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Discussione: Il segreto dell'acciaio

  1. #16
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    Predefinito Serve per la massa?

    Molto tempo fa lessi nella Sala della Meditazione un articolo di Focus o de Le Scienze sul successo delle medicine alternative. Questo era dovuto al fatto che il medico “alternativo” ha un rapporto molto più profondo con il paziente. In altre parole, lo… ascolta.

    Il classico dottore, quello della mutua ma anche proprio il “luminare” crea la sua anamnesi del paziente tramite mezzi strumentali o test clinici e ha perso, progressivamente, la capacità di ascolto, cosa che ad esempio l’omeopata ha. Molte volte si arriva a livelli paradossali in cui il dottore ti dice quello che hai e se tu fai notare che ciò che viene detto è in contraddizione con il proprio stato e che il causa-effetto torna poco… si altera. Addirittura ci sono dottori che sbuffano quando il paziente ritorna dicendo che la cura non ha funzionato, come se la malattia stessa volesse mettere in discussione il suo sapere.

    Il problema è molto semplice: è impossibile stilare una diagnosi se non si ascolta che ***** ha da dire il diretto interessato.

    Ho frequentato e conosciuto in profondità molti ambienti sportivi differenti. Con mia sorpresa il profilo psicologico di colui che “fa i pesi in palestra” è estremamente recettivo ai cambiamenti, tendenzialmente è disposto a mettere in discussione molte delle sue certezze pur di ottenere il risultato voluto.

    Questa caratteristica latita invece in tantissimi contesti competitivi che basano teoria e pratica dell’allenamento sulla “tradizione” e sul “si è fatto sempre così”, refrattari al cambiamento a meno che non venga dall’interno o da fonti sicure. Sperimentazione, intuizione, voglia di andare fuori dagli schemi sono qualità rare. Banalmente, allenatori che si attengono a quanto detto nei Sacri Testi di 30 anni fa, sicuramente ottimi, senza dare nemmeno due click scaci scaci a Google per vedere che si dice in giro…

    Potremmo discutere per ore del perché e addirittura se è come dico io o come dite voi. Offritemi un drink e sarò lieto di incontrarvi in qualsiasi bar dove potremo anche parlare di temi ben più profondi quali “la violenza negli stadi” o “è possibile l’amicizia fra uomo e donna”

    Il palestrato-che-vuol-capire è perciò propenso ai cambiamenti e mai come nel mondo del “fitness” c’è un proliferare di metodi e tecniche. Peccato per un piccolissimo particolare che rende questa propensione estremamente selettiva: gli input che arrivano al suo cervello sono filtrati da un semplicissimo programmino, due sputi di codice assembler che però girano a priorità altissima cablati a fuoco direttamente nel kernel del sistema.


    Ecco il flow chart di questo programma che non si termina nemmeno prendendo a martellate l’hard disk o sparando nella CPU con una Desert Eagle: non ci sono cazzi, se il palestrato ha deciso che “non serve per la massa” non spenderà nemmeno due microsecondi del suo tempo, nemmeno se ne andasse della vita di un parente.

    In questo pezzo descriverò le conseguenze pratiche del Segreto dell’Acciaio. Serve per la massa? Non lo so e manco mi frega perché se ragionate così la vostra conoscenza non evolverà di un millimetro e rimarrete ancorati ai soliti tre o quattro ragionamenti, un po’ come quelli che hanno letto Tecnica d’allenamento con i pesi di Stuart McRobert e per loro questo è il testo omnicomprensivo del Sapere Biomeccanico Universale.

    Sono interessato, perciò ascolto


    In tutti i testi di apprendimento, motorio o meno, un punto cruciale è la motivazione, il voler capire, comprendere, applicarsi. Perché voi possiate imparare qualcosa dovete volerlo. Non solo: dovete essere curiosi di provare, di mettervi in gioco.

    Si sentono tanti discorsi sulla “testa” e le “palle”, sulla mentalità vincente bla bla bla. Bene: in questo caso ciò che serve non è l’atto eroico a fine partita, ma proprio il volersi interessare nello spogliatoio della strategia della gara.

    Tutto questo aumenta la recettività della vostra mente. Non occorre essere dei geni per capire che una persona demotivata o svogliata manco ascolterà quello che dite, ma se non ascolta… cosa va a finire in quella testaccia?

    Cosa processa quel cervello se le informazioni in ingresso non ci sono?
    Il problema è però più sottile. Se manca la voglia di mettersi in gioco, la curiosità, tutte le informazioni saranno filtrate per determinare dove siano in difetto, dove vadano in contraddizione con il vissuto personale come se questo contrasto fosse un attacco alle proprie sicurezze. L’informazione sarà distorta e l’apprendimento fallirà. Non solo è necessario ascoltare, ma anche ascoltare senza giudicare se non alla fine.

