno composto da Archiloco de Paros in onore di Ercole. Alla fine di ogni strofa, gli assistenti, i sacerdoti, gli atleti ed i pellegrini ripetono in coro l’epode o il ritornello consacrato alla glorificazione di Ercole e del suo compagno Iolaos; in tutta Olimpia si odono le voci dei 60.000 cantori.
    Il corteo giunge davanti all’altare dei 12 Dei e in un silenzio profondo il Theocolo, levando le mani al cielo, indirizza a Zeus una preghiera ed invoca la protezione del Dio su ogni razza ellenica.
    I vincitori offrono sacrifici ed immolano animali, i cui resti in seguito sono portati all’altare per essere consumati con del pioppo bianco.
    In questa cerimonia i ragazzi sono accompagnati dai loro genitori, amici e compatrioti che, con le lacrime agli occhi, li abbracciano felicitandosi.
    La processione si ricompone e si dirige verso il Prytamneo, dove gli elleni hanno fatto preparare un grande banchetto, cui sono invitati tutti i privilegiati di Olimpia,.
    Da questo momento la festa di Olympia è ufficialmente chiusa, normalmente però si prolunga per più giorni per la generosità dei trionfatori che, a loro volta, invitano amici e compatrioti a festini durante i quali si suona e si danza. Alcibiade osò invitare tutti i pellegrini ed anche gli animali. Per questo gigantesco pasto tutta la Grecia si mosse e molte città vollero contribuire: Lesbos fornì il vino, Chios il pasto ai cavalli ed ai muli, Efeso tende di lusso per invitati importanti. In tutto il mondo si benedì l’ospitalità con la quale aveva festeggiato la sua vittoria.


    ( tratto da “ Il panorama illustrato dei Giochi Olimpici “ di G. Spyridis – 1969 ).




    Il tema del banchetto sopra ricordato assomiglia molto a quello che, in tempi moderni, è spesso previsto come cena o appunto banchetto di chiusura; talvolta una sorta di “terzo tempo” tra tutti i partecipanti ed è ricorrente nei festeggiamenti ufficiali e non solo privati dei vincitori.
    Nell’antichità, tuttavia, l’organizzazione ed il significato delle libagioni post evento era molto più variegato. Vi erano essenzialmente tre diversi generi di banchetti: uno pagato dalle autorità, un altro d’iniziativa di parenti ed amici ed uno offerto dallo stesso vincitore che, se ricco, ricambiava i festeggiamenti.
    Pare che ad uno di questi, offerto in onore di un giovane vincitore nella durissima lotta del pancrazio e descritto da Senofonte nel Convito, sia intervenuto Socrate con un brindisi rimasto celebre in onore della ginnastica:
    " voglio fortificare la mia salute con l’esercizio, dare con essa un sapore più gradito al mio cibo e rendere più dolce il mio sonno”.



    scultura raffigurante Socrate (museo del Louvre)





    ….Lo spettacolo più imponente del quinto giorno era l’incoronazione degli olimpionici, che si recavano tutti al Tempio di Giove portando in mano la palma che era stata consegnata loro subito dopo la vittoria. Nel Tempio e sul tavolo in oro e avorio cesellato da Colotes, allievo di Fidia, erano esposte le corone destinate a cingere la fronte dei vincitori. Un giovane, che doveva avere viventi i genitori, aveva tagliato con un falcetto d’oro dei lunghi rami di olivo sacro che si trovava dopo il tempio stesso e che era stato piantato, secondo la leggenda, da Heracles. Questi rami venivano intrecciati a forma di corone, le quali venivano date dagli ellanodici ad ogni vincitore, tra le acclamazioni del pubblico che inneggiava anche il nome del padre e della patria del vincitore.
    Non esisteva un uomo più felice dell’Olimpionico, che diventava l’eroe del giorno, celebrato dai cori accompagnati dalla musica.
    Il ritorno dell’Olimpionico nella sua patria era un vero trionfo. Entrava nella sua città natale da una breccia aperta nelle mura sopra un carro trainato da quattro cavalli bianchi; questo stava a significare che le mura erano inutili ad una città che aveva la gloria di annoverare cittadini in condizione di combattere e vincere. La popolazione usciva dalle case per andare incontro al vincitore. La corona veniva depositata nel tempio della divinità protettrice della città, come appartenente di diritto a quella città che aveva dato i natali al trionfatore.
    Gli Olimpionici, secondo le vecchie usanze, erano nutriti dal Pritaneo, ottenevano la Presidenza dei Giochi locali, ricevevano un premio e infine davano il proprio nome ad una delle principali strade della città.
    …………….


    ( tratto da “ I Giochi olimpici nell’antichità “ – rapp. uff.le di Lambros e Politis per Atene ’96)




    Aldilà dei festeggiamenti, comunque, gli onori ed i premi assegnati ai vincitori erano molteplici ed assumevano valori di alto simbolismo, oltre che pratico ed economico; spesso assicuravano fama e successo, riuscendo a cambiare le condizioni sociali del protagonista.
    Molte sono le testimonianze in proposito, che richiamano aspetti diversi a seconda del contesto che si prefiggono di esaminare.



    I premi riservati ai vincitori avevano soprattutto valore morale. Più tardi, sotto la dominazione romana ebbero anche un valore materiale, poiché consistevano in oggetti preziosi o monete.
    Il vincitore proclamato dagli Ellanodici riceveva una corona o ghirlanda di olivo sacro, cioè olivo selvatico coltivato sull’Altis ed un ramo di palma che portava nella mano destra ed era segnalato al pubblico al suon di tromba. Se poi riusciva a vincere in tre gare ed a maggior ragione se in tutte le prove del pentathlon, non solo veniva proclamato olimpionico ma aveva diritto ad una statua nell’Altis, ai piedi della quale venivano incisi i nomi delle gare nelle quali aveva trionfato, il proprio nome e la data in cui aveva vinto.
    Alcuni affermano che il ramo di palma fosse consegnato al termine della gara e l’incoronazione avvenisse nella solennità di chiusura di tutte le feste.
    Secondo gli storici greci, sembra che nessun premio od onore si potesse paragonare al trionfo del campione di Olimpia………..


    ( tratto da “Storia dell’educazione fisica” di Pietro Romano – 1923).




    L’onore e la considerazione pubblica che accompagnavano il vincitore per tutta la vita erano immensi. Il suo nome, con quelli di suo padre e della sua città, proclamato dal banditore, andava glorioso sulle bocche di tutti.
    Poiché la vittoria onorava pure grandemente la patria del vincitore, questa ne celebrava il ritorno con maggiore solennità ……..Ne l’onore finiva quel giorno. L’olimpionico ateniese riceveva dalla città, per legge di Solone, 500 dracme e aveva la mensa nel Pritaneo con i magistrati; lo spartano aveva diritto a stare in battaglia accanto al re e difenderlo; altrove erigevano al vincitore colonne onorarie; egli era immune dalle pubbliche imposizioni, aveva un posto d’onore nelle feste pubbliche e nei pubblici spettacoli. Insomma, una vittoria agonistica era sempre una gloria singolarmente ambita dai Greci, specialmente nei Giochi Olimpici ed era ritenuta felicità somma per un mortale. Si capisce perciò come tutto il fiore della Grecia dovesse aspirare a siffatto premio. Non solo i privati ma i re stessi l’ambivano: perciò, Ierone di Siracusa e Terone re di Agrigento, vincitori ad Olimpia ed a Pito, sono celebrati da Pindaro; più tardi, il più ambizioso degli ateniesi, Alcibiade e il più ambizioso degli uomini, Alessandro, aspirarono a quella palma e Nerone stesso, che cercava tutte le soddisfazioni più grandi, volle gustare anche questa e celebrò il suo trionfo agonistico con maggior pompa che mai si fosse vista prima nei trionfi militari……….


    ( tratto da “Le Odi e frammenti di Pindaro” – traduzione con commento di G. Fraccaroli – 1933).





    Nell’immaginario collettivo abbiamo, sin da bambini, l’idea della corona di ulivo che cinge la testa degli atleti ed essa costituiva senz’altro il premio simbolico più diffuso ma d’altronde non certo l’unico.



    …Sul modello di Olimpia, la corona divenne forse il premio agonistico più diffuso: essa si differenzia secondo le varie piante da cui viene preparata.
    Se ad Olimpia è di olivastro, a Delfi è di alloro, negli Istmi è di sedano fresco, nei Giochi di Nemea di pino. Questi i premi dei quattro grandi Giochi panellenici.
    Altrove il premio non era una corona: poteva essere, ad esempio, un oggetto molto prezioso come un tripode di bronzo; ma il vincitore non lo teneva per se, bensì lo dedicava al Dio del culto ed infatti i tesori di certi templi, sedi di culti celebrati con feste agonistiche, rigurgitavano di questi tripodi consacrati. I premi erano anche armi, celebre lo scudo che si vinceva ad Argo; potevano consistere in una veste speciale, come la proverbiale Chlaina di Pellene.
    Di particolare interesse sono i premi alimentari: nei grandi agoni di Eleusi, detti Eleusinia, il premio era un quantitativo d’orzo; negli agoni di Panathenaia al vincitore spettava dell’olio (un gran numero di anfore atto a contenerlo è stato ritrovato negli scavi) e ciò perché Atena possedeva nella propria città prediletta un certo numero di ulivi sacri, il cui prodotto non poteva sotto pena di morte essere utilizzato da profani; l’olio da essi ricavato serviva quindi come premio per i vincitori negli agoni della più grande festa che Atene dedicava alla propria Dea.


    ( tratto da “ I Greci e gli Dei” di Angelo Brelich – 1958).





    statua di Atena






    A conclusione di questo capitolo dedicato agli onori ed i premi spettanti ai vincitori voglio riportare un brano di gran lunga più breve dei precedenti, che penso però possa eloquentemente sintetizzare un significato di così alto valore sociale per il conferimento di una vittoria olimpica nella antica Grecia.


    …Cicerone assicura che gli onori del trionfo a Roma non raggiungevano l’importanza che i greci attribuivano all’onore di chi riportava la corona olimpica.
    Orazio dipinge questa vittoria giungendo al punto di affermare che la corona olimpica alzava il vincitore al di sopra della condizione umana: poiché questi non era ormai più un uomo ma un vero Dio.


    ( tratto da “ Torniamo all’antico” di Enrico Bertet – 1889).
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    Sacralità e simbologia nei Giochi


    L’olivo era la pianta riservata per antonomasia ai vincitori.

    “ Secondo la leggenda tramandataci da Pindaro, nella sua terza Ode Olimpica, la pianta di olivo selvatico era stata piantata nell’Altis (il bosco di Olimpia) dallo stesso Eracle il quale, nello stabilire la legge, il tempo ed il recinto per celebrare i Giochi da lui stesso istituiti, aveva constatato con rammarico che in Val Cronion non esisteva pianta che fosse degna di poter coronare la fronte dei vincitori.
    Allora si ricordò di aver visto l’oleastro nel paese degli Iperborei quando, per comando di Euristeo, vi era andato a dar la caccia alla cerva dalle corna d’oro e dagli zoccoli di bronzo. Tant’è che presto vi si recò di nuovo….
    Osserva Pindaro che se Eracle nella sua prima impresa – quella della 'fatica' – era stato spinto da necessità, nella seconda invece fu spronato dal suo stesso genio.
    Stabilì dunque che i rametti di olivo fossero tagliati dall’albero sacro mediante un coltello d’oro….”


    ( tratto da “Storia delle Olimpiadi moderne” di Raniero Nicolai – 1952).



    l'imperatore Teodosio consegna in premio una corona di ulivo




    Sopra la facciata levigata di un disco di bronzo, conservato in Olimpia tra gli ex voto del tempio di Era, si trova inciso il seguente monito: “Olimpia è luogo sacro, chi oserà mettervi piede con la forza delle armi sarà punito con il marchio del sacrilegio”.
    L’iscrizione si fa risalire all’886 a.c. e non è dato sapere se tale regola fu rispettata per il secolo successivo, ossia fino al 776 a.c. anno da cui, con la registrazione della vittoria del corridore Corebo, si fa iniziare oltre alla classica cronologia Olimpica anche l’era storica della Grecia antica.
    Probabilmente la violazione avvenne una volta sola, durante il lungo millennio in cui si susseguirono l’una dopo l’altra le 293 Olimpiadi precedenti al severo Editto con cui Teodosio il Grande ne troncò bruscamente la serie.


    Analizziamo ora quest'ultima importante circostanza, decisiva per la conclusione dei Giochi, prima di riallacciarci alla questione posta dall'iscrizione presente sullo scudo
    Dovremmo collocare l’epilogo di cui cennato con la cosiddetta “Legge de paganis”, che secondo alcuni non sarebbe stata emanata nel 394, come vuole la storiografia più accreditata, ma due anni dopo.
    La cosa non è di poco conto circa il movente di quanto avvenuto. Non avrebbe infatti credibilità la tesi che sostiene che l’editto medesimo, emanato genericamente contro le superstizioni pagane, sarebbe stato solo suggerito a Teodosio dal vescovo di Milano, Ambrogio.
    In realtà l’antefatto vuole che l’imperatore romano, per vendicare un proprio ufficiale che aveva perso la vita durante i moti di una protesta, aveva adunato il popolo in un circo ove un gruppo di pretoriani aveva poi compiuto una strage spietata, uccidendo quasi settemila spettatori.
    A seguito di ciò era stato fatto a Teodosio espresso divieto, da parte del futuro S. Ambrogio, di entrare nella basilica milanese fintanto che non dimostrasse d’essersi pentito di quanto era nelle proprie responsabilità.
    Il grande Teodosio si umiliò dunque dinanzi al vescovo di Dio ed emanò una legge nella quale stabiliva non doversi eseguire alcuna pena capitale se non decorsi 30gg. dalla pubblicazione di una sentenza.



    S.Ambrogio converte Teodosio il grande




    Non è certo però se questa legge – chiamata “De paganis” – fosse poi stata diretta contro gli stessi Giochi olimpici (di natura religiosa pagana), sancendone di fatto la fine.
    In tutto questo periodo – ovvero dall’886 a.c. fino alla promulgazione della rammentata legge De paganis – la tregua divina, cui fa riferimento l'iscrizione commentata in premessa, sarebbe stata violata con certezza nel 364 a.c., il primo anno della 104^ Olimpiade, durante la convulsa fase che seguì la “battaglia senza lacrime” e che precedette quella di Mantinea, nella cui occasione la morte del condottiero Epaminonda dimostrò quanto effimera fosse la presunta potenza di Tebe.


    ( liberamente tratto da “ Palingenesi di Olimpia “ di Raniero Niccolai – 1944).



    la morte di Epaminonda
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