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Discussione: Metodi e Sistemi applicativi nell'allenamento delle specialità di forza

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  1. #1
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    I SISTEMI PIRAMIDALI




    Chi di noi, soprattutto al principio della propria attività atletica, non ha mai effettuato per prova, curiosità o premura di acquisire un nuovo record personale una sessione d’allenamento basata sull’intensità progressivamente crescente e la proporzionale diminuzione delle ripetizioni?
    Sin dall’inizio della frequentazione di una sala pesi, la strada tendente a far salire i carichi mediante il cosiddetto sviluppo “a piramide” viene spesso proposta ai frequentatori giovani e meno giovani e stuzzica pure atleti già esperti.
    C’è una reale giustificazione alla base di questo? Vi sono solide e motivate ragioni, magari parziali e da contestualizzare che diano fondamento a tale metodologia? O trattasi viceversa di un modo di procedere approssimato e privo di condotta razionale, una scorciatoia legata a sensazioni e intuizioni per tentare di raggiungere una meta senza disperdere tempo e fatica in elaborati piani di lavoro?
    Di fatto, nell’esperienza quotidiana cui si è accennato sopra, risulta trattarsi spesso di un espediente empirico rivolto più che altro ad appagare il proprio ego, lasciando atleticamente poche tracce di un illusorio raggiungimento di uno stato di forma che attesta, nel breve periodo, ciò che già si possiede ma non costruisce prodromi per il futuro.
    Tuttavia è errato credere che il concetto di “carico a piramide”, da cui possono farsi scaturire tutti i sistemi attuativi di questa metodologia, abbia come unica realizzazione pratica l’ascesa lineare verso una vetta d’intensità che, forse, ne costituisce l’applicazione più conosciuta nel bene o nel male.
    Poiché sono del parere che, nella maggioranza dei casi, il raziocinio e le illusioni come la verità e l’errore si mischiano, dando vita nel tempo ad una creatura diversa da quello che, in origine, si proponeva il suo seminatore o ideatore e che - d’altronde - la storia ci insegna come i progressi negli studi scientifici siano in grado di porre in discussione oggi quanto sembrava valido ieri, proviamo allora con umiltà e pazienza ad esaminare, scevri da condizionamenti esterni, quanto è stato scritto e posto in essere sull’argomento da coloro che ci hanno preceduto, fossero anche in contrasto di vedute e di responsi.


    Sin dagli studi più remoti sull’allenamento della forza era chiaro che, per nostre connaturate qualità ed attitudini fisiologiche, una tensione muscolare fosse caratterizzata da impegno contemporaneo del maggior numero di unità motorie, frequenza massimale degli impulsi che le sollecitavano e ritmo sincronizzato della loro attività.
    Tutto ciò senza scendere nei particolari delle differenti discipline sportive complesse.
    Il sollevamento massimale o sub massimale di un carico risponde a questi requisiti, perché la velocità raggiunge rapidamente il valore ottimale per poi proseguire a velocità costante (Hebestreit, 1934); al contrario, il prolungarsi del lavoro ed il rallentamento della curva di velocità – con l’intervento di diversi meccanismi energetici - induce i muscoli antagonisti a partecipare nel tempo al lavoro stesso, con opera di stabilizzazione, dunque a rinforzarsi a scapito di quelli deputati all’azione concentrica e favorendo in tal modo la fase di resistenza (Vacholder, 1928).
    Se però questi assiomi parevano dimostrare che l’allenamento della forza non avrebbe avuto successo senza l’impiego di carichi massimali, altri studi sottolineavano come sul piano energetico fosse da evitare un lavoro fino all’esaurimento, nel mentre – in apparente contraddizione – si rendeva necessario ripetere sforzi massimali in numero maggiore nel piano di allenamento.
    Le attenzioni furono pertanto indirizzate verso lo studio di metodiche che permettessero un progressivo e costante avvicinamento ai carichi alti, senza che tuttavia ciò conducesse ad un superlavoro coinvolgente per un tempo prolungato il sistema nervoso, stressandolo oltre misura e creando i presupposti di un inevitabile quanto repentino stallo delle prestazioni massimali.


    Il tentativo più vecchio del quale si abbia traccia nel programma di un’applicazione a base piramidale è quello effettuato dal capitano Thomas De Lorme, a cui si attribuisce infatti la paternità del primo sistema piramidale moderno documentato, pubblicato e riferito all’allenamento della forza resistente.
    De Lorme, nell’ormai lontanissimo 1945 appena dopo la conclusione del secondo conflitto mondiale, progettò un ciclo di allenamento lungo 8 settimane, che intendeva proporre come parte dell'esercitazione militare. Esso comprendeva un prologo preparatorio di 2 settimane ed una successiva fase specifica di 6.

    Le sessioni, ripartite in 3xweek, avevano il seguente schema generale:
    1° fase)
    - I settimana
    a) 50% 10RM x5reps + 75% 10RM x5reps x 3sets,
    b) 50% 10RM x5reps + 75% 10RM x5reps x 4sets,
    c) 50% 10RM x5reps + 75% 10RM x5reps x 5sets;
    - II settimana
    a) 5x50%10RM + 5x75%10RM + 5x100%RM x 2sets,
    b) 5x50%10RM + 5x75%10RM x 7sets,
    c) 5x50%10RM + 5x75%10RM x 5sets;

    2° fase)
    a) n serie x 5x50%10RM + 5x75%10RM + 5x100%10RM,
    b) n serie x 5x50%10RM,
    c) n serie x 5x50%10RM + 5x75%10RM.

