Sappiamo che un neurone emette il suo +2… ehm, scusate… +1 sull’assone se la somma degli altri +1 in ingresso è superiore ad una certa soglia: questa soglia, chiamata potenziale di membrana, può variare: ciò significa che il neurone emetterà il suo +1 più frequentemente (in questo caso) o meno.
L’impulso in ingresso sulla sinapsi che stimola il rilascio di neurotrasmettitori causa la produzione di un impulso elettrochimico dentro il nucleo del neurone ricevente. Variazioni chimiche sulla sinapsi provocano variazioni dell’impulso ricevuto e pertanto una diversa elaborazione: questo adattamento è la variazione del potenziale eccitatorio post-sinaptico.
Un’altra strategia è la variazione del firing rate, cioè della frequenza con cui il +1 in uscita viene emesso a parità di impulsi in ingresso.
Infine, poi basta e non vi tedio più, più neuroni possono sincronizzare il loro +1 in uscita per creare un +1one collettivo.
La plasticità funzionale è caratteristica della memoria a breve termine, quella strutturale della memoria a lungo termine (non prendete questa frase come biblicamente immutabile): la prima infatti è una variazione della chimica dei neuroni, la seconda coinvolge la produzione di nuovi “pezzi” di neurone perciò una massiccia… sintesi proteica!
Un breve accenno su cui torneremo in dettaglio nel prossimo articolo: tutta questa roba di plasticità strutturale non è simile a sincronizzazione, reclutamento, coordinazione… “inizialmente i miglioramenti di forza sono dovuti ad un miglioramento della coordinazione motoria”… interessante, vero? Partiamo dai muscoli e tocchiamo un po’ il cervello come se il cervello usasse i muscoli differentemente dal resto di se stesso… ci torneremo, ci torneremo.
Fondamentale: la plasticità strutturale e funzionale è propria dell’intero sistema nervoso, anche del midollo osseo. Studi raccapriccianti su pazienti che hanno subito la rottura del midollo mostrano chiaramente che questo ri reorganizza anche sotto la lesione: il Sistema Nervoso lotta con tutte le sue forze e non molla mai, nemmeno in situazioni estreme.
Un esempio, non fissatevi
A questo punto dovrebbe essere più chiaro cosa significa “imparare”, per illustrare il concetto faccio un esempio. UN-ESEMPIO: una semplificazione immensa come voler fotografare un buco nero nel cielo notturno con il cellulare. Il suo scopo è fornire un modello mentale per apprendere i concetti nuovi.
A sinistra un cervello rappresentato dall’ippocampo e dalla corteccia cerebrale, in basso un po’ di neuroni relativi alle due aree. Nella corteccia cerebrale abbiamo la memoria a lungo termine derivante dai ricordi appresi, cioè imparati in passato. Per quello che abbiamo appena visto, la memoria non può che essere data da una ben precisa configurazione neurale: neuroni connessi in un certo modo, con una ben precisa chimica interna.
Uno stimolo esterno arriva tramite i nervi sull’ippocampo, provocando l’eccitazione o l’inibizione dei neuroni che lo ricevono. Questi neuroni sono connessi ad altri neuroni, pertanto li stimoleranno o li inibiranno e così via in cascata.
A seconda dello stimolo e di cosa c’è nell’ippocampo cominceranno a delinearsi delle tracce neurali.
Sappiamo che l’ippocampo ha la funzione di “insegnante” per la corteccia, pertanto anche se lo stimolo in ingresso non c’è, come a destra, invierà segnali dell’esperienza alla corteccia stessa. Analogamente, sulla base della configurazione dei neuroni presenti si formeranno delle tracce neurali che andranno a modificare la vecchia.
La riorganizzazione del cervello non è immediata ed è un bene altrimenti qualsiasi esperienza altererebbe pesantemente la memoria, anche eventi o sensazioni che non si proveranno mai più: perché le tracce neurali si stabilizzino, perché la chimica delle sinapsi e dei neuroni cambi, perché gli assoni e i dendriti crescano e si connettano è necessario che lo stimolo agisca più volte. In questo modo i cambiamenti diventano permanenti.
