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Discussione: La legge universale dell'allenamento

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  1. #1
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    Grazie a tutti! aspettatevi il nuovo pacco...

    Citazione Originariamente Scritto da claus Visualizza Messaggio
    Susa Iron , ovviamente ti riferivi al mio esempio su una persona di 67kg.
    Va rapportato al bw.

    ciao
    Si, anzi, ti dirò che quello che ho scritto è relativo ad un peso medio di 75Kg circa. Mi ero scordato. Ho scritto i Kg perchè quelli sono ciò che osservi.

    Comunque, anche in assoluto non è che vedi gente di 110Kg che fa 150 di panca normalmente in palestra.

  2. #2
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    Fiiiuuuuu…. Siamo arrivati in fondo a questa trattazione. Mi sembra impossibile aver scritto così tanto. Qui si devono tirare un po’ le fila, arrivare a qualche conclusione, a scoprire l’assassino come ha detto un mio amico. E’ questo il momento in cui ci si s******* abbastanza, perché si deve dire “fai così”, e se i grandi discorsi filosofici riescono a tutti perché in fondo indimostrabili come l’oroscopo, quando si scrive “fai 3×4 che è meglio di 3×8” si dichiara qualcosa che può essere provato. E contestato.

    E allora, tuffiamoci. Dobbiamo dare delle indicazioni su come ingannare la accommodation law, su come portare gli stimoli a livelli sempre più alti. Mettevi comodi, sniffate della cocaina, perché non sarà una cosetta semplice. E, in fondo, dirò cose conosciute. Non crediate di trovare in questo scritto l’esercizio magico che vi fa diventare grossi e forti e magari più intelligenti… tutto quello che si poteva dire è stato detto eh…

    Portare avanti il livello di stimolo passa da una presa di coscienza di se: il comandamento zero di queste tavole della legge è: vi siete posizionati con onestà nella “piramide evolutiva”? Prima lo fate, prima otterrete. Ci vuole una grande sicurezza di se nel darsi un giudizio, ma se lo fate correttamente, troverete anche quello che è più adatto a voi.

    Collegato al punto precedente c’è il comandamento uno: dovete confrontarvi con gli altri, con quelli migliori di voi. Dovete ricercare letteralmente il confronto, e Internet adesso ve lo permette. Questo deve farlo specialmente chi si allena da solo: tantissimi hanno ottenuto risultati nel senso che hanno incrementato le proprie prestazioni. Bene, hanno ottenuto tanto, ma questo “tanto” è veramente “tanto”? C’è chi è passato da 40Kg di squat a 120Kg. Ottimo. Ma 120Kg è il massimo che potete fare? O vi appaga e vi siete adagiati?

    Vi dico una cosa brutale: chi dopo 6-7 anni, su un peso corporeo di 80Kg e intorno ai 30 anni d’età, viaggia intorno ai 100, 110Kg di panca, non ha ottenuto un grande risultato. Mettetevelo in testa. Eppure magari siete i più forti della vostra palestra. Confrontatevi con quelli più forti cercando di capire perché sono più forti. Confrontatevi in maniera leale e positiva, senza trovare per forza delle giustificazioni. Che so… è un dopato, vive in palestra, è geneticamente dotato. Molte volte la risposta è semplicissima: il tizio in questione si allena meglio di voi. Punto.

    Come ci vuole una grande forza per giudicarsi, ci vuole una grande forza per confrontarsi con gli altri. Ma il confronto paga alla lunga.

    Una piccola noticina: quando scegliete un modello di riferimento per confrontarvi, dovete sceglierne di credibili. Perciò invito caldamente tutti ad evitare con cura il confronto con i bodybuilders professionisti. Spero di spiegarmi bene perché ci tengo a non venire frainteso: i pro sono dopati. Questo li rende un modello non credibile, perché il doping altera la fisiologia di queste persone. Quando parleremo di variabili di allenamento sarà più chiaro, ma mi sembra già qui evidente che se voi non vi bombate, non state utilizzando questa variabile che invece questa gente usa. Il confronto è impossibile.

