Io affermo che sia sempre necessaria una leggera flessione in avanti in risalita per creare uno stretching che attivi meglio i femorali. Ciò non significa che sia una flessione voluta, ma solo accidentale.

Sotto carico difficilmente è possibile far compiere al nostro corpo movimenti volontari troppo complessi, perciò quando inizia la risalita l’impulso è quello di contrarre i quadricipiti e conseguentemente le ginocchia saranno sparate indietro.

E’ qui che interviene l’allenamento, permettendo di coordinare i femorali, i diretti antagonisti dei quadricipiti, in un movimento di estensione del bacino. Contemporaneamente all’estensione delle tibie inizia anche una estensione del bacino grazie alla co-contrazione di questi muscoli.

Ovviamente, anche grazie ai glutei e ai lombari e bla bla bla, ma i glutei sono dei monoarticolari e non co-contraggono nulla, mentre i lombari non hanno niente a che vedere con i quadricipiti, pertanto la difficoltà maggiore è proprio la coordinazione dei femorali.

Per questo motivo avviene la flessione in avanti: una imperfetta coordinazione sotto carico. Se metto 90Kg e mi impegno per la classica alzata da manuale, quella dei libri dove immensi hulk fanno vedere come squattare a schiena dritta con il solo bilanciere, non fletterò minimamente la schiena, se metto 190Kg il giochetto mi riesce peggio.

Se però ho coordinato bene i miei femorali questa minima flessione provoca un allungamento e un conseguente riflesso da stiramento: sto usando i femorali in eccentrica e lo stretch reflex potenzia la forza generata. Perciò un po’ di flessione mi permette di chiudere bene l’alzata e nelle tonnellate di video di gente che squatta bene che ho visto su youtube questa minima flessione è sempre presente.

Addirittura, ma qui avrei bisogno di “prove” più certe, questo movimentino di flessione è presente anche nella risalita di potentissimi front squat!
In altre parole più complesse, la velocità angolare con cui si apre l’angolo schiena-femore deve essere proporzionale a quella con cui si apre l’angolo femore-tibia. Questa affermazione sarà oggetto di un’altra trattazione.

Perché ciò avvenga i glutei e i femorali devono “tirare indietro” cioè estendere il bacino tanto velocemente quanto i quadricipiti estendono la tibia. In questo caso il bilanciere sale senza rallentare.

Questa invece è una alzata peggiore della precedente: la mancanza di coordinazione fa si che il bacino continui a spostarsi verso l’alto più velocemente delle spalle perché i femorali non lo “tirano indietro” quanto basta per far salire anche le spalle. La schiena si flette.

La flessione aumenta l’allungamento dei femorali che generano così più forza: ad un certo punto questi sono così allungati da poter esercitare al meglio la loro trazione. Peccato che lo squat si sia trasformato in un good morning, esercizio più semplice dello squat proprio perché non c’è da coordinare ginocchia e bacino.

Il bilanciere ha comunque rallentato la sua corsa in maniera evidente, da cui lo sticking point classico.

Una brutta alzata è così dovuta ad un utilizzo non sincrono dei quadricipiti con i femorali, un modo per suddividere un movimento complesso in due più semplici: non estensione ginocchia ed estensione bacino contemporaneamente, complesso, ma prima estensione ginocchia e poi estensione bacino, più semplice.

Morale

Ciò che nello studio di Escmilla manca è, secondo me, l’associazione dei parametri osservati ad un giudizio complessivo delle alzate: ok, nello squat accade ciò che è stato osservato, ma in cosa differisce una bella alzata da una alzata disgustosa? La comprensione di questo permette di estrapolare non solo i parametri rilevanti ma anche i loro valori.

L’utilizzo di soggetti troppo “bravi” e anche sconosciuti ha, secondo me, impedito tutto questo, mentre uno dei vantaggi di essere io il soggetto di studio è che posso “giudicarmi”. Per quanto io abbia un ottimo massimale (200Kg raw sono un ottimo massimale su tutte le scale, lo dico senza presunzione), non ho una bella tecnica e questa peggiora con l’aumentare del peso o della stanchezza. In più, avevo l’influenza pertanto una condizione ottimale per ottenere brutte alzate se non concentrato. In altre parole, mai analizzare il top, ma la fascia intermedia. Questo, sempre.

Ci sono varie teorie sullo sticking point, il problema è che secondo me non tengono conto di come si arriva nel punto più difficile, perché non legano ciò che viene misurato con ciò che l’atleta ha voluto fare.

Senza voler essere quello bravo che ci capisce, ma solo come una mia impressione, gli studi sono troppo… meccanicistici: come se le traiettorie del corpo umano, data una posizione e dato un insieme di velocità, non possano che essere di un certo tipo.


Lo sticking point è considerato un punto di svantaggio meccanico e queste sono alcune delle cause:
  • Il movimento concentrico fa generare ai muscoli meno forza a causa della velocità generata, secondo la legge forza-velocità. Secondo me questa è una forzatura, stiamo parlando di movimento veramente lenti, mezzo metro al secondo e altri studi fanno vedere come vangano, nei calcoli, le condizioni di quasi-staticità.
  • Poiché in risalita i muscoli si accorciano, viene generata meno forza a causa della legge forza-lunghezza.
Tutto questo è certamente vero e contribuisce alla difficoltà del movimento. Però se fossero solo queste le cause, tutte le alzate dovrebbero avere lo stesso tipo di traiettoria. Invece, perché a parità di Kg certe volte faccio “bene” e certe volte faccio “male”? Ciò dipende da come io, volontariamente, uso i miei muscoli all’inversione del movimento, co-contraendo i femorali oppure no. Per questo a parità di Kg, velocità e inclinazione della schiena posso o meno ottenere risultati differenti.


Affermo che lo sticking point non dipende da altro se non da questo: vi sono difficoltà meccaniche ma l’uso del mezzo corretto permette di dominarle, altrimenti di subirle. Con carichi massimali come in una gara tutte le alzate sono identiche fra loro, perché siamo al limite e al limite i comportamenti di atleti d’elite sono bene o male sempre gli stessi.

Viceversa, è l’analisi di alzate submassimali che permette di determinare le differenze. Per confermare o confutare ciò che dico sarebbe necessario mettere in piedi un esperimento in cui atleti di livello medio, seguendo certe indicazioni, migliorano o meno il suo passaggio allo sticking point. Uno studio longitudinale, non trasversale.

Ciò non toglie che gli studi e anche questo pseudo-studio confermano che ciò che conta sono le “solite” regole che tutti conosciamo: schiena “dura” in risalita.

E la discesa?

La discesa è ciò che prepara la risalita. Per questo motivo non è importante quanto velocemente si scende ma che assetto si assume. L’alzata è, cioè, asimmetrica: in risalita sono importanti le velocità, in discesa le posizioni.

Però, della discesa parlerò nella prossima puntata perché un amico mi ha regalato un’idea eccezionale