Notate come nel disegno in basso a destra la traccia neurale della memoria a lungo termine della corteccia sia cambiata, integrando parte della nuova dovuta alle nuove esperienze.
L’apprendimento porta pertanto al cambiamento del Sistema Nervoso e questo avviene sempre.
L’allenamento
Cosa propone il terapista per recuperare le funzionalità perdute? Un apprendimento motorio, qualcosa di simile ad un allenamento. Perciò l’allenamento è un processo di apprendimento motorio che porta ad una riorganizzazione del cervello.
L’allenamento porta alla creazione di tracce neurali sul vostro sistema nervoso, dal midollo fino alla corteccia. Queste tracce sono ciò che vi permette, una volta richiamate, di compiere i movimenti che ci interessano.
In ogni istante della traiettoria di uno degli aggeggi che ci piace gli input sensori stimolano percorsi neurali che portano segnali ai muscoli perché si contraggano. Ogni output produce dei nuovi input e ogni input scatena una nuova traccia!
L’apprendimento di un movimento è pertanto la creazione delle “giuste” tracce nel vostro Sistema Nervoso, e questo è ciò che fa un buon allenamento.
Il segreto dell’acciaio.
Eccolo, il segreto dell’acciaio: quando vi allenate alterate il vostro sistema nervoso, lo fate cambiare. Il sistema nervoso è allenabile.
“Eh si ma si sapeva…”. No, non si sapeva. Mi sconvolge questo fatto! Non si sapeva perché non viene data la giusta importanza a questo aspetto che è sempre marginale e vi farò anche vedere che è così.
Noi studiamo i muscoli e da questi risaliamo alla placca motrice e ai motoneuroni. Ma… ci fermiamo lì. Questo è il problema. La polarizzazione della conoscenza rispetto a ciò che ci interessa, senza spaziare in altri campi. E’ chiaro che anche il SNC viene ad essere toccato, ma non capiamo la portata di questo cambiamento.
Cosa ***** può fare un muscolo se non alterare il quantitativo delle sue fibre, dei suoi capillari o dei suoi liquidi? Niente, un ***** d’altro. Il SNC riconnette intere sue aree, varia la potenza dei messaggi in trasmissione e ricezione, li coordina sempre meglio.
Per capire come allenarci dobbiamo capire quali sono i modi migliori per apprendere le cose, dobbiamo rivolgerci a studi che riguardano pianisti, violinisti, scacchisti, ciechi, amputati, gente che recupera da danni cerebrali. Perché sono questi i casi che mettono sotto stress il nostro cervello e sono questi che ci forniscono informazioni utili.
Pensiamo troppo a come cambiano i nostri muscoli, alla massa, all’ipertrofia: una sinapsi è capace di cambiare il suo potenziale eccitatorio nel giro di qualche minuto con effetti evidenti, un muscolo reagisce con una risposta ipertrofica evidente in qualche mese. Il cervello è capace di cambiamenti strutturali che altri organi non hanno assolutamente e non può che essere così dato che è ciò che contiene la nostra coscienza e il nostro impulso alla sopravvivenza in qualsiasi ambiente.
Sottoutilizziamo il più potente mezzo di miglioramento che abbiamo, persi dietro a particolari irrilevanti. Possiamo imparare a parlare, a camminare nuovamente dopo un ictus, possibile che non si riesca a fare uno squat sotto il parallelo? No ragazzi, è assolutamente impossibile.
Nel prossimo articolo delle inaspettate conseguenze di tutto questo. Tanto per dire, è così importante l’assetto ormonale per i risultati al passare del tempo? E’ così importante lo schema di allenamento? E’ vero che i primi risultati sono dovuti a modificazioni neurali e quelli successivi solo ad una risposta ipertrofica? I risultati di certi campioni sono solo dovuti alle doti o c’è dell’altro?
Intanto, fatemi sapere.



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