    Non voglio appunto essere frainteso: questo non è un giudizio etico, morale, religioso o di merito. Non voglio sentire discorsi del tipo “ah ma anche loro si fanno il culo, anzi, più degli altri”. Non c’entra nulla. Però vi state confrontando con persone che accedono ad altre risorse che voi non avete. Se vi dopate anche voi allora il confronto è possibile, altrimenti… no.

    Sembra che ho detto una banalità, però è molto più sottile di quanto si pensi. Ho letto fiumi di discussioni sul perché e percome i pro si allenino con mezze ripetizioni, cheating assurdi etc. Molti più di quanto si pensino asseriscono che se i pro fanno così è giusto fare così. Anzi, che i pro si allenano a ***** e perciò tutto è soggettivo, conta il collegamento mente-muscolo. Tutto a *****, ma dandoci dentro con lacrime e sangue.

    Ma i pro si dopano. E lo fanno per un risultato estetico. Si bombano in qualunque altra specialità, però in un qualsiasi sport c’è da compiere un gesto atletico, e in soldoni vince chi lo fa meglio. Perciò il più bravo tecnicamente dei dopati vince. 1000 eccezioni, ma è così. Nel BB invece conta essere grosso, il beef (semplifico, va bene). Il doping amplifica l’effetto dell’intensità dell’allenamento, indipendentemente da come la raggiungo. Perciò mezza ripetizione con un peso spropositato garantisce comunque un effetto.

    Questo non vuole essere terrorismo anti-doping, personalmente non me ne fotte niente di quello che fate. Solo, prendete come riferimento un pro e allenatevi come lui da natural, e non otterrete niente. Anche io guardo estasiato i video di Ronnie che fa front squat con un fottio di dischi da 20 che tintinnano, o lo stacco con le rotelle da 50Kg… poi quando devo allenarmi uso come metro di paragone altre persone. In altre parole, leggo le storie di Hulk con piacere, ma non mi chiedo come posso io avere quei trapezi enormi, perché non mi va di subire un bombardamento Gamma come Bruce Banner.

    Perciò veniamo al comandamento numero due: per giudicarvi, per confrontarvi, non dovete avere pregiudizi. Il termine va inteso proprio così: pre-giudizio, un giudizio antecedente (e che avete dato voi) alla conoscenza del fenomeno. Ma se giudicate un fenomeno prima di conoscerlo avrete la mente cristallizzata. E ricercherete una conferma di quanto pensate, mantenendo gli aspetti che vi interessano per la vostra tesi e scartando quelli che non vi interessano.

    Il pregiudizio in se non è negativo, ma una modalità comportamentale che permette di decidere velocemente in situazioni di stress, perciò ci sono casi in cui è utile. Banalmente: se voi doveste affidare vostro figlio per 5 minuti al primo che passa per la strada, a chi lo consegnereste?
    1) al tipo pieno di tatuaggi, piercing, capelli rasta, con il cane al seguito
    2) al rumeno che lava i vetri al semaforo
    3) a quel prete laggiù che legge la Bibbia
    4) al tipo con la faccia simpatica ma che ha un pitbull bianco al guinzaglio senza museruola
    5) a me, cioè al tale con gli occhiali e la faccia di culo ma che sembra un bravo ragazzo.

    Decidete sui due piedi. Sceglierete a seconda del vostro background, dei modelli precablati nella vostra testa, cioè state pre-giudicando. Di certo non pensate “quello pieno di tatuaggi con il cane magari ha avuto un’infanzia difficile e sta esprimendo il suo disagio, fondamentalmente è una brava persona, a priori non posso dire che il suo aspetto è indice di cattivi comportamenti sociali, diamogli una possibilità”. E non direte “quel rumeno laggiù magari è un bosniaco costretto dalla guerra ad emigrare, è uno che ha fatto sacrifici e che cerca una possibilità”.

    Invece, al volo, direte: “1 e 2 scartati, aria, troppo sudici, il prete magari è un pedofilo, quello con il cane sembra troppo deficiente per controllare una belva del genere, dài, quello con la faccia di culo va bene, al limite mio figlio si fa due palle ma sopravvive”. Il pregiudizio è un modo di decidere veloce, sulla base di modelli. Dove serve decidere velocemente, non potete che pre-giudicare. Ma i modelli di riferimento sono propri del vostro passato, della vostra gente, del vostro paese. E possono essere del tutto sbagliati”. Perché magari io sono un serial killer con 18 personalità.