    Per questo motivo, prego i seguenti soggetti di evitare di leggere:
    • Quelli che vivono l’allenamento come una battaglia personale contro tutti quelli che non si allenano come loro. Cercheranno solo le differenze con le proprie idee, amplificandole negativamente e non vedendo invece le similitudini. Perdono così l’occasione di integrare le differenze a partire dalle uguaglianze, arricchendo il loro personale bagaglio. Si arroccheranno sulle loro posizioni difendendo l’indifendibile.
    • Quelli che vogliono solo risultati pratici, immediati, spendibili. Quelli che hanno fretta di ottenere qualcosa. Parcellizzeranno tutto il testo in una serie di caselline etichettate “questo mi serve”, “questo non mi serve” come una specie di elenco di dritte. Così facendo si concentreranno sul particolare perdendo di vista la visione generale e la “dritta n°5” (o il “tip #5” se volete) andrà irrimediabilmente in contraddizione con la “dritta n° 64”.
    • Quelli che leggono e pensano “questo lo so già”, un mio difetto tipico. In ogni testo, specialmente in quelli che scrivo io, è difficile trovare delle grandi novità. Su 100 nozioni solo 2 saranno veramente “nuove”. Però filtrare le informazioni con “questo lo so già” significa che quando le due novità passeranno sotto gli occhi non verranno viste, garantito. Il meccanismo è una forma di pregiudizio, pre-giudizio: giudicare prima. Prima di conoscere veramente la fine ho già dato la mia opinione, ma… la fine non la conosco.
    • Saccenti, strafottenti, boriosi, presuntuosi, gente che non è capace a dire “ok, scusa ho sbagliato”. Non perché non apprenderebbero ma semplicemente perché mi stanno sui coglioni i tipi così. “Scusarsi” è una forma di “forza” d’animo, non di “debolezza”: è più difficile ammettere i propri errori che evidenziare quelli degli altri. Chi non si scusa mai è per me, fondamentalmente, un insicuro.
    Perciò, respirone… fatto? Ok, leggete e magari qualcosa vi servirà. Forse, “per la massa”. Di sicuro, “per la forza”.

    Motor learning

    E’ possibile affrontare l’argomento “apprendimento motorio” in due modi: induttivo partendo dal basso, dagli effetti, e risalendo verso le cause, deduttivo partendo dall’alto, dalle cause, e scendendo verso il basso verso gli effetti.

    Sebbene ami la prima strada perché evidenzi meglio il percorso di conoscenza, ho stavolta preferito la seconda: vi ho triturato i testicoli con tutta la pizza su come il cervello memorizza le informazioni, adesso è del tutto banale liquidare l’apprendimento motorio, garantito.

  2. #17
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    Richiamiamo il Segreto dell’Acciaio ™©® (l’uso non autorizzato del marchio comporta la fucilazione sul posto dopo dolorose torture fisiche): il cervello è allenabile, cioè le esperienze lo cambiano. La memoria è la formazione nel cervello di “tracce neurali”, connessioni fra neuroni e alterazione della chimica di queste connessioni: il cervello è plastico e si adatta all’ambiente per sopravvivere.

    Vi presento uno schema molto famoso quando si parla di apprendimento motorio o motor learning.


    Lo schema rappresenta l’esecuzione di un movimento complesso. Sembra difficile, per questo ho messo un sacco di disegnini, come si fa con i bambini piccoli o con i giapponesi per intessarli all’argomento (alla fine anche uno zuccherino, come ai cavalli). Immaginate di stare eseguendo uno squat e mettete un dito sulla casella programma motorio:
    • Dovrebbe essere abbastanza intuitivo che il movimento del vostro corpo è gestito da una specie di “programma”, nel senso che il gesto complessivo è la somma coordinata di tanti piccoli gesti: i glutei indietro, la schiena contratta e così via. Di sicuro non alzerete la gamba destra o a metà discesa toglierete le mani dal bilanciere: esiste una “regia”, che è direttamente nella nostra testa.
    • Il programma impartisce le proprie direttive inviando “ordini” attraverso il midollo spinale (muovete il dito più in basso, non addormentatevi perché non lo dirò più, fate finta di giocare al Gioco dell’Oca). Vi è una semplificazione nel senso che il programma “gira” anche nel midollo spinale, ma per ciò che ci riguarda va bene così.
    • Gli ordini arrivano ai muscoli e il movimento inizia, interagendo con l’ambiente. In questo caso il bilanciere che scende.
    Notate come il fatto di compiere un gesto sotto l’azione di ordini motori comporti l’attivazione di tutta una serie di sensori che forniscono informazioni:
    • L’ambiente attiverà una risposta uditiva o visiva, tramite i nostri sensi. Nel nostro caso, vedere che ci stiamo abbassando e che le barre del rack scorrono ai lati della nostra visuale.
    • Il movimento stesso fornirà indicazioni sulla posizione spaziale delle nostre singole parti corporee.
    • I muscoli, i tendini e le articolazioni segnaleranno il loro stato di tensione interna tramite i propriocettori quali gli organi del Golgi o i fusi neuromuscolari.
    Queste informazioni sono dette di ritorno perché proprio tornano indietro tramite le terminazioni motorie sensive risalendo la spina dorsale per entrare nel cervello: tornare indietro, feedback.