    L’autore in seguito aggiunse varianti precipue per obiettivi diversi e, tra queste, quelle riferibili al parametro forza che più ci interessa ma il primo schema stilato resta agli atti come antesignano della metodica del piramidale.
    E' chiaro che oggi uno schema così asciutto ed elementare può apparirci perfino semplicistico e cionondimeno, rapportato all'epoca, avvalorava studi fino ad allora soltanto teorici e creava le premesse per successive e più articolate razionalizzazioni del metodo in esame.

    Alcuni anni dopo, nel 1951, Zinovieff tentò di rendere più strutturato lo schema in parola e ancor di più fece Wilmore con un primo esempio di progressione inversa (di cui parleremo dopo), inserendola nell’”Oxford technique”, metodo tutto sommato piuttosto complesso.
    Nel tempo si sono quindi succedute varie sperimentazioni di piramidali semplici, a sostanziale modifica di quelli che ne erano stati i precursori, poiché il concetto di crescita del carico all’interno della seduta di allenamento, accompagnato da una diminuzione del numero delle ripetizioni, ben si confaceva ad un allenamento concreto, stimolante e di facile realizzazione anche in situazioni e logistiche sfavorevoli.
    Così Steve Holmann ricorda uno schema di piramidale di 7 serie per atleti in mesociclo di forza (1x12 – 1x10 – 1x8 – 1x6 – 1x4 – 1x2 – 1x1/2), mentre il Dott. Di Pasquale - powerlifter, campione del mondo di bench press ed esperto di medicina sportiva - era solito applicare una formula più concentrata: partiva dal proprio 5 rm stabile x 5 reps e progrediva di un 2/3% in ogni serie, scalando nel contempo una ripetizione; in tal modo la sequenza 5/4/3/2/1 lo vedeva concludere il wo con un carico in aumento ma inferiore al proprio massimale assoluto. Nella seduta successiva e speculare (ossia quella analoga del microciclo successivo) aumentava leggermente i carichi di ogni serie.


    In effetti l’obiettivo della metodologia alla base del piramidale è quello di portare l’intensità a livello massimale, sia nell’ambito della singola unità di allenamento che nel microciclo, in un volgere di tempo sufficientemente breve per raggiungere lo stato di forma ottimale.
    Il lavoro si sviluppa pertanto in senso verticale, con ridotto numero di serie (perlomeno percentualmente a quello complessivo previsto dal wo). I principi fondamentali sono: scarsa quantità, alta intensità, recuperi via via più ampi tra le serie man mano che si raggiungono i carichi più elevati.
    Un sistema di questo tipo, dunque, trova impiego per riacquistare velocemente uno stato di forma perduto, per inattività o infortunio; per raggiungere un picco nella performance durante un periodo agonistico tra competizioni ravvicinate, che abbiano in ragione di ciò indotto ad un precedente scarico; come mantenimento e consolidamento di un livello già acquisito di forza, purchè in precedenza sia stato svolto un adeguato lavoro di base con il metodo degli sforzi ripetuti (repetition effort), volto a costruire la massa e la struttura fondamento del successivo sviluppo apicale.
    Può, inoltre, essere utilizzato con successo da atleti giovani, già in possesso di buona tecnica e che abbiano conseguito confortanti risultati ma che tuttavia per curriculum, anagrafe ed esperienza possano aspirare ad un progresso e ad incrementi cospicui e stabili nell’immediato.


    Quello che conosciamo come fulcro del piramidale moderno è sostanzialmente dovuto allo schema ad "albero di Natale" dei rapporti intensità/ripetizioni elaborato da Zaciorskij - con fini di studio peraltro del tutto diversi dalla progettazione di un sistema di preparazione con procedura piramidale - e poi riprodotto con ampie modifiche e in fattispecie mirate da Dietrich Harre, Direttore Tecnico e guru della preparazione atletica nelle nazionali della ex DDR.
    La scaletta, arcinota in tutti i settori della scienza dell’allenamento, è la seguente (con i dovuti aggiustamenti per singole discipline, esercitazioni e individualità):
    100% = 1 alzata = carico massimale
    90% = 2/3 rep. = carico sub massimale
    85% = 4/5 rep. = carico molto elevato
    80% = 6/7 rep. = carico elevato
    75% = 8/9 rep. = carico medio elevato
    70% = 10/12 rep. = carico medio
    65% = 13/16 rep e oltre = carico medio debole
    55/60% = 16/20 rep e oltre = carico debole
    50% ca. e inf. = 25 rep e oltre = carico molto debole.
    Chiaramente la rispondenza delle ripetizioni alle intensità stabilite risulta tanto più veritiera con i carichi alti, quanto più approssimata e legata a vari fattori di morfologia, specialità e curriculum con i carichi medi e ancor più con quelli ridotti tipici del lavoro di endurance.