    Se il pregiudizio è utile in molti contesti, non lo è in palestra. Perché vi tarpate le ali da soli. Una cosa che mi manda letteralmente in bestia è quando parlo di allenarsi a basse ripetizioni per mantenere una tecnica buona e regolarmente sento (e leggo) discorsi del tipo “ah ma tu sei un PL, questa roba è roba da PL, le basse ripetizioni sono per la forza e non per la massa”. Ecco: pregiudizi dei più stupidi. Perché chi ragiona così, non ascolta. Magari io sto dicendo “devi fare 8×1 perché se fai così ecco il cellulare di quella tipa bionda strafichissima ninfomane che ti sta guardando”. Ma tanto, non ascoltate.

    Il pregiudizio vi porta a giudicare tutto il resto con il vostro metro, sulla base dei vostri risultati. Trovo ad esempio di una stupidità assurda discussioni dove si fronteggiano quelli che parteggiano per un metodo di allenamento piuttosto che per un altro. Tipico in tutte le varianti è Mentzer Vs Arnold. Dopo 25 e passa anni, siamo ancora a discutere se 1 serie è meglio di 3. Dio che spreco di neuroni… lo sapete che ogni ora muoiono circa 500 neuroni nella vostra testa e questi non vengono sostituiti? Pensate ai miliardi di neuroni morti durante le discussioni su queste cazzate: un crimine contro l’Umanità.

    Il problema è che prese di posizioni dratiche riducono i margini di miglioramento, perché, a fronte di nuove conoscenze, si cercherà di inquadrare il nuovo all’interno della vecchia teoria. Magari funziona, magari no. Se non funziona, ci si perde dei pezzi importanti. Se pensiamo che quello che stiamo facendo è il meglio possibile perché, sulla base della nostra esperienza, funziona, allora rimarremo dove siamo.

    Bene, abbiamo stabilito che noi non avremo pregiudizi d’ora in poi. Facciamo come nei gruppi d’ascolto e ripetiamo in coro: “i pesci sono amici e non cibo”. No… ho sbagliato gruppo. Ripetiamo: “noi non abbiamo pregiudizi”. Ok. Vediamo se è vero.

    Un aspetto sorprendente quando si parla di BB è che c’è un filone di pensiero che asserisce che il BB sia altro dal resto dell’Universo. “Eh si, ma noi siamo BB…”. Come se la fisiologia del BBer fosse differente da quella delle altre persone. C’è un alone di misticismo, di aleatorietà religiosa che permea il BB. La fra setta “dovete provare tutto per vedere cosa funziona per voi” è un’altra perla. Il BB è cioè ascientifico, rifiuta una modellazione, un inquadramento anche il più elementare all’interno di canoni con una parvenza di razionalità. E’ tutto empirico, romantico, tutto un “provare”. E nel provare non si fa altro che riscoprire la ruota, il fuoco, il bronzo… Ma tanto noi siamo BB…

    Dall’altra parte, c’è lo Scientismo assoluto, il trovare un causa-effetto a tutte le azioni in palestra, che so… c’è chi vorrebbe pianificare anche quando andare a pisciare durante la seduta e sulla base del pH urinario decidere se è meglio fare panca stretta o croci su declinata.

    Chi ha ragione? Nessuno dei due, perché sono entrambi estremi. Perciò: comandamento numero tre: l’istintività non esiste, è una balla.

    Ah! Siete saltati sulla sedia, vero? Vi ho un po’ scosso dal torpore? Vediamo se non avete pregiudizi e continuate a leggere con mente aperta. Posso anche non aver ragione, come posso aver barato e fra 3000 pagine dirvi che avevo scherzato.

    Intanto, prima di dire che non esiste, andrebbe definita, non con una definizione psicoanalitica, ma contestualizzata alla palestra: nella normalità dei pesi, per “istintività” si definisce la capacità di scegliere la strategia di allenamento migliore per progredire, “sentendo” quello che il nostro corpo ci dice sul suo stato e scegliendo di conseguenza. Si attribuisce a questa caratteristica il successo di “quelli veramente grossi”. Mi sono scordato dei pezzi? Mi sembra di no.