    L’intero set informativo costituisce ciò che si chiama “cosa è stato fatto” (non lo trovate sui libri, è una mia idea…) ed un ingresso del sommatore rosso con il “+” dentro. Il sommatore confronta cosa “è stato fatto” con “cosa andava fatto” per generare l’ordine successivo, il “cosa deve essere fatto” necessario per la scelta del successivo programma motorio e… il ciclo riprende.

    Il disegno costituisce un cerchio perché tornate al punto iniziale con un nuovo comando: cerchio, loop. Il movimento è a catena chiusa o closed loop.

    Tutti i movimenti che eseguiamo in palestea sono a catena chiusa perché vi è un continuo controllo della traiettoria essendo svolti lentamente a causa del carico elevato. La caratteristica fondamentale di un movimento a catena chiusa è il fatto che l’effetto influenza la causa, permettendo di riprendere eventuali situazioni anomale e di correggere se possibile le traiettorie.

    I movimenti balistici sono invece a catena aperta: la velocità elevata impedisce il controllo della traiettoria con il ritorno delle informazioni e infatti ciò che conta in questo tipo di movimenti è settare bene le condizioni iniziali per poi eseguire il tutto più velocemente possibile, partendo dal presupposto che se “parto bene” il risultato non può che essere ciò che voglio.

    I movimenti a catena chiusa o a catena aperta caratterizzano anche i vari stadi dell’apprendimento. Quando imparate un movimento nuovo state attenti a ciò che fate, cioè controllate che gli ordini del vostro cervello determinino l’effetto che cercate, proprio secondo lo schema descritto. Quando invece il movimento è stato assimilato lo eseguite con minor attenzione alle informazioni di ritorno, in automatico.

    Ora, secondo me questo tipo di distinzione è un errore didattico perché induce il lettore in un pericoloso errore: se riesco a fare uno squat pensando a finire la serie piuttosto che alle singole ripetizioni il movimento è comunque closed loop poiché il controllo dello “stato” dell’atleta avviene lo stesso dato che i sensori sono sempre attivi e forniscono informazioni.

    Solamente movimenti estremamente veloci, più veloci del tempo di risposta dei sensori e di attuazione degli ordini, possono essere considerati veramente open loop, ma sono molto meno di quanto si possa pensare.
    Amici martellisti mi raccontavano che durante un lancio riuscivano a percepire la correttezza dell’assetto per poterlo in qualche maniera correggere prima che il martello schizzasse via. Tentavano di correggere un errore in partenza: quando atleta e martello girano quest’ultimo deve sempre “stare dietro” l’atleta perché ciò significa che è l’atleta che comanda e non la palla di ferro.

    Analogamente i saltatori in alto, con l’asta, triplisti e saltatori in lungo capiscono benissimo se l’istante della spinta a terra è “good” or “bad” e adattano la traiettoria in aria per quanto possibile.

    Non fatevi fregare, i movimenti closed loop, a feedback o retroazionati sono quanto di più potente esista in Natura. La Natura stessa è closed loop, perché l’effetto di una causa è causa di un nuovo effetto…

    Un programma motorio

    A questo punto nella classica trattazione dell’apprendimento motorio inizierebbe una lunga trattazione su cosa sia un programma motorio, mentre noi liquidiamo questo in 30 secondi.


    Un programma motorio è l’attivazione di una serie di tracce neurali, di percorsi dentro la corteccia cerebrale e il midollo spinale dovuti ai sensori esterni che permette l’invio degli ordini agli organi motori. Fine. Punto.
    Come si crea un programma motorio? Ripetendo il movimento tante volte quanto è necessario perché si formino nuove connessioni che permettano di organizzare al meglio ciò che è richiesto. Anche qui, fine, punto.

