Grazie a tutti per i commenti. Ho tenuto duro e finalmente concludo.
Avanti e indietro, settimane e mesi fuori di casa, pasti veloci e di bassa qualità, giornate di lavoro che finiscono dopo 14-15 ore di seguito, Questa è stata la mia vita per otto anni. Con una consolazione, però: tre mesi all'anno di riposo, praticamente tutta l'estate.
Circa 4 anni fa, mi prese una febbriciattola che non voleva andarsene, e che alla fine mi mise in fila per una visita dal mio medico di famiglia. La situazione poi si risolse da sola dopo qualche settimana e senza strascichi. Intanto, però, il medico mi aveva prescritto delle analisi del sangue. Quando gli portai il referto, disse: “E con questa anemia come va?”. “Perché, sono anemico?”, dissi stupito. “Scusi, ma non lo sapeva? Eppure ce l'ha sicuramente dalla nascita. Quando ha fatto le analisi del sangue l'ultima volta?”. Mi concentrai ma non mi veniva in mente un precedente. “Credo di averle fatte solo per la visita di leva, a 17 anni, ma nessuno mi ha mai detto niente”. Il medico rise. “Ma da bambino avrà fatto sport, si sarà accorto di avere poca resistenza. Lei ha senz'altro una ridotta capacità aerobica ”. Questo non potevo certo negarlo, ma ero incuriosito dal fatto che l'avesse capito leggendo quel foglio di cifre. “Glielo spiego in breve. Ha un'anemia microcitica, nel suo caso ha più globuli rossi del normale, ma più piccoli, e con poca emoglobina. E' ereditaria, qualcuno in famiglia ce l'ha sicuramente”. “Mio padre fu riformato dal servizio militare per anemia.” “Appunto, mi sembra strano che lei mi arrivi qui a più di trent'anni all'oscuro di tutto”. “E che ci vuole fare, son cose che capitano.” “Sì, è vero. Ah, comunque faccia molta attenzione al ferro”. “Prego?”. “Stia attento a non assumere integratori di ferro, un'alta dose le intossicherebbe il sangue.” “La carne posso mangiarla?” “Sì, l'alimentazione è libera. Piuttosto le scrivo la richiesta di analisi mirate, così scopriamo esattamente il tipo di anemia microcitica, ce ne sono vari, non ci si può fare niente e deve tenersela così com'è, ma almeno conosciamo i dettagli”.
All'uscita dell'ambulatorio, mentre gettavo nel secchio l'impegnativa per le nuove analisi (perché stressarmi di nuovo, se tanto era inutile?), ripensavo a tutte le dolorose iniezioni di ferro che mia madre mi aveva fatto alla fine degli anni '70, e a quanto le avessi odiate. Insisteva con il medico (“è debole, diamogli un po' di ferro”) e quel disgraziato prescriveva, tanto mica le doveva fare lui. Con chi prendersela? Non si sa, e non ha più importanza, ormai. Il medico era già anziano allora, sarà morto da un pezzo, pace all'anima sua.
In ogni caso la diagnosi mi aveva chiarito molti punti della mia storia. Ora era tutto più limpido. Non ero un bambino svogliato nelle attività sportive, la mancanza di carattere, come dicevano gl iinsegnanti di educazione fisica, non c'entrava nulla. Il motivo per cui non arrivavo in fondo alla corsa aveva una causa oggettiva. Io ero una mezza sega proprio di natura, e avrei potuto anche esibire un certificato per provarlo, se solo qualcuno me l'avesse fornito prima.
Ma si diceva dello stress lavorativo. Ogni anno a maggio, quando finalmente staccavo e tornavo a casa a riposare, ero sempre un relitto umano. Chili, chili e ore di sonno da recuperare. Per il sonno mi bastava una settimana sul mio materasso e tornavo arzillo e pimpante, per i chili serviva un po' di tempo in più, ma le nastrine facevano sempre il loro sporco lavoro, e passato ferragosto ero rimesso a nuovo e pronto a ripartire.
Nel maggio del 2009 qualcosa cambiò. Dopo quindici giorni di sonno e pasti regolari ero ancora provato come il giorno in cui ero tornato a casa. Fingevo di non accorgermene, pensando che l'indomani mattina sarebbe avvenuto il miracolo che ogni anno si ripeteva, e io mi sarei alzato dal letto zompettando. Invece non fu così.
Anzi, un giorno in particolare, al risveglio misi i piedi fuori dal letto e capii cosa prova un ottantenne che deve alzarsi sulle sue gambe per iniziare la giornata. Ero pesante e debole. Le nastrine, invece di distribuire le loro energie per tutto l'organismo, si stavano depositando sull'addome. Per la prima volta in vita mia, stavo accumulando adipe. Mi ritornarono in mente le parole del mio amico, pronunciate come un vaticinio anni prima: “Con le gambette e la pancia, fidati, a 40 anni sarai così”. Aveva ragione, solo che di anni ne avevo solo 37, ma visto la vita che facevo e un punto di partenza non eccelso, avevo anticipato i tempi, invecchiando precocemente. “Che ***** la vita”, pensai, “sono già diventato vecchio. E vabbè, accettiamo anche questa, mi abituerò”. Ma di colpo ebbi paura del futuro. Se ero uno straccio ora, come sarei stato a 50 anni? E a 60? E quanto presto avrei smesso di camminare con le mie gambe?
Giravo in ansia. Tutti, nella mia città, incontrandomi dicevano: “Certo che sembri ancora un ragazzino, non invecchi mai tu”. Volevo urlare loro: “Forse fuori, ma dentro... dentro sono vecchio, arranco e non sapete quanto rimpiango quello che ero cinque anni fa. Se è vero che l'importante non è l'apparenza ma sentirsi giovani dentro, beh io dentro mi sento vecchio, anzi lo sono”. Sentivo che dovevo fare qualcosa, trovare una soluzione, ma non sapevo quale. Di palestra non se ne parlava, quel tapis roulant avrebbe decretato la mia condanna, e ora sapevo anche il perché. A che serviva mettermi a correre, se correre mi stancava? E quelle serie interminabili alle macchine, quel fiatone, un minuto non sarebbe più bastato a farmi recuperare ossigeno. Degli altri sport, neanche a parlarne. Ma allora cosa? Cosa mi avrebbe ridato un po' di forza fisica? Qualche farmaco ricostituente? Magari un po' di ferro, pensavo sarcastico. E la papaya? Non c'era quel medico che rinvigoriva papa Wojtyła con la papaya? Sì, peccato che il papa era morto poco dopo l'intervista. Le soluzioni semplici servono solo a far arricchire qualcuno, è sempre così. Eppure ci dev'essere qualcosa che possa farmi diventare meno debole.
Ripescai nella mia mente immagini del passato, dei flash che potessero aiutarmi, darmi un suggerimento. E mi tornava in mente Mr. T in Rocky 3, che pieno di rabbia si tirava su alla sbarra a casa, e Linda Hamilton in Terminator 2, che lo faceva in prigione, e tante altre situazioni in cui qualcuno, per trasmettere una sensazione di forza che dà lì a poco nel film sarebbe esplosa contro un malcapitato, si tirava su. Io li guardavo e pensavo: sono forti, sono in forma. Solo chi è forte e in forma può tirarsi su con la forza delle braccia. E io, sarei stato in grado di fare delle trazioni? Per un attimo immaginai me stesso nell'atto di tirarmi su con il mento oltre una sbarra. Poi, siccome passo gran parte della mia vita davanti a un computer, scrissi su google, quasi senza pensarci, “trazioni”.
E chi cerca trazioni, trova Ironpaolo.
Segnalibri