    Perciò, esiste o no questa “istintività”? Come mai noi sappiamo discernere fra “quello che funziona e quello che non funziona”? Vi prego di riflettere su questa affermazione: la vostra istintività dipende dalla vostra conoscenza.

    Un esempio: conoscere la legge di Hanneman o principio della grandezza vi permette di comprendere che le fibre muscolari producono forza a partire da quelle lente per arrivare alle veloci sulla base del carico a cui le sottoponete. Più carico mettete, più fibre stimolate. Se voi volete attivare tutte le fibre dovrete utilizzare carichi massimali o submassimali. Chi ha una conoscenza del fatto che per diventare più grosso deve diventare più forte avrà un “istinto” che lo porterà a caricare progressivamente di più. Chi non ha questa conoscenza, non lo farà. “Sentirà” diversamente.

    Chi ha scolpito nella mente il “no pain no gain” ricercherà sempre la fatica estrema e “sentirà” che sta facendo bene o male, ma in realtà starà ardendo come un cerino e basta.

    Chi è fissato con la supercompensazione “sentirà” che deve scaricare, si sentirà stanco. E invece si sta deallenando. Ma lui “sente” che è così.

    C’è un criterio che stabilisce nella perdita di velocità esecutiva il momento di smettere l’esercizio. Chi fa proprio questo criterio riesce a “sentire” quando smettere perché “sente che è lento”, anche senza bisogno di un accelerometro.

    Il “sentire” i segnali del proprio corpo è mediato dalla nostra conoscenza, teorica e pratica. Perché i segnali sensoriali sono mediati dal nostro cervello, non dal nostro midollo spinale e basta. Siamo esseri coscienti e diamo un giudizio su quello che sentiamo. E il giudizio dipende da quello che conosciamo.

    Per questo una miglior conoscenza migliora anche quella che noi chiamiamo “istintività”. Spero di avervi un po’ scosso. Per finire l’argomento istintività devo affrontare anche l’altro lato di questa medaglia: la pretesa di un Bodybuilding scientifico.

    Comandamento numero quattro: non esistono leggi semplici per farci da guida.

    Per determinare queste leggi, dobbiamo dichiarare i parametri che queste leggi legano. Buttiamo giù un elenco, nulla di nuovo. Queste sono le variabili classiche per monitorare i carichi:
    numero di sedute settimanali
    durata delle sedute
    numero di esercizi
    numero di serie
    numeri di ripetizioni per serie
    numero di serie totali
    numero di ripetizioni totali
    recupero fra serie
    recupero fra esercizi
    cadenza ripetizioni
    percentuale di carico rispetto all’1RM
    intensità percepita
    set di esercizi
    Età
    Anzianità di allenamento
    Record personali

  3. #3
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    Ok, ma non ci dicono nulla di come sto io. Il “mi sento bene” o “sono uno zombie” è monitorabile con:
    Temperatura
    Pressione
    Umidità
    Pressione sanguigna
    Livelli ormonali
    Azotemia
    Glicemia
    Ematocrito
    Ferritina/Ferro
    Livelli di adrenalina, cortisolo, delle catecolamine, delle prostaglandine (ok, invento, di preciso non so mica cosa sono, ma fa scena…)

    Mi sembra ovvio che il vostro stato di forma non sia un qualcosa di aleatorio, ma di definibile in maniera più precisa. Altre variabili quali l’umore o lo stato d’animo possono essere definite se non altro su una scala di riferimento con dei voti, che so… da 1 a 10.

    Cosa emerge da questi elenchi? Che le variabili sono innumerevoli. Tante. Vogliamo poi legarle tutte insieme fra loro, per trovare delle regole, degli algoritmi che ci permettano di prendere delle decisioni.

    Faccio un esempio. Uno. Perché già così sarà un bagno di sangue. Prendiamo la famosa “legge” che lega il numero di ripetizioni alle percentuali del massimale. Google… ecco.
    La “legge”, dedotta attraverso una statistica, lega insieme il numero di ripetizioni con il carico utilizzato. Grafico e formula et voilà. Lasciate fare la formuletta che mi serve solo come esempio, non è reale ma l’ha calcolata Excel con un algoritmo corretto ma che viene applicato nella maniera sbagliata.