    Spero di riuscire a comunicare questo messaggio: allenare un movimento è alterare il proprio Sistema Nervoso come avviene in un qualsiasi fenomeno di apprendimento. In questo caso l’alterazione è dentro la corteccia motoria e l’allenamento diventa un caso particolare di apprendimento.

    Practice makes you perfect?


    Tutti conosciamo il detto “la pratica rende perfetti”: la pergamena virtuale ne è la rappresentazione ingegneristica con le forme per i bambini piccoli. Il programma neurale si crea ripetendo il movimento e confrontandolo con un movimento di riferimento, fino a che “non viene bene”.

    Si può notare come l’apprendimento stesso sia un processo closed loop di continuo confronto fra ciò che è stato fatto e ciò che si sarebbe dovuto fare. Molti temono gli “errori” cioè il non eseguire un movimento in maniera corretta, ma in realtà gli “errori” sono un fenomeno inevitabile: l’”errore” è semplicemente una differenza con il riferimento preso, ed è necessario per avvicinarsi a questo!

    Se non esistessero queste differenze sarebbe impossibile apprendere, perciò è possibile affermare che gli errori siano necessari o, estremizzando, che non esistono errori ma solo opportunità di miglioramento!

    Problemi

    Per quanto lo schema esemplifichi ciò che tutti facciamo, nasconde al suo interno una serie di subdole finezze che sono la causa del mancato raggiungimento della “perfezione”.

    Un primo problema è che, ovviamente a mio avviso, le implicazioni dei concetti descritti non vengono spiegate correttamente allo studente, impedendogli di comprendere veramente la portata delle problematiche.


    Nei vari studi sull’apprendimento motorio troviamo spesso questi tipi di grafico. A sinistra le “curve di apprendimento”. E’ relativamente facile quantificare l’apprendimento di uno schema motorio ad esempio contanto il numero di “gesti” eseguiti correttamente sul totale dei gesti: più questo numero aumenta, più si è appreso bene il movimento.

    La curva B è tipica dell’apprendimento di movimenti complessi: all’inizio i gesti sono “scorretti” perché si devono proprio apprendere le basi, poi tutti noi abbiamo sperimentato una impennata di miglioramenti con una successiva decrescita. Ciò avviene perché superata la primissima fase in cui è necessario apprendere la coordinazione di base, quando si è formata una prima traccia motoria ogni successiva ripetizione porterà a rinforzarla sempre di più, fino a che non si sarà stabilizzata nella nostra corteccia. A quel punto il movimento è appreso e non ci sono più differenze esecutive.

    A destra un altro classico grafico che mostra ciò che tutti sappiamo: i miglioramenti iniziali sono dovuti a potenziamenti neurali, quelli successivi a potenziamenti ipertrofici. Come si suol dire, la massa viene dopo la forza.
    Il problema di queste rappresentazioni è che forniscono un modello semplice da ricordare ma… sbagliato perché parziale. Sembra, cioè, che il processo sia continuo ed uniforme, una bella S et voilà, si impara e poi… poi o massa o si è raggiunto il proprio limite. Sull’asse del tempo che unità di misura c’è? Secondi o eoni?

  3. #18
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    Superata la fase iniziale in cui in qualsiasi movimento siamo al livello “bradipo brocco” in palestra iniziano i miglioramenti dovuti proprio alla pratica dei movimenti.

    Questi, spiace dirlo per coloro che pensano che facendo due cagate di squat o di panca di essere dei veri guerrieri, sono molto semplici rispetto ai gesti della ginnastica, del balletto o delle arti marziali dove risulta evidente a tutti che serva molto tempo per raggiungere un livello di decenza minimo.

    Non solo: essendo la palestra una attività non codificata in cui la mediocrità imperversa senza freno, arrivati ai primi 100Kg di panca storta si pensa di essere sulla cima della S, quando invece siamo del tutto dall’altra parte, come illustrato nel grafico qua sopra a sinistra dove ho sostituito l’apprendimento con la forza: se la nostra forza aumenta, infatti, abbiamo appreso come utilizzare meglio il nostro corpo per quello che ci interessa.

    Non solo: può capitare che ristagnamo per anni sempre agli stessi livelli poi… bang, cambiamo qualcosa come a destra e la nostra forza migliora. Ciò significa che l’apprendimento motorio era ben lontano dall’essere concluso!