    Peraltro lo stesso Zaciorskij, nel ’66, ebbe modo di esprimere valutazioni critiche del metodo piramidale, sottolineando come la base della piramide è rappresentata dal tipo di intensità raggiungibile con maggior efficacia tramite il metodo degli sforzi ripetuti, siano essi rivolti alla forza resistente o alla resistenza in senso propriamente detto; all’opposto, il vertice della piramide è comunque allenabile con sistematiche proprie dell’esclusivo lavoro massimale (il maximal effort eseguibile o meno su gli esercizi di gara), senza quindi che appaia necessario ricorrere ad una sintesi allenante, quale quella che si vorrebbe offerta dal metodo di preparazione piramidale puro.
    In quest’ultima ipotesi potrebbe infatti verificarsi che l’atleta, sapendo di dover compiere sforzi massimali e giustamente allettato da questi, risparmi l’impegno nella prima fase di lavoro a percentuali basse e maggior numero di ripetizioni, rendendo di fatto inutile e poco economico il lavoro; oppure, concentrandosi generosamente nel rispetto di quanto previsto in tabella sulla prima parte dell’allenamento, paghi dazio ed arrivi agli sforzi massimali in condizione di scarsa freschezza atletica.
    Dunque – conclude Zaciorskij – sembrerebbe più proficuo invertire la piramide, rovesciando un lavoro piramidale classico nel suo esatto opposto: 1x100% - 1x3x90/85% - 1x5x80% (così, a titolo esemplificativo).
    Dopo di lui, altri arrivarono alle medesime conclusioni in circostanze e pianificazioni diverse: Leighton nel ’67, il menzionato Wilmore, Mc Donagh nell’84, Fleck e Kramer nell’87.
    Proprio il già citato Harre propose uno schema da 1x95/100% - 2x2x90% - 3x3x85%.
    Con dette varianti lo scopo sarebbe quello di affrontare i carichi massimali o sub massimali all’inizio, in condizione di freschezza dopo il necessario warm up e proseguire con il metodo degli sforzi ripetuti ad intensità inferiori per aumentare la quantità ed incidere, in tal modo, sul volume complessivo.

    Volendo pertanto riepilogare le più note applicazioni pratiche del metodo piramidale – catalogandole in gruppi per modalità esecutive – e senza la pretesa di stendere periodizzazioni per questi sistemi, potremmo delineare il quadro che segue con esempi annessi.

    piramidale classico:
    progressione lineare semplice,
    5x75% - 4x80% - 3x85% - 2x90% - 1x95%;

    piramide tronca:
    rivolta a sport di forza resistente,
    8x60% - 7x65% - 6x70% - 5x75% - 4x80%;

    piramide irregolare:
    dove non c'è progressione completa e fissa nel range delle reps e nei relativi intervalli tra esse,
    12x55% - 10x60% - 8x70% - 6x75% (o 5x80%) – 3 o 4x85/90% - 1x95%
    (con le varianti alternabili nelle sessioni);

    piramide inversa:
    varie applicazioni tra piramidi rovesciate semplici e irregolari,
    1x95% - 3x85% - 4x80% - 6x75% - 8x70% con recuperi maggiori all’inizio e ridotti al termine;

    piramide rafforzata:
    variante molto faticosa che consiste nell’aumentare talune serie, sporadicamente, sulla medesima intensità al fine di incrementare il tonnellaggio,
    es. 1x95% - 2x2x90% - 2x3x85% - 2x4x80% - 3x6x75% - 2x8x80%;

    piramide a ripetizioni costanti :
    ottima per atleti razionali e metodici in discipline di grande concentrazione,
    2x2x95% - 2x2x90% - 2x2x87% - 2x2x85% - 2x2x83%;

    doppia piramide:
    buon compromesso tra forza massimale e lavoro ripetuto,
    4x80% - 3x85% - 2x90% - 2x1x95% - 2x90% - 3x85% - 4x80%;

    piramide inversa ad espansione di serie:
    (la mia preferita)
    2x1x95% e oltre – 3x2x85/90% - 4x3x80/85% - facolt. 5x4/5x70-75%

    piramide a base larga :
    consigliabile per lavori lattacidi e di endurance,
    16x50% - 14x55% - 12x60% - 10x65% - 8x70% - 6x75%;
    piramide a base stretta:
    come la piramide irregolare ma con l'inizio inoltrato alla serie da 7 o 8 reps.


    Esistono poi sistemi che prevedono l’impiego del piramidale all’interno della stessa serie


    piramide a carico discendente nella serie:
    metodo che somiglia a quello degli “scarichi”, tipico del BB, prevede di scaricare il peso dopo ogni rep. proseguendo senza recupero ed effettuando comunque una singola alzata, per complessive 5-6 ripetizioni.
    Il numero delle serie utilizzato varia, secondo il livello dell’atleta, da 4 a 8 e i recuperi possono arrivare a 7/8’ ed oltre tra le serie.
    Es. 1 set x5 ripet. con 1x95% - 1x90% - 1x85% - 1x80% - 1x75%;

    piramide a carico ascendente nella serie:
    molto diffuso ma forse di scarsa praticità, può essere utile per atleti poco abituati allo sviluppo dei carichi e per alcune tipologie di lavori ipertrofici.
    Es. 1 set x 10/12 ripet. con 3x50% - 2x60% - 1x70% - 2x60% - 2/4x50%;
    un’altra variante sul tema:
    1x5 con 2x75/80% - 1x90% - 2x70%
    Ultima modifica di Tonymusante; 20-01-2011 alle 12:45 PM

  2. #2
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    Citazione Originariamente Scritto da Tonymusante Visualizza Messaggio
    Peraltro lo stesso Zaciorskij (...) sottolineando come la base della piramide è rappresentata dal tipo di intensità raggiungibile con maggior efficacia tramite il metodo degli sforzi ripetuti, siano essi rivolti alla forza resistente o alla resistenza in senso propriamente detto
    potresti approfondire questo discorso?
    thx
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    por Pablo Neruda, por Pablo Picasso,
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  3. #3
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    Tony se in risposta a phoenix puoi/riesci ad approfondire anche il discorso piramidale inverso/diretto mi farebbe piacere... Cioè io a dirti la verità, dal basso della mia ignoranza, reputo quello inverso meno "utile" (passami il termine) di quello diretto... Sono io che non ne capisco oppure in una qualche maniera c'ho preso?

  4. #4
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    Citazione Originariamente Scritto da phoenix1927 Visualizza Messaggio
    potresti approfondire questo discorso?
    thx
    Citazione Originariamente Scritto da djdo Visualizza Messaggio
    Tony se in risposta a phoenix puoi/riesci ad approfondire anche il discorso piramidale inverso/diretto mi farebbe piacere... Cioè io a dirti la verità, dal basso della mia ignoranza, reputo quello inverso meno "utile" (passami il termine) di quello diretto... Sono io che non ne capisco oppure in una qualche maniera c'ho preso?

    Ciao ragazzi, rispondo molto volentieri.

    Non ho ben capito se la domanda di phoenix riguardasse la differenza tra i concetti di forza resistente e di resistenza generale o se invece si riferisse alle valutazioni critiche di Zaciorskij in merito ai sistemi piramidali. Ad ogni modo cercherò di svolgere un discorso riepilogativo, che racchiuda tutte le domande rivoltemi.


    Sappiamo che nell'esplicazione di un lavoro atletico il nostro corpo agisce, a grandi linee, mediante tre principali meccanismi energetici: quello anaerobico alattacido dell'ATP, quello anaerobico lattacido e quello aerobico, con tutti i possibili distinguo e le connessioni che possono ovviamente essere interposti nella definizione sommaria di dette classificazioni.
    Al tempo stesso sappiamo di poter sfruttare diverse qualità muscolari, quali la velocità, la forza, la potenza, la resistenza, la reattività, l'esplosività, la flessibilità ecc. che, di fatto, non sono poi soltanto muscolari ma agiscono sinergicamente con implicazioni di altre funzioni e caratteristiche strutturali e organiche (nervose, tendinee, articolari, cardiocircolatorie, polmonari e via dicendo).
    Alcune delle attività dipendenti dalle ricordate qualità muscolari si verificano esclusivamente all'interno di precisi meccanismi energetici: è il caso della velocità pura o della potenza (forza nell'unità di tempo), che hanno luogo solo in fase anaerobica alattacida; altre invece, come le attività di forza in generale, possono svilupparsi nell'ambito di più di un meccanismo.
    Possiamo quindi parlare di forza veloce, di forza massimale e di forza resistente, per indicare delle attività con caratteristiche diverse, dove tuttavia le qualità di forza - siano esse in regime di ATP (per es. il massimale di un pesista o lo scatto di un centometrista) oppure di lavoro lattacido (le prese di un lottatore) - restino pur sempre preponderanti; allorchè però il lavoro prolungato varcasse quella soglia limite per cui si estrinseca in presenza del lattato per proseguire in fase aerobica, a quel punto non potremmo più parlare di resistenza alla forza o forza resistente ma di resistenza vera e propria o di endurance (i confini, in dottrina, sono molto sottili).

    Ora abbiamo visto come la metodologia del "piramidale" - introdotta da De Lorme con un programma fondamentalmente rivolto alla forza resistente - aveva, all'origine, come caratteristica comune quella di iniziare da un'intensità bassa o moderata (perlomeno in relazione a quella finale) e proseguire in crescendo fino ad un'intensità elevata o massimale.
    In conseguenza di ciò e sfruttando tale filosofia, i sistemi con i quali si è operato per attuare il metodo piramidale sono risultati i più svariati. Alcuni, come il piramidale forse più comune (utilizzato poi da De Pasquale), partivano da una serie di 5 reps. per giungere alla singola; altri, come nell'esempio del piramidale tronco o in quello riportato da Holmann, iniziavano con serie da 8 o da 12 per arrivare alla fine con una singola o per interrompersi alla serie da 4; altri ancora, come quello descritto da Andrea Umili della piramide larga, avevano un range di lavoro tra le 16 e le 6 ripetizioni.
    E' evidente come non soltanto le caratteristiche ma soprattutto le finalità di ciascun sistema tra quelli descritti e basati sul concetto di piramide fossero estremamente diverse tra loro, poichè sicuramente rivolte ad atleti e situazioni sportive ben distinte o addirittura diametralmente opposte.
    Pertanto e partendo dal presupposto di voler utilizzare il metodo piramidale, avrò dinanzi a me alcune alternative ben precise: opterò per un certo sistema, se mi rivolgo ad un pesista che abbia in obiettivo uno sforzo massimale concretizzabile in una singola alzata; sceglierò invece una seconda applicazione, se alleno uno strongman dotato di forza straordinaria, che tuttavia la esplica in un lasso di tempo maggiore ed a cui interessa trasportare o resistere ad un carico eccezionale per "n" tempo, in confronto al suo avversario, piuttosto che aumentare il peso anche solo di una libbra; preferirò d'altro canto un'ulteriore tipologia se, con il piramidale, volessi allenare un BB in regime lattacido a scopo ipertrofico; infine, ancora un altro sistema, se il mio è un atleta resistente a cui interessino ondulazioni nell'intensità dei carichi o magari un giovane da sottoporre ad una preparazione fisica generale.

    In questo senso si inserisce la disamina critica di Zaciorskij.
    Egli aveva elaborato la cosiddetta "piramide delle intensità" per fissare dei parametri grazie ai quali potersi orientare, in ragione della disciplina sportiva cui si mirava, sulle percentuali di carico più idonee, sul range di ripetizioni più adatto, sul recupero più congruo.
    Non riteneva però opportuno affrontare in unica seduta l'intera scala delle opzioni.
    Sostanzialmente lo studioso sosteneva: se l'obiettivo è uno sforzo prolungato (resistenza) o di forza resistente, per il quale si giustifica il range di ripetizioni identificabile nella base della piramide in ascesa, allora perchè proseguire con un diverso lavoro ad intensità maggiore e così alta? Sembrerebbe preferibile, perchè più economico in termini sportivi, scegliere il metodo del lavoro ripetuto (repetition effort) e concentrarsi solo su esso, dopo aver individuato il numero o il range di reps necessario alla bisogna; se viceversa si tratta di specialità con implicazioni di sforzi massimali, arrivare ad essi avendo eseguito diverse serie a sostenuto impegno energetico è controproducente all'obiettivo finale; pure nell'eventualità che la disciplina comprendesse contestualmente sforzi sub massimali ed altri ad intensità moderata, parrebbe ugualmente più consono allenare, rispettivamente, ciascuno di essi in sessioni (unità di allenamento) separate, così da poter recepire il meglio da ogni seduta svolta con oggetto mirato e concentrato.
    Cionondimeno - concludeva - anche volendo ricondurre l'attuazione del piramidale all'ipotesi di un'attività atletica che preveda sforzi ad intensità diversa e oscillante, da effettuare perciò senza soluzione di continuità o, comunque, nel volgere di un tempo ristretto - il che giustificherebbe appieno l'introduzione di un sistema di allenamento misto - la soluzione più coerente sembrerebbe quella di rispettare i parametri fisiologici della successione temporale dei meccanismi energetici, rovesciando la piramide e lavorando (dopo, beninteso, il necessario riscaldamento), secondo la consecutività: forza max - sub max - forza elevata e resistente - endurance, ossia 1/2-3/4-6/8 ecc.

    Mi riallaccio a quest'ultimo punto per rispondere a Djdo.
    Vuoi sapere cosa ne penso io? Bene, fondamentalmente credo che si debba sempre tener presente il fine ultimo e prioritario del nostro allenamento o dell'atleta che alleniamo.
    Pertanto, se l'obiettivo è una disciplina di forza pura, dove abbia un senso allenare proprio la forza massimale e ci si trovi in periodo non estremamente lontano dalla stagione agonistica, mi trovo senz'ombra di dubbio d'accordo con Zaciorskij, Harre, Wilmore e Gilles Cometti.
    Vale a dire: l'allenamento su sforzo massimale o sub massimale (qualora necessario) dovrebbe avere la precedenza (dopo il necessario warm up), perchè coinvolge delle unità motorie nonchè globalmente il sistema nervoso centrale in una misura e percentuale tali da non poter altrimenti usufruirne anche solo pochi minuti dopo.
    Se del resto sono consapevole che il mio ATP mi concede 6/8" di autonomia per lo sfruttamento massimo, non posso certo coinvolgerlo adeguatamente dopo un 5x85% .
    D'altra parte una volta effettuato il lavoro di forza massima, esplicatosi in pochissimo tempo e lasciato ad energie prevalentemente mentali e nervose, sono ancora abbastanza in grado di concentrarmi per svolgere un lavoro tecnico specifico su pesi elevati che, comunque, non potrei rimandare ulteriormente, pena la stanchezza subentrante; dopo di tutto ciò, meno lucido e meno reattivo, potrei ancora essere sufficientemente fresco per un lavoro di forza generale o resistente; poi, esaurite anche quelle riserve e magari leggermente contratto, potrei ancora prolungare il lavoro di resistenza globale il quale, proprio perchè fondato sulla capacità di resistere, potrebbe regalarmi un aumento di tonnellaggio e volume complessivo.
    E' evidente che trattasi di un esempio limite per indicare un teorico ordine di priorità; non è da prendere come riferimento assoluto per esplicare sempre e comunque tutta l'attività descritta nel complesso in un'unica seduta allenante.

    Alla luce di quanto sopra e per scendere sul piano pratico, potrei descriverti - sempre a titolo esemplificativo e non per imitazione - un piano di lavoro generico eseguito da uno dei miei ragazzi nello stacco da terra.
    a) warm up e attivazione progressiva raw
    b) 2x1 full geared a percentuali crescenti nei microcicli,
    c) 2/3x2 parz.te geared di lavoro specifico di stacco deficit,
    d) 3/5x3 raw a percentuali medio elevate,
    e) 4/5 rematore bilanciere da 5/6/8 reps.
    La logica, pur chiaramente non rispondente ad un piramidale classico, risente tuttavia di alcune linee guida ad esso assimilabili.

    Ovviamente qualora lo scopo prefisso sia invece quello di allenare un atleta ad un'attività di tipo lattacido e/o ipertrofico oppure ad una disciplina con tempi prolungati ecc - tutte finalità in cui mi sono imbattutto ma molto più sporadicamente - a quel punto sia il classico piramidale crescente, così come la piramide tronca o la doppia piramide tronca (12 - 10 - 8 - 6 - 8 - 10 - 12), potrebbero avere molte più ragioni di essere preferite e rivelarsi scelte azzeccate e funzionali.
    Dunque e come al solito: est modus in rebus (....che naturalmente non vuol dire che ...c'è sempre un modo per risolvere i rebus! )