    Se io riuscissi a trovare tutte leggi di questo tipo, sarei a posto. Ma… analizziamo meglio la formuletta.

    E’ vera per tutti gli esercizi? No, per la panca funziona in un modo, per lo squat in un altro. Diciamo che avremo almeno 2 formule, per la parte superiore del corpo e per la parte inferiore. Ad esempio, le formule di Maurice e Rydin
    E’ vera per tutti i livelli di prestazione? Cioè: io con 100Kg di panca farò 8 rip con 70Kg, ma chi ha 200Kg ne farà 8 con 140Kg? No, ne farà 6. Introdurrò un coefficiente che mi tiene conto di questo, A

    E’ vera per tutte le età? Ok, altro coefficiente, B

    E’ vera in tutte le condizioni climatiche? Dài, un po’ di complicazione in più, C

    E così via, fino a che la formulina diventa un qualcosa del genere, con tutti i parametri che possiamo mettere.


    Abbiamo una formula che tiene conto di tutto. Ma… funziona? Ok, se io a parità di tutto faccio 137Kg di panca per 2 ripetizioni con un massimale di 150, mi dirà quanti Kg devo caricare per farne 7. Ma se ho un picco di testosterone però il mio capo mi ha trattato come una pezza da piedi, potrò caricare di più o di meno del caso in cui non ho dormito, mi ha lasciato mia moglie ma ho vinto un superenalotto e mi sto allenando alle Bahamas? Io dico che mettendo tutti questi numerelli dentro otterremmo dei risultati quasi casuali.
    Questo è un caso semplice, ma quanti basano quello che fanno su “studi scientifici” che prendono in esame 2 parametri e basta su un set di 50?

    Non è possibile determinare un modello meccanico del nostro corpo che ci permetta di avere dei risultati. Ci volevano migliaia di righe per dire questo? Sì, perché sembra scontato, ma non lo è. Ed è facile cascare nelle ricette preconfezionate. Ripartite dall’inizio con la “legge” del testosterone e del cortisolo: c’è chi dice che non ci si può allenare per più di 75’ pena il deperimento della prestazione. Perché? E’ come dire che c’è una legge che lega la durata dell’allenamento con un ormone. E l’età, lo stress, l’anzianità di allenamento e tutto il resto?

    E quelli che dicono “3 ripetizioni sono per la forza e 8 per la massa”? Un legame fra ripetizioni e crescita muscolare. Oppure quelli che aspettano il picco della supercompensazione, un legame fra tempo e performance. O ancora quelli dello squat re degli esercizi: un legame fra esercizio specifico e risposta globale dell’organismo.

    Il problema non è che sia impossibile determinare un modello. E’ impossibile determinare un modello gestibile. Le variabili sono troppe, e questo porta all’impossibilità di prevedere i risultati con precisione. E’ un problema di complessità.

    Chi è una vita che si allena riesce a dominare la complessità tramite l’esperienza. Come dire… le ha provate un po’ tutte. La somma di tutte le proprie conoscenze e di tutte le prove empiriche determina la capacità di controllare le variabili in gioco, perché il nostro amico ha esplorato il causa-effetto delle varie “leggi” che sicuramente esistono tramite la variazione, negli anni, delle variabili d’ingresso. Il nostro amico sa benissimo che 10 anni fa riusciva a fare 8 rip con l’80% e ragionava così per i suoi allenamenti, ora sa che con il nuovo 80% più elevato riesce a farne 6. Perciò riesce a dominare una parte delle variabili di questa legge.

    La teoria permette di selezionare dei valori di partenza quanto meno accettabili, la pratica di anni ha permesso di comprendere, variando i parametri, come questi sono legati.

    L’istintività, perciò, è la capacità di determinare a fronte di un’analisi più o meno accurata di tutti i fattori ambientali, quello che è meglio per me o per i miei allievi. Non c’è nulla di viscerale, di umorale, di mistico. E’ la capacità che avete voi di scegliere quello che è meglio sulla base delle vostre conoscenze teoriche e pratiche.