    Chiaramente io non ho dati statistici alla mano, posso solo portare la mia esperienza che però trova spiegazione all’interno di questo modello:
    • A sinistra l’andamento del mio massimale di stacco solo cintura negli anni: dopo un picco terrificante una lunghissima stasi, poi il bang!
    • Se il miglioramento è stato importante sul massimale, è sul volume di lavoro, cioè sul carico di allenamento che il salto è ancora più impressionante, come mostrato a destra: nel 2008 sono riuscito ad usare il carico massimale del 1993 per ben 10 volte di fila nell’arco di mezz’ora, un miglioramento del 1000%
    Perché questo comportamento? Torniamo alla pratica che rende perfetti: per ottenere un miglioramento è necessario che siano a puntino i contenuti di tutte le caselle.

    Per prima cosa, è necessario avere ben chiara quale sia la tecnica ideale: se non voi, il vostro allenatore ma qualcuno deve capire quali siano i principi biomeccanici del movimento. Se così non è tutti noi ci limiteremo a “la schiena nello stacco deve stare dritta” senza capire che è invece necessario tenere compattati i dischi vertebrali contraendo tutti i muscoli paravertebrali.

    Conoscere la tecnica corretta è una competenza che si acquisisce solo se si è a contatto di persone competenti nell’ambiente, solo se si vuole andare oltre il normale bagaglio di conoscenze. Non voglio che pensiate che io mi ritenga competente, però vi posso dare alcune dritte che permettono di far capire se l’interlocutore con cui guardate un video o un atleta è competente , anche se voi siete assolutamente digiuni della materia:
    • Deve essere in grado di farvi capire la logica del movimento in maniera chiara fornendovi informazioni superiori alla semplice banalità.
    • Deve essere in grado di farvi notare particolari che voi non avete notato.
    • Non solo, dopo dovete essere in grado di percepirli autonomamente in tutti i seguenti movimenti: ciò significa che vi hanno descritto degli aspetti del movimento che effettivamente si ripetono.
    • Deve essere in grado di evidenziare i possibili errori spiegandovi il perché essi accadono e come evitarli. La spiegazione deve seguire un filo logico, nel senso che osservando una serie di movimenti di persone diverse deve essere possibile evidenziare i pregi e i difetti di ogni esecuzione.
    Che sia motocross, pesca subacquea, sollevamento olimpico o freeclimbing “uno che le cose le sa” riesce a spiegarvi con semplicità perché e come certe cose succedono senza annodarsi.

    L’analisi delle differenze fra ciò che fate voi e la tecnica ideale è direttamente collegata alla conoscenza della tecnica ideale stessa: la conoscenza della tecnica ideale è una condizione necessaria per riuscire a capire in cosa la personale tecnica si discosta.

    Non è però sufficiente. Ciò che manca è qualcosa di banale, così banale che mi vergogno a scriverlo: è indispensabile riguardarsi. Noi lifters domenicali non abbiamo mai un allenatore, siamo allenatori di noi stessi. Come capire ciò che stiamo facendo se non ci riguardiamo?

    Il motivo fondamentale per cui io sono migliorato è stato il calo del prezzo delle videocamere MiniDV: la prima volta che vidi un mio stacco… rabbrividii!
    Oggi con le webcam a basso costo e la possibilità di fare video con cellulari da 3 euro è possibile per tutti mettere in pratica lo schema in maniera corretta. Il problema è che tutti guardano e commentano i video degli altri e mai i propri.

    Perfect practice makes you perfect!

    Il punto è che solo così è possibile modificare ciò che si discosta dalla tecnica ideale e… migliorare.

    Perciò, non è un problema di volume di allenamento né è vero che la pratica rende perfetti: è la pratica perfetta che rende perfetti!
    Dovete ficcarvi questo in testa: l’esecuzione ripetitiva di un movimento porta alla creazione di uno schema nel vostro cervello. Questo accadrà comunque. Se voi imparate un movimento di *****, la traccia neurale permetterà solo la ripetizione di un nuovo movimento di *****, anzi, lo consoliderà sempre di più tanto che per voi quello sarà il movimento corretto.

    Più voi pensate che state facendo bene, meno sarete propensi a mettervi in gioco, più difficile sarà distruggere lo schema mentale preesistente per costruirne uno nuovo: se ritornate indietro al processo di memorizzazione, il vostro cervello confronta una esecuzione con quella che ha assimilato.

    Se lo schema è sbagliato è necessario resettarlo del tutto, distruggerlo per ricrearlo. Per far questo esisterà un periodo transitorio in cui per forza di cose “peggiorerete” perché state facendo svanire la vecchia traccia ma quella nuova non è ancora pronta: a tutti scoccia peggiorare, perciò questo processo non lo attua quasi mai nessuno, attribuendo alla genetica o a problemi posturali ciò che invece è la creazione di una traccia sbagliata nella propria testa.