    Sperando di essere riuscito ad evadere tutti i quesiti, vi saluto



    N.B.) per un refuso di battitura nel mio post precedente - che ovviamente adesso non mi è più possibile correggere - laddove riporto l'esempio di "piramide rafforzata", ho erroneamente scritto 2x8x80% in luogo del ben più fattibile 2x8x70%, che rispecchia tra l'altro la proporzione tra il decremento del 5% nelle percenuali e l'aumento delle reps in un carico discendente.
    L'esatta applicazione pertanto sarebbe: 1x95% - 2x2x90% - 2x3x85% - 2x4x80% - 3x6x75% e, appunto, 2x8x70%.
    Ultima modifica di Tonymusante; 21-01-2011 alle 05:53 PM

  5. #5
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    Grazie mille Tony

  6. #6
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    Citazione Originariamente Scritto da Tonymusante Visualizza Messaggio
    Non ho ben capito se la domanda di phoenix riguardasse la differenza tra i concetti di forza resistente e di resistenza generale o se invece si riferisse alle valutazioni critiche di Zaciorskij in merito ai sistemi piramidali.
    la seconda che hai detto (cit.). fortunatamente la differenza tra allenamento anerobico ed aerobico la so

    in particolare mi interessavano le considerazioni sulla preferibilità al metodo degli sforzi ripetuti in caso di un'allenamento finalizzato alla forza resistente ed alla precedenza dell'allenamento neurale su quello più metabolico in caso di un allenamento di più abilità.

    grazie mille per la risposta, chiarissimo cm sempre!
    por los pueblos que dejaron de ser libres,
    por que la revolución es grande,
    por el insurgente, que combate al marine,
    por García Lorca, por Miguel Hernández,
    por la belleza del fracaso,
    por el oprimido, por el que esta preso,
    por Pablo Neruda, por Pablo Picasso,
    abajo el régimen, hay que tomar el congreso.

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    IL METODO DEGLI SFORZI MASSIMALI




    Premesse, descrizioni e considerazioni


    Si era già precedentemente accennato e si può, ad ogni buon fine, ulteriormente riassumere di come una tensione muscolare fosse essenzialmente caratterizzata da:
    - impegno contemporaneo del maggior numero di unità motorie,
    - frequenza massimale degli impulsi efferenti,
    - ritmo sincronizzato dell’attività delle unità motorie.

    Se, ad esempio, attuiamo uno sforzo muscolare non massimale la frequenza dell’impulso non raggiunge il culmine e il ritmo di attività delle unità motorie coinvolte è asincrono. Di conseguenza, con l’aumentare della fatica, tali unità smettono di lavorare - per usare termini di facile comprensione - e sono sostituite da altre; per cui, perdurando l’allenamento, migliora questo meccanismo di alternanza tra le unità motorie coinvolte ma ciò agevola la durata e la prosecuzione del lavoro e cioè favorisce il miglioramento della resistenza ma non della forza pura.

    Considerando le qualità di velocità e accelerazione che determinano le caratteristiche spaziali e temporali dei diversi movimenti e relative tensioni muscolari, sin dal 1934 Hebstreit aveva osservato che:
    a) nel sollevamento di un carico massimale o sub massimale, la velocità raggiunge celermente un certo valore e in seguito si mantiene costante; l’accelerazione oscilla di poco; la forza occorrente per vincere la resistenza opposta è all’incirca corrispondente al peso dell’oggetto da sollevare;
    b) nel sollevamento di carichi medi o deboli, se gli sforzi applicati sono massimi, l’accelerazione ha un picco iniziale, per poi scendere e infine divenire negativa nella seconda parte del movimento; la forza necessaria da applicare è dapprima superiore al peso dell’attrezzo, poi inferiore e il sollevamento si conclude per inerzia; il tempo di tensione è spesso così ridotto da non consentire influenze pratiche sullo sviluppo della forza;
    c) se gli sforzi applicati non sono massimi nel sollevamento di carichi inferiori, le curve di velocità e accelerazione saranno, invece, analoghe a quelle dello sforzo massimale ma il successivo rallentamento artificiale del movimento porterà all’impiego di muscoli antagonisti e quindi un mutato rapporto di forza (con decremento di quella massima) nei confronti della catena cinetica deputata all’esercizio.

    Inoltre, già dalle ricerche dei bulgari Mateev e Akrabov, si dimostrò che le resistenze esterne determinano diversi valori di stimoli fisiologici ai quali si contrappongono reazioni proporzionate. Di modo che, a stimoli (stressor) elevati corrisponde un’alta inibizione mentre, al contrario, stimoli deboli causano risposte deboli: da cui la deduzione che la forza massimale è allenabile e migliorabile con impieghi massimali della stessa e tensioni muscolari massime.

    Ecco perché, al fianco del metodo per gli sforzi ripetuti (di cui si è ampiamente trattato) ed a quello degli sforzi dinamici, ha sempre avuto largo impiego il cosiddetto metodo degli sforzi massimali, con opportuni distinguo.
    In buona sostanza:
    - il metodo degli sforzi dinamici: è principalmente rivolto agli atleti degli sport di velocità e potenza ove è fondamentale, con resistenze modeste, imprimere la massima velocità di esecuzione (forza nell’unità di tempo). Si possono considerare quali esempi il pugilato, tutti i tipi di lanci nell’atletica, molte arti marziali, l’attività del battitore nel baseball ecc : in essi la resistenza cui opporsi è costituita da massa non elevata (attrezzi di peso ridotto o addirittura dalla resistenza dell’aria) e, tuttavia, la velocità da imprimervi contro è basilare.
    Per tali specialità, il lavoro principale nell’allenamento della forza prevede programmi con alto impiego del metodo di sforzi dinamici e lavoro assistenziale in parte svolto con metodo di sforzi massimali e ripetuti;

    - il metodo degli sforzi ripetuti: può essere considerato ideale per attività dove sia preponderante l’impiego della forza non massimale: forza resistente o resistenza di forza, forza generale di base; possono annoverarsi gli esempi delle varie forme di lotta (libera, greco-romana, pancrazio), degli strongman, degli atleti di sport di squadra come il rugby e il football americano ed australiano; costoro pur lavorando ampiamente con detto metodo, utilizzeranno saltuariamente anche quello degli sforzi massimali e dinamici;

    - il metodo degli sforzi massimali : è da ritenersi il più adatto per atleti che debbano appunto opporsi a resistenze massimali e che, pertanto, compiano il loro sforzo in un’unica alzata o movimento (in quanto l’1RM non consentirebbe repliche) e, con altrettanta evidenza, non possano imprimere una velocità apprezzabile al gesto stesso.
    E’ chiaro che si tratterà pur sempre della massima velocità occorrente e sostenibile nella fattispecie ma non avrà, tuttavia, caratteristiche preminenti rispetto alla componente della qualità muscolare di forza massimale. Rappresentanti tipici di questa peculiarità sono praticamente tutti i sollevatori olimpici e i powerlifters, che riserveranno al peak della loro preparazione l’esercizio della forza massimale (da allenare peraltro anche off season, in svariate forme) ed avranno come imprescindibile complemento ed assistenza l’allenamento con metodi di sforzi dinamici e quello su gli sforzi ripetuti.


    Occorre però fare un’importante distinguo. Quando si parla di allenamento con il metodo degli sforzi dinamici non dobbiamo confondere questi ultimi con la velocità in senso stretto; il metodo prevede l’allenamento esplosivo di un gesto che lo richiede in proporzione alle proprie caratteristiche specifiche; ne consegue che ogni esercizio agonistico improntato alle qualità di forza può richiedere esplosività e necessita pertanto di una preparazione adeguata ma l’importanza che essa avrà all’intermo di un’attività sportiva sarà differente da applicazione motoria ad applicazione e, quindi, occuperà un ruolo diverso caso per caso ed a seconda del momento topico della stagione.
    Similmente, il metodo di allenamento degli sforzi massimali indica un obiettivo da perseguire e non una sequenza di esercitazioni; non si tratta di prevedere e tentare più volte l’1RM ma di allenarsi con protocolli che mirino allo sviluppo di quella componente basilare, piuttosto che al raggiungimento di una performance ottimale di esclusiva esecuzione dinamica oppure rispetto all’attitudine a svolgere sforzi ripetuti sempre maggiori e protratti nel tempo.



    Storia sommaria ed esemplificazioni pratiche


    Il metodo degli sforzi massimali è diventato preponderante a partire dagli anni ’50. In precedenza i pesisti dedicavano la maggior parte della loro preparazione a sforzi ripetuti, ricalcando in questo l’allenamento dei primi bodybuilders.
    Successivamente, le periodizzazioni delle stagioni agonistiche ed i contenuti delle sessioni allenanti si sono sempre più diversificate e oggi gli atleti di qualificazione olimpica utilizzano in gran parte lavori di tipo sub massimale e tendente al massimale.
    Il sommo Zaciorskij riporta il contenuto di una seduta di allenamento del campione olimpico di Roma ’60, Kurinov, categ. medi, che già 50 anni fa utilizzava pionieristicamente tale metodologia.
    Strappo in piedi: 2x60 - 2x1x80kg.
    distensione: 1x2x100 – 1x1x100 – 1x120 – 2x1x130 – 1x120 – 1x130kg.
    girate: 2x1x130kg.
    tirate: 2x90kg.
    strappo in piedi: 1x90kg.
    strappo completo: 1x105 – 2x1x110 – 1x120 – 2x1x125kg.
    tirata con strappo: 2x130 – 2x2x140 – 2x150kg.
    distensione: 2x1x100 – 1x120 – 2x1x130kg.

    Da rilevare che le serie non superavano mai le 2 reps e, cionondimeno, non trattavasi di carichi al 100% bensì di carichi sub massimali, in grado di esser sollevati da 1 a 3 volte senza eccitazioni eccessive e totali del sistema nervoso.
    La differenza percentuale tra il carico valutabile come massimale per l’allenamento e l’effettiva miglior prestazione raggiungibile in assoluto è soggettiva e perciò varia da atleta ad atleta, con escursioni più ampie man mano che si prendono in considerazione le categorie ponderali maggiori.

    Alcuni protocolli di lavoro con il metodo degli sforzi massimali sono riscontrabili in varie sistematiche di allenamento nel powerlifting o in altre specialità di forza.
    Vi rientrano parzialmente alcuni lavori di tipo piramidale, altri con le “fasi” ed implicanti almeno un gruppo di alzate singole, il carico a onda di tipo 3/2/1; inoltre qualche applicazione particolare e specifica – che mi auguro di poter esaminare in seguito nel dettaglio – come l’Hepburn System, per la parte in cui si svolgono le 3-5 serie singole, che può essere ricompreso sia in detto metodo, sia parzialmente in quello degli sforzi ripetuti a carico costante (con il gruppo da 5x5), sia infine e complessivamente nel lavoro ripetuto a distribuzione di serie.
    Un classico mesociclo che viene programmato con il metodo degli sforzi massimali è quello di “peak” che trovasi spesso al termine di un macrociclo o che talvolta è previsto dopo consistenti lavori di accumulo (ad es. dopo lo Smolov) o ancora, più in generale, si effettua prima di un’importante competizione della stagione agonistica.
    Si potrebbe citare una miriade di esempi in proposito ma ripropongo una progressione trisettimanale tipica utilizzata tanto nel WL come nel PL con le opportune discrezionali varianti:

    1^ sett. –
    sess. a) 7x2/3x80%
    sess. b) 6x2x82,5%
    2^ sett. –
    sess. a) 5x1x85% e oltre
    sess. b) 4x1x87/90%
    3^ sett. –
    sess. a) 3x1x90% e oltre
    sess. b) 2x1x92/95%
    4^ sett. –
    sess. unica) scarico
    gara

    N.B.) alle alzate singole possono essere accompagnate alcune serie a modesta intensità per il mantenimento del volume raggiunto.



    Valutazioni e differenze


    Fondamentalmente, come nella maggioranza dei casi, “virtus in medio stat” e infatti il risultato più soddisfacente si ottiene con la sapiente mistura di più ingredienti tutti utili a diversi fini e sovente capaci, in sinergia, di produrre un risultato migliore rispetto alla stessa somma aritmetica degli addendi.
    Cosicché la combinazione omogenea dei metodi di allenamento di sforzi ripetuti, massimali e dinamici trova largo impiego nelle pianificazioni più moderne e conduce alla performance più elevata.
    E’ proprio il concetto che dapprima lo stesso Zaciorskij fino poi a Verchosanskij hanno sostenuto concependo il “metodo coniugato” - che pure mi riprometto di trattare - che già dal nome sottintende l’amalgama di tanti principi e che ha trovato proprio nel settore del Pl diverse applicazioni pratiche, tra cui il celebre “Westside”.
    Tornando però al tema odierno, restano molti punti pro e contro il metodo degli sforzi massimali, che lo inducono talvolta ad essere preferito, tal’altra scartato a vantaggio del più sicuro (ancorché monotono) metodo degli sforzi ripetuti; questo aspetto andrebbe vagliato anche in rapporto a chi siano i soggetti verso i quali entrambi i metodi siano eventualmente diretti e dedicati.

    Come già detto, il metodo degli sforzi massimali è stato negli ultimi decenni quello preferito da gli atleti di più elevato livello e qualificazione.
    Sul piano puramente energetico, nel campo delle discipline prestazionali di forza pura e potenza, è da evitare un lavoro volto al cedimento che intacchi la freschezza e l’integrità atletica e conduca all’esaurimento delle forze fisiche.
    L’attività riflesso condizionata si sviluppa meglio con sforzi brevi ed intensi, qualora questi non eccedano toccando i massimali reali nell’eccitazione del sistema nervoso.
    Inoltre per un atleta agonista è importante sollevare carichi alti senza dispersione di forze in un ambito di tempo ristretto (considerando pure i necessari ampi recuperi occorrenti) e l’elevato impegno delle odierne stagioni agonistiche nonché le esigenze sociali della vita esterna porterebbero l’atleta di picco, che può permetterselo per caratteristiche personali, curriculum, spessore tecnico ed esperienza a preferire una preparazione incentrata su serie ad alzate singole o comunque a ripetizioni limitate, per evitare che un volume di lavoro, che abbia già valicato livelli limite negli anni pregressi, rischi di divenire insostenibile nel tentativo di determinare ulteriori miglioramenti.

    D’altro canto, il metodo degli sforzi ripetuti presenta altrettanti numerosi e indubitabili vantaggi da non sottovalutare e, semmai, da integrare opportunamente.
    Il lavoro di volume produce e mantiene effetti positivi sul metabolismo, quindi sui processi trofici e sugli incrementi plastici; diventa allora importante per un lavoro ipertrofico basale su cui operare i successivi transfert di forza; con esso si riduce la tetanizzazione e dunque l’assuefazione a certi stimoli massimali localizzati, che possono indurre ad una stagnazione dei risultati.
    In poche parole, l’atleta di livello è, in tale frangente, come un cane che si morde la coda: necessita di ripetere sempre più uno schema motorio ed una certa intensità per abituarsi ad essi e a non perdere il feeling con il gesto di gara ma, paradossalmente, ripetendolo soltanto e pedissequamente si stalla nel livello già conseguito.
    Si può aggiungere che gli esercizi di tipo massimale non agevolano il controllo dell’attrezzo e la padronanza tecnica dell’esecuzione e neppure la coordinazione dei movimenti.
    Il rischio di infortuni con carichi ingenti e prossimi al proprio limite è naturalmente più alto.
    Infine, in atleti di livello non apicale la percezione dell’eccellenza prestativa non risulta evidente come in quelli di maggior qualificazione, mentre l’allenamento con sforzi ripetuti ha un approccio più semplice per tutti e anche in condizioni logistiche eventualmente disagiate.


    L’importanza di tutti questi rilievi, la necessità di una linea programmatica che tenga conto, in chiave agonistica, di tutte le componenti in proporzione alle percentuali di rischio e agli elementi negativi insiti in esse nonché alle risultanti effettive delle componenti stesse, ha indotto la maggioranza dei tecnici a pianificare protocolli di lavoro che pongano sulla bilancia tutte le analisi sopra espresse e prevedano, in successione e in simultanea, l’effettuazione di lavori incentrati su più di una metodologia – sia pur in misura e frequenza diversa a seconda delle scuole di pensiero – per avvalersi dei relativi vantaggi pratici, stemperando o limitando le inevitabili controindicazioni comunque contenute.
    Ultima modifica di Tonymusante; 03-06-2011 alle 05:31 PM

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