    La semplice teoria non è però sufficiente, sebbene necessaria. Esempio: la teoria per sviluppare la forza dice che dovete utilizzare carichi massimali. L’esperienza vi porta a comprendere quale sia la strategia migliore per voi. C’è chi utilizzerà un 5×1, chi un carico ad onda, chi un massimale secco. E sempre l’esperienza vi porterà a determinare se il 5×1 sia meglio farlo 2 o 1 volta a settimana in quel dato momento della vostra vita. Voi “sentite” proprio quello che è meglio per voi!

    Questa è l’istintività. Il resto è andare a caso, a sensazione, con la pancia e con le visceri. L’istintività è l’arte di sapersi allenare: teoria e pratica. Non esiste una istintività che agisce sulla base delle sensazioni corporee, questo è animalesco. Esiste invece una conoscenza così assimilata da diventare quasi subcosciente, che vi fa giudicare gli input sensoriali in maniera mediata.

    Quanti si possono allenare così con risultati? E voi? Perciò il mio consiglio è di studiare ed informarsi. E di provare. Ma provare con criterio: un metodo dovete portarlo fino in fondo, nella sua formulazione originaria. Non dovete metterci del vostro. Perché state cambiando i parametri. Che funzioni o che non funzioni,

    ***** quanto ho scritto… e non c’è nemmeno una figurina. Dài, ora ce la metto. So che molti stanno storcendo il naso, non li ho convinti (ed è giusto che sia così del resto, altrimenti parlerei a me stesso).

    Per ora ho solo distrutto, senza costruire nulla. Nessuna idea su come fare se non “leggete, studiate, praticate”.

    Comandamento numero cinque: definire quello che vogliamo. Se non definiamo questo in maniera comune, parliamo lingue diverse.

    Il BB è la costruzione di un corpo “armonico” ed “esteticamente bello”. Ma queste tre paroline possiamo riscriverle così: noi vogliamo, essenzialmente, essere più forti, più grossi e più definiti di quanto eravamo X giorni fa. E’ plausibile e vi ci ritrovate: questo è quello che vogliamo.

    Perciò vogliamo determinare delle strategie per incrementare i carichi, incrementare il tessuto muscolare e decrementare il nostro grasso corporeo. Noi associamo questa condizione oggettiva a quella soggettiva di “essere più belli”. Nessuno di noi si sognerebbe di cambiare il colore degli occhi con un esercizio o di avere la faccia di Brad Pitt con uno schema di allenamento. Eppure è sempre “essere più belli”.

    Noi vogliamo questo, essere forti, grossi e definiti. Visualizzate questo: se in palestra conoscete uno nuovo, cosa gli chiedete? Quanto fa di panca e quanto ha di bicipite. Giusto, sbagliato. Non è rilevante. Un parametro di forza, uno di estetica fisica, entrambi secondo i “nostri” valori. Non gli chiedete quanto ha di push press o quanto misura di quadricipite. Né quanto ha sui 100 metri. Tutti noi siamo ancorati all’idea di forte-perché-è-grosso e grosso-perché-è-forte. Non negatelo. Strong as you look. Mi fermo qui.

    Certo, ognuno di noi ricercherà più o meno questi elementi, cioè la situazione può rappresentarsi in questo modo.
    Non ci sarà mai una assenza di una componente, anche in quelli che vogliono smodatamente avere il massimo volume corporeo. Chi vorrebbe essere enorme ma ricoperto di grasso come un tricheco e forte come la sega che fa la panca con 50Kg. Dài…
    Perciò “bello” equivale a “più coordinazione neuromuscolare, più miofibrille, adipociti meno carichi di molecole di grasso”. Abbiamo eliminato un bel pezzo di soggettività, no? Meno romanticismo.

    Quello che differenzia le varie “correnti” è il “come” ottenere questo risultato. Qui i pensieri divergono. C’è chi dice che l’80% è genetica, oppure chi dice che l’80% è l’alimentazione. Queste, se permettete, sono giustificazioni che frenano i progressi. Tornate al capoverso precedente: quelle cose lì si ottengono tramite l’applicazione di stimoli per ottenere un adattamento. Mero adattamento nulla di più. La genetica è ad esempio lo zoccolo di partenza, poi CHIUNQUE può ottenere qualcosa.