    Questo è ciò che è successo a me ma poiché sono un essere umano basato sul carbonio come tutti voi, questa è di sicuro la spiegazione più convincente per i fallimenti di tutti gli altri.

    Dual Factor Theory… again!


    La Dual Factor Theory è l’evoluzione della Supercompensazione. Sono convinto che fra qualche anno qualcuno la spaccerà per una incredibile novità tirando fuori forme di allenamento assurde.

    A seguito di un allenamento il livello di preparazione ha prima una decrescita per poi risalire oltre il livello iniziale. E’ un modello macroscopico che cerca, come per la Supercompensazione, di dare una spiegazione agli effetti dell’allenamento.

    La particolarità di questa teoria è che l’effetto dell’allenamento non è monolitico come per la Supercompensazione (mi stanco, “compenso”, “supercompenso” per poter resistere ad uno stimolo ulteriore) ma suddiviso in due componenti: fitness, la componente di miglioramento, fatigue, la componente di fatica.

    La teoria stabilisce perciò che il miglioramento c’è sempre, solamente è coperto dalla fatica. Per ottenere una prestazione è necessario dissipare la fatica per dar modo al miglioramento di manifestarsi.

    Una teoria del genere è, passatemi il termine, neurofisiologicamente molto più plausibile della Supercompensazione: l’effetto dell’allenamento è una variazione della configurazione del Sistema Nervoso che avviene sempre. Se l’allenamento permette il perfezionamento del gesto tecnico (tecnica ideale, analisi delle differenze bla bla bla) il Sistema Nervoso varierà “migliorando”.
    Pertanto, a seguito di ogni allenamento il miglioramento è sempre presente!

    La Supercompensazione invece non riesce ad inquadrarsi in questo contesto: essendo monolitica a seguito di un allenamento c’è solo un peggioramento ma questo cosa implica? Che il mio Sistema Nervoso peggiora?

    Chiaramente l’allenamento comporta il drenaggio delle risorse organiche: accumulo di scorie metaboliche, microlesioni, sbilanciamenti elettrolitici e tutto quello che macroscopicamente si chiama fatica.

    Perciò l’allenamento è di fatto un equilibrio: il massimo stimolo che l’organismo può tollerare. Pertanto, per migliorare devo allenarmi quanto più frequentemente e intensamente possibile per cablarmi in testa gli schemi motori che mi servono ma compatibilmente con le disponibilità delle mie risorse organiche.

    Sovra-allenarsi significa andare in riserva con tutte le conseguenze del caso non ottenendo od ottenendo meno delle aspettative, sotto-allenarsi significa non fornire lo stimolo corretto, anche in questo caso non ottenendo o ottenendo meno.

    Il talento è sopravvalutato

    “Si ma lui è geneticamente portato”, “si ma io sono un ectomorfo”, “si ma la forza è per il 70% genetica”. Mi sono imbattuto in uno studio molto interessante: “The Role of Deliberate Practice in the Acquisition of Expert Performance”, un mattone di 44 pagine anche un po’ classista.

    In sintesi, emerge da questo studio che in quasi tutti i campi ciò che al “pubblico” sembra essere talento in realtà è la manifestazione di anni ed anni di pratica secondo quelli che sono i canoni che ho descritto. Il livello di performance dei violinisti d’elite (non i primi 10 al mondo, ma i primi 10 delle più importanti scuole) è oramai tale che Paganini sarebbe fuori da qualsiasi selezione e così negli scacchi o nel balletto. Se ci pensiamo, è così in qualunque sport.

    E’ vero, il talento è fondamentale. Ma oramai ad ogni livello le competizioni non vengono più vinte da emeriti sconosciuti: il top è raggiunto da talenti che si allenano proprio ricercando la perfezione in ogni aspetto del loro gesto atletico e la genetica ha a quei livelli un ruolo marginale dato che è una costante per tutti (come il doping, perciò toglietevi quel risolino idiota dalla bocca…)

    In palestra la genetica è sopravvalutata perché il livello di apprendimento motorio è scarsissimo e i risultati prestativi considerati come di rilievo sono invece mediocri se confrontati con le giuste scale di riferimento.
    La massa è dettata dalla genetica, la forza molto meno. Infatti la forza migliora tantissimo mentre la massa molto meno.

    Però perché la forza migliori è necessario purgare via dalla propria testa strati e strati di guano neurale, incrostato da anni ed anni di pratica sbagliata e di nozioni errate.

