Ricapitolando, i metodi di ricarico dell’ATP sono:
1) ANAEROBICO ALATTACIDO – Fosfocreatina CP – Altissimo rendimento, scarsa durata (max 10 secondi);
2) ANAEROBICO LATTACIDO – Glicogeno – Medioalto rendimento, mediobassa durata (max 60 secondi)
3) AEROBICO ALATTACIDO – Grassi – Scarso rendimento, durata teoricamente illimitata.
Da quanto detto è possibile comprendere come la macchina organismo affronti la necessità di compiere uno sforzo di varia entità: la percezione del carico e dello sforzo richiesto è ad opera di sensori periferici preposti a tale scopo; valutato il carico, il sistema nervoso centrale emette degli impulsi sotto forma di onde elettriche di varia frequenza che si propagano sino a giungere alle placche motrici delle singole unità motorie interessate. A questo punto le unità motorie che rispondono alle frequenze sopraggiunte si contraggono utilizzando come fonte energetica l’ATP presente nelle miocellule che le compongono: essendo le scorte di ATP molto modeste, in funzione dell’intensità dello sforzo richiesto e, progressivamente, della sua durata, il corpo umano sceglie il sistema di ricarico dell’ATP più opportuno per far fronte all’improvvisa richiesta e, in definitiva, per sopravvivere a quello che è visto come un attacco alla proprio equilibrio. A seconda dell’entità dello sforzo varia la frequenza delle onde elettriche generate e, quindi, variano le unità motrici interessate alla risposta: ad un impegno intenso ed energeticamente dispendioso, è associata la contrazione prevalente di unità motorie la cui struttura biochimica è per così dire ottimizzata per facilitare i processi anaerobici di risintesi dell’ATP; al contrario, a sforzi di lieve intensità il sistema nervoso chiamerà a contrarsi prevalentemente unità motorie ottimizzate al processo di ricarico aerobico dell’ATP.
E’ importantissimo sottolineare che i tre sistemi di ricarico funzionano praticamente sempre in parallelo, ossia agiscono contemporaneamente e non in maniera esclusiva: il corpo ha un suo tempo tecnico di percezione dell’impegno motorio richiesto quindi parte sempre utilizzando al massimo ritmo i suoi sistemi più efficienti, ossia quelli anaerobici: se poi si accorge di poter far fronte allo sforzo con un sistema meno oneroso, allora attiva man mano il sistema aerobico.
Vari studi e ricerche sono stati effettuati per tracciare le mappe delle percentuali di utilizzazione dei 3 sistemi in relazione all’intensità dello sforzo e alla sua durata: in presenza di uno sforzo anche di lieve entità, il sistema di ricarico aerobico acquisisce un contributo superiore al 50% rispetto agli altri dopo non prima di 20 minuti dall’inizio dello sforzo stesso...
E’ chiaro che le fibre muscolari sono teoricamente in grado di utilizzare tutti e tre i sistemi a seconda delle necessità, però numerosi esperimenti hanno dimostrato che i nostri muscoli scheletrici sono composti da fibre muscolari energeticamente specializzate, ossia predisposte ad utilizzare un sistema di ricarica in maniera molto più efficiente rispetto agli altri.
Tale caratteristica è resa possibile da un’elevata concentrazione di particolari molecole (enzimi) che favoriscono una reazione chimica piuttosto che un’altra: tra l’altro la presenza massiccia ti tali enzimi influenza anche la colorazione delle cellule muscolari.
Le fibre specializzate nella risintesi dell’ATP attraverso i meccanismi anaerobici hanno una colorazione biancastra mentre quelle dotate di notevole capacità ossidativa (aerobica) hanno un colore rossastro.
Proprio l’aspetto cromatico diverso di queste fibre ha spinto i ricercatori a nominare “FIBRE BIANCHE” quelle a maggiore attività glicolitica (anaerobica) e “FIBRE ROSSE” quelle a prevalente attività ossidativa (aerobica).
Questa prima distinzione viene fatta sulla base delle diverse caratteristiche energetiche dei due tipi di fibre muscolari. Parallelamente la stessa distinzione si ripercuote sulle caratteristiche neuromuscolari: abbiamo visto che una singola unità motoria (alfa-neuronemiocellule) si contrae a causa dello stimolo ricevuto da un impulso elettrico di una determinata frequenza. Le fibre dotate di grande capacità glicolitica avranno la possibilità di utilizzare una grande quantità di energia per un breve periodo di tempo: di conseguenza le contrazioni di questo tipo di fibre sarà potente, veloce e limitata nel tempo. Proprio per questo motivo tali fibre vengono definite anche FIBRE VELOCI (ST) così come, in modo analogo, quelle a forte componente ossidativa vengono anche definite FIBRE LENTE (LT).
Volendo scendere ancor più nel dettaglio, esistono anche delle fibre muscolari che non hanno caratteristiche energetiche così nette, ma che hanno discrete capacità glicolitiche (anaerobiche) e discrete capacità ossidative (aerobiche). Tali fibre si posizionano a livello intermedio tra le fibre veloci (o bianche o ST) e quelle lente (o rosse o LT): a seguito di intensi e mirati allenamenti, l’adattamento della matrice proteica che le compone può modificarne la struttura facendole diventare delle fibre veloci o lente a tutti gli effetti.
A presto...
Segnalibri