    Iniziamo a limitare l’ambito di questa trattazione. Se Dio vuole, possiamo considerare l’allenamento e l’alimentazione come correlati in maniera molto lasca. In nessun’altro “sport” è presente una cura certosina dell’alimentazione come nel culturismo. Mangiare pulito, integrare per recuperare gli allenamenti, non avere grasso in eccesso sono dei punti cardine di qualunque programma dietetico per gli sportivi. Ma dato che il proprio peso corporeo è un qualcosa da portarsi dietro, una volta che si rientra nel peso forma o nella propria categoria di peso ben difficilmente ci sarà una ricerca della massa magra. Negli sport dove gli atleti devono essere “pesanti” è ricercato spessissimo il peso corporeo, indipendentemente dalla massa.

    Se vogliamo essere grossi e definiti è necessario curare la nostra alimentazione. Banale, ma tanto per puntualizzare: il cibo è un aiuto ergogeno (cioè non creato dall’interno) necessario per creare l’ambiente adatto alla crescita muscolare. L’allenamento è lo stimolo che determina la crescita. Il risultato finale è la somma dei due. Mi raccomando: lasciate stare Lee Priest che fuori gara è un obeso con i trigliceridi alti e in gara è squartato e definito.
    A me non interessa l’alimentazione, mi concentro sull’allenamento. Per quello che vedo, ritengo che anche nell’alimentazione valgano i vari “livelli” del videogioco della palestra. Nell’alimentazione la costanza (non la maniacalità) paga. Sono convinto che tanti viaggino in un regime ipocalorico costante. Ma questo è un altro film.
    Comandamento numero sei: imparate a considerare le variabili dell’allenamento in maniera globale. Se le variabili sono tutte interconnesse, dobbiamo rappresentarle in qualche maniera. Diamo anche una rappresentazione della accommodation law.
    Il diagramma sottostante è una rappresentazione delle principali variabili di carico.
    In questo modo si ha una visione complessiva del vostro allenamento. In realtà dovete immaginare un diagramma con tantissimi “lati”, uno per ogni variabile.

    Nel caso in esame, Tizio fa un numero esagerato di serie per pochissimi esercizi, ad intensità media, Caio invece esegue più esercizi, alla morte e per molte sedute. Notate come le spezzate diano proprio l’idea della diversità degli schemi. Diamogli un po’ di movimento
    Questa è la situazione di un tizio che utilizza questo criterio di incremento del carico: eseguo un 3×6 e cerco di incrementare il carico un pochinino ad ogni seduta. Tutti i parametri sono fermi meno quello del carico. La fine del ciclo è decretata dall’accommodation law: l’incremento di carico diventa sempre più piccolo e poi cessa.

    La rappresentazione su un piano (cioè una visione “globale”) fa capire che non stiamo esplorando tutte le combinazioni interessanti: ci muoviamo su una retta. Se scarichiamo e ricominciamo, siamo sempre sulla stessa retta, cioè in un mondo unidimensionale

  4. #4
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    Questa è la rappresentazione di un classico schema 5×4, 6×3, 8×2 con carico crescente e recuperi crescenti. Notate come le variazioni siano distribuite in maniera più uniforme. Chiaro che se poi eseguiamo SEMPRE questa roba, alla fine esploriamo comunque una sezione limitata del piano delle configurazioni.
    Lo schema a sinistra è relativo a chi incrementa sempre più il volume delle serie di panca nelle tre settimane, quello a destra è relativo a chi esegue sempre lo stesso numero di serie al massimo ma cambia esercizio di settimana in settimana.
    La mia idea con questi schemi è che vorrei comunicare la tridimensionalità (o meglio la n-dimensionalità) degli stimoli allenanti. Chi stressa un solo parametro rispetto a tutti i possibili si sta limitando. Sappiamo tutti che lo stimolo migliore è uno stimolo graduale e costante. Il problema è che si associa alla gradualità dello stimolo anche una unidirezionalità. Visualizzatelo sul piano delle configurazioni come una serie di curve che si deformano.