  4. #19
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    ...dio laì..sti doppi posteee....
    Ultima modifica di Dargor; 11-02-2010 alle 10:50 PM
    Il quadro però di solito è simile a questo:
    - tiro alla morte, riposo 7 giorni (per muscolo) - rialleno lo stesso muscolo ritirando alla morte, riposo 7 giorni ma arranco
    - rialleno lo stesso muscolo ritirando alla morte, riposo 8 giorni - rialleno lo stesso muscolo ritirando alla morte e togliendo alcune serie - scarico perchè mi sento uno straccio. - ritiro alla morte, riposo 8 gg ma arranco peggio di prima - rialleno lo stesso muscolo ritirando alla morte, riposo 9 gg e tolgo altre serie...ma sto sempre peggio. Ragazzi, sono in sovrallenamento. Sbagliato! Lo chiamerei "overreaching da sottoallenamento"...BII

  5. #20
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    Proprio in questi giorni mi stavo chiedendo, da neofita, "è più facile crescere di forza o di massa?" e andavo convincendomi sempre più della prima, ma non ne capivo il motivo. Intuivo che "era più facile" xkè associavo (e associo) la forza ad un concetto mentale mentre la massa ad altri fattori. Ripensando al principio che governa ogni organismo, cioè il risparmio energetico, ero sempre più propenso verso la forza. E' più facile crescere di forza xkè la biologia è favorevole.

    Nella massa ci sono gli ormoni catabolici che "cancellano" i muscoli (il risultato dell'elaborazione). Nel cervello cosa c'è? Beh non me lo ricordo, e sono anche andato in cantina a cercare una vecchia rivista di Newton dove c'era scritto (lo leggevo da piccolo xkè era l'unico mensile che costava poco), ma non l'ho trovata xò sò di averla letta lì (1-0 per la memoria dichiarativa). Diceva che c'è un preciso meccanismo di cancellazione che coinvolge sia i comportamenti sia i gesti più preziosi alla sopravvivenza e raccontava di particolari accortezze per cancellare comportamenti sbagliati nei bulli delle scuole, in contrasto con quello che per l'epoca veniva fatto per punire questi ragazzi. Newton riportava anche le fonti delle ricerche, spero di trovarlo così magari le riporto anche qui. Xkè?

    Perché se imparo male un esercizio faccio prima a disimpararlo o a imparare a farlo correttamente! Il dubbio che mi viene in mente paolo è che hai toppato su una questione. Quando dici che se uno fà un movimento sbagliato e poi si allena nel modo corretto, lo impara a fare bene, io non sono completamente d'accordo. Penso che il Tizio imparerà a fare sia la panca sbagliata sia quella giusta. La riorganizzazione delle informazioni non significa necesariamente la cancellazione di quelle vecchie (ti ricordi quando l'agente smith dice che piccoli pezzi di codice inutilizzato devono ritornare alla sorgente oppure restano isolati?). Un po' come l'hardisk, quando cancelli un file in realtà elimini l'indice dalla TOC o fat-area, ma sul disco è sempre presente, infatti qualunque programma di recupero lo ripiglia...ammeno che non sia già stato sovrascritto. Ecco paolo è qui che voglio arrivare.

    Mettiamo che il LINK della "panca a culo" occupi certi settori dell'hardisk mentale; ad un certo punto inizio a fare la "panca per bene" e affino sempre di più il movimento, secondo il tuo modello creo nuovi LINK cancellando quelli vecchi. Secondo il mio modello no, semplicemente vai a sovrascrivivere (eventualmente) pezzi della "panca a culo". Esisteranno sempre tutte e due se non vengono sovrascritte, vincerà quella che ha il LINK tracciato in modo più profondo e più forte, o più indicizzato. Se su google inserisco una parola mi dà come risultato quella più...qualcosa, allo stesso modo farà il nostro cervello, quando gli chiedo "fammi eseguire la panca" lui fra tutte le panche che ha imparato mi tirerà fuori quella più...qualcos'altro (migliore, perfetta, ok, figa).

    Che ne pensi?

    ... un'ultima cosa (CTRL+V=imparare movimenti a zone), che volevo dire?! mmm. Ah già, nella parte dell'articolo in qui mostri la matrice 30x30 dici che viene INCISO sempre più profondamente il link per eseguire il movimento in base al meccanismo del feedback coi disegni per i bambini giapponesi. Se io imparassi a fare lo squat fino a metà, e poi dopo un po' di tempo imparassi a fare l'altra metà, lo schema motorio finale sarà peggiore, uguale, migliore rispetto a quello che sarebbe sortito fòri facendo sempre uno squat completo?
    Ultima modifica di Dargor; 11-02-2010 alle 10:55 PM

  6. #21
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    Ciao Dargor,
    qua si possono solo fare speculazioni, per una serie di motivi:
    1) non sono un neuro-qualcosa, ho solo letto. Non ho la capacità di maneggiare propriamente certi concetti.
    2) per derimere la questione servono degli studi. Magari sono già stati fatti, magari no. E io non lo so eh eh eh
    3) comunque sia, anche da questi studi si potrebbero solo fare estrapolazioni perchè di sicuro non esiste uno studio "imparo a fare squat a ca.zzo con 150Kg poi imparo per bene, imparo da subito lo squat per bene: quale strategia è meglio neuralmente?"

    Perciò, provo a risponderti.

    Esistono due tracce o una, due schemi motori o uno solo per ottenere un risultato? Probabilmente ne esistono infinite varianti. La pratica "sposta" la traccia media, ma le varianti rimangono.

    Infatti, chiunque ha un comportamento particolare sotto carico: puoi fare "bene" fino a certi kg, poi sotto un carico massimale torni al "difetto" di partenza. Oppure, ognuno di noi ha delle individualità che deviano dalla configurazione standard, tanto che anche il concetto di configurazione standard andrebbe rivisto perchè magari è una nostra catalogazione.

    In effetti, dire "presenza di due tracce" di cui una buona e una no implica un giudizio che magari è errato.

    Per questo motivo, è ben difficile dire "imparo bene e ci metto meno che disimparare e a reimparare" anche se il buon senso direbbe che è così.

    Lo dico meglio: imparare "bene" è sempre opportuno, anche perchè se esistono le individualità, a pedate esiste anche un metodo standard per fare le cose per bene e solo con il tempo verranno fuori le individualità, all'inizio a meno di eccezioni si commettono solo errori.

    Però se io ho imparato male per una serie di motivi, quel tempo non è comunque buttato via. Immagina uno che fa un mezzo squat con 200Kg. E' "male" per noi che diamo valore a quel tipo di esecuzione ma il cervello ha imparato il movimento lo stesso. Ha appreso come soppesare 200Kg, come uscire dagli appoggi, quali sono le sensazioni di un peso così importante.

    Quando decido di cambiare esecuzione, è chiaro che devo per forza di cose passare a 100Kg, però 100Kg saranno comunque "pochi" e l'esperienza fatta mi permetterà di gestirli molto bene.

    Cambiando il metro di giudizio sembra che ho buttato via del tempo, ma ciò non è poi vero.

    Ti pongo il quesito al contrario: imparare male da subito o imparare bene ed imparare male, il tempo è lo stesso?

    Se ci pensi, è difficile dirlo: immagina che io faccia un full squat con 160Kg. Quanto ci metto a portarlo a 200Kg di mezzo squat? Non è che sia poi così banale la cosa eh... perchè se il mio massimo sulle spalle è 160Kg, i 200Kg saranno un peso IMMENSO.

    Il messaggio che voglio dare è però questo: una volta che il pattern motorio è appreso, quello è il movimento che viene eseguito in automatico. Quella è la potenzialità che viene espressa. Ma ciò non significa che sia la massima potenzialità, è solo quella di quello schema.

    Chi pensa di non riuscire a fare certe cose, tipicamente a scendere sotto il parallelo nello squat, non capisce che, semplicemente, sta eseguendo un programma e che quello non è il suo limite. COme dire: se la mia televisione ha solo 4 canali e ignoro l'esistenza di satelliti e pay tv, per me l'informazione è confinata a 4 canali che rappresentano la totalità del mondo televisivo. La mia realtà è solo quella. Però non è così.

    Non c'è un "bene" o un "male", ma solo una risposta a certi stimoli per eseguire un dato compito. Ponete al vostro cervello sempre lo stesso stimolo, ad esempio la solita profondità di discesa, il cervello risponderà con i soliti segnali per arrivare lì. Si allena per arrivare lì e alla fine arriverà sempre lì in automatico.

    Di punto in bianco volere arrivare lì-15cm. I segnali in ingresso saranno considerati pericolosi, il sistema nervoso entrerà in safe mode e bloccherà gli attuatori in discesa.

    Empiricamente, sappiamo che è così perchè con un po' di training le cose migliorano spaventosamente. Non è in discussione il fatto che sia o non sia così. Tutto questo casino serve per capire perchè è così.

  7. #22
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    Veramente un bel lavoro! Bravo Paolo!

    Piacevolissimo da leggere dall'inizio alla fine, complimenti.
    Che dire? Continua così!

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