Molto tempo fa lessi nella Sala della Meditazione un articolo di Focus o de Le Scienze sul successo delle medicine alternative. Questo era dovuto al fatto che il medico “alternativo” ha un rapporto molto più profondo con il paziente. In altre parole, lo… ascolta.
Il classico dottore, quello della mutua ma anche proprio il “luminare” crea la sua anamnesi del paziente tramite mezzi strumentali o test clinici e ha perso, progressivamente, la capacità di ascolto, cosa che ad esempio l’omeopata ha. Molte volte si arriva a livelli paradossali in cui il dottore ti dice quello che hai e se tu fai notare che ciò che viene detto è in contraddizione con il proprio stato e che il causa-effetto torna poco… si altera. Addirittura ci sono dottori che sbuffano quando il paziente ritorna dicendo che la cura non ha funzionato, come se la malattia stessa volesse mettere in discussione il suo sapere.
Il problema è molto semplice: è impossibile stilare una diagnosi se non si ascolta che ***** ha da dire il diretto interessato.
Ho frequentato e conosciuto in profondità molti ambienti sportivi differenti. Con mia sorpresa il profilo psicologico di colui che “fa i pesi in palestra” è estremamente recettivo ai cambiamenti, tendenzialmente è disposto a mettere in discussione molte delle sue certezze pur di ottenere il risultato voluto.
Questa caratteristica latita invece in tantissimi contesti competitivi che basano teoria e pratica dell’allenamento sulla “tradizione” e sul “si è fatto sempre così”, refrattari al cambiamento a meno che non venga dall’interno o da fonti sicure. Sperimentazione, intuizione, voglia di andare fuori dagli schemi sono qualità rare. Banalmente, allenatori che si attengono a quanto detto nei Sacri Testi di 30 anni fa, sicuramente ottimi, senza dare nemmeno due click scaci scaci a Google per vedere che si dice in giro…
Potremmo discutere per ore del perché e addirittura se è come dico io o come dite voi. Offritemi un drink e sarò lieto di incontrarvi in qualsiasi bar dove potremo anche parlare di temi ben più profondi quali “la violenza negli stadi” o “è possibile l’amicizia fra uomo e donna”
Il palestrato-che-vuol-capire è perciò propenso ai cambiamenti e mai come nel mondo del “fitness” c’è un proliferare di metodi e tecniche. Peccato per un piccolissimo particolare che rende questa propensione estremamente selettiva: gli input che arrivano al suo cervello sono filtrati da un semplicissimo programmino, due sputi di codice assembler che però girano a priorità altissima cablati a fuoco direttamente nel kernel del sistema.
Ecco il flow chart di questo programma che non si termina nemmeno prendendo a martellate l’hard disk o sparando nella CPU con una Desert Eagle: non ci sono cazzi, se il palestrato ha deciso che “non serve per la massa” non spenderà nemmeno due microsecondi del suo tempo, nemmeno se ne andasse della vita di un parente.
In questo pezzo descriverò le conseguenze pratiche del Segreto dell’Acciaio. Serve per la massa? Non lo so e manco mi frega perché se ragionate così la vostra conoscenza non evolverà di un millimetro e rimarrete ancorati ai soliti tre o quattro ragionamenti, un po’ come quelli che hanno letto Tecnica d’allenamento con i pesi di Stuart McRobert e per loro questo è il testo omnicomprensivo del Sapere Biomeccanico Universale.
Sono interessato, perciò ascolto
In tutti i testi di apprendimento, motorio o meno, un punto cruciale è la motivazione, il voler capire, comprendere, applicarsi. Perché voi possiate imparare qualcosa dovete volerlo. Non solo: dovete essere curiosi di provare, di mettervi in gioco.
Si sentono tanti discorsi sulla “testa” e le “palle”, sulla mentalità vincente bla bla bla. Bene: in questo caso ciò che serve non è l’atto eroico a fine partita, ma proprio il volersi interessare nello spogliatoio della strategia della gara.
Tutto questo aumenta la recettività della vostra mente. Non occorre essere dei geni per capire che una persona demotivata o svogliata manco ascolterà quello che dite, ma se non ascolta… cosa va a finire in quella testaccia?
Cosa processa quel cervello se le informazioni in ingresso non ci sono?
Il problema è però più sottile. Se manca la voglia di mettersi in gioco, la curiosità, tutte le informazioni saranno filtrate per determinare dove siano in difetto, dove vadano in contraddizione con il vissuto personale come se questo contrasto fosse un attacco alle proprie sicurezze. L’informazione sarà distorta e l’apprendimento fallirà. Non solo è necessario ascoltare, ma anche ascoltare senza giudicare se non alla fine.
Per questo motivo, prego i seguenti soggetti di evitare di leggere:
Perciò, respirone… fatto? Ok, leggete e magari qualcosa vi servirà. Forse, “per la massa”. Di sicuro, “per la forza”.
- Quelli che vivono l’allenamento come una battaglia personale contro tutti quelli che non si allenano come loro. Cercheranno solo le differenze con le proprie idee, amplificandole negativamente e non vedendo invece le similitudini. Perdono così l’occasione di integrare le differenze a partire dalle uguaglianze, arricchendo il loro personale bagaglio. Si arroccheranno sulle loro posizioni difendendo l’indifendibile.
- Quelli che vogliono solo risultati pratici, immediati, spendibili. Quelli che hanno fretta di ottenere qualcosa. Parcellizzeranno tutto il testo in una serie di caselline etichettate “questo mi serve”, “questo non mi serve” come una specie di elenco di dritte. Così facendo si concentreranno sul particolare perdendo di vista la visione generale e la “dritta n°5” (o il “tip #5” se volete) andrà irrimediabilmente in contraddizione con la “dritta n° 64”.
- Quelli che leggono e pensano “questo lo so già”, un mio difetto tipico. In ogni testo, specialmente in quelli che scrivo io, è difficile trovare delle grandi novità. Su 100 nozioni solo 2 saranno veramente “nuove”. Però filtrare le informazioni con “questo lo so già” significa che quando le due novità passeranno sotto gli occhi non verranno viste, garantito. Il meccanismo è una forma di pregiudizio, pre-giudizio: giudicare prima. Prima di conoscere veramente la fine ho già dato la mia opinione, ma… la fine non la conosco.
- Saccenti, strafottenti, boriosi, presuntuosi, gente che non è capace a dire “ok, scusa ho sbagliato”. Non perché non apprenderebbero ma semplicemente perché mi stanno sui coglioni i tipi così. “Scusarsi” è una forma di “forza” d’animo, non di “debolezza”: è più difficile ammettere i propri errori che evidenziare quelli degli altri. Chi non si scusa mai è per me, fondamentalmente, un insicuro.
Motor learning
E’ possibile affrontare l’argomento “apprendimento motorio” in due modi: induttivo partendo dal basso, dagli effetti, e risalendo verso le cause, deduttivo partendo dall’alto, dalle cause, e scendendo verso il basso verso gli effetti.
Sebbene ami la prima strada perché evidenzi meglio il percorso di conoscenza, ho stavolta preferito la seconda: vi ho triturato i testicoli con tutta la pizza su come il cervello memorizza le informazioni, adesso è del tutto banale liquidare l’apprendimento motorio, garantito.
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