    Il diagramma sopra riportato è un esempio di come si potrebbe passare da un BII monosemie con frequenza di un allenamento settimanale a un programma di altissimo volume con frequenza di 6 volte a settimana.

    Mi raccomando, è UN ESEMPIO e non un invito a allenarvi anche mentre mangiate. Sappiate però che potete fare cose impossibili se ci arrivate nella giusta maniera.

    Il principio Kaizen del “miglioramento continuo” è mantenuto: gli stimoli variano di poco di volta in volta, ma non variano in maniera monodimensionale. Variano su più assi di riferimento, ma di poco: ogni curva differisce di poco dalla precedente è localmente simile alla precedente, ma il risultato finale è globalmente diverso.

    Per questo vi chiedo un po’ di elasticità mentale: l’esempio dei microcarichi è emblematico. Si associa il Kaizen ai microcarichi e questo è sbagliato, anche perché kaizen significa “miglioramento continuo nella vita privata, sociale e professionale” e dei microcarichi non c’è neanche l’ombra.

    Imparare a ragionare in questo modo dà una visione più “aperta” di quello che vi accade.

    E’ chiaro che questo modo di vedere le cose può spiazzare molti: schemi dove si scalano le ripetizioni e si incrementano le serie o peggio schemi rotativi dove sono gli esercizi a cambiare di volta in volta creano problemi a chi è abituato a stressare una variabile sola. Come consiglio per chi fa così, è importante distinguere il criterio di riferimento per giudicare i vostri progressi dal metodo che utilizzate per migliorare.

    In altri termini: se per voi “essere forti” significa “incrementare il carico in un 3×6”, questo è il criterio. Se lo usate come metodo di allenamento, commettete un errore (a mio avviso, ovvio, ma non me lo fate ridire 1000 volte) perché andrete a sbattere nello stallo. Fate, che so… 3×6, 4×4, 5×3, 5×4 o cose simili, poi testate il nuovo 3×6.

    Lo stimolo ottimale è perciò uno stimolo che si muove nell’intorno di una configurazione multidimensionale di parametri. Wow… figo, no? E vediamo di tirarli fuori questi ***** di parametri, allora…

    Prima di andare avanti devo fare un piccolo inciso. Mi spiace, ma qui per comprendere le cose dobbiamo tirare fuori un po’ di fisiologia con il discorsino sui tipi di fibre. Eh sì, vi tocca sorbirvi la solita sbobba, metto un po’ di disegnini così non vi annoiate.

    Sappiamo tutti (vero?) che le fibre muscolari si dividono in:
    • Fibre lente o ST (slow twitch – impulso lento) o di tipo I o resistenti alla fatica o ossidative, capaci di sviluppare bassa forza per singola fibra ma per lungo tempo. Sono fibre che basano il loro funzionamento su meccanismi aerobici, cioè di produzione di energia in presenza di ossigeno senza creazione di prodotti di scarto. Sono poco ipertrofizzabili
    • Fibre veloci resistenti o FT (fast twitch – impulso veloce) o di tipo IIa o FOG o di tipo glicolitico ossidativi, capaci di sviluppare forza per fibra abbastanza elevata per un tempo relativamente lungo. Sono fibre che funzionano con reazioni in presenza di ossigeno o meno.
    • Fibre veloci o FT di tipo IIb o FG o di tipo gli colitico, capaci di sviluppare forza per fibra elevata per poco tempo. Funzionano senza apporto di ossigeno, sono le più ipertrofizzabili di tutte.
    Le fibre IIa sono dette intermedie perché possono cambiare di tipologia in funzione dello stimolo allenante, e poi ci sono le fibre IIc, le IIx, però il concetto non cambia: ci sono tipi di fibre differenti. Ah… tutti questi nomi li ho scritti per farvi vedere quanto sono competente. Del resto è facile con Google…

    So che non farete il salto logico di vedere tutto in ottica BB, perciò dovrebbe essere chiaro il perché siamo forniti di tipologie di fibre differenti: per adattarci meglio all’ambiente e rispondere prontamente ai vari stimoli. Saltare per non farci azzannare le chiappe da una tigre dai denti a sciabola, camminare per ore per trovare del cibo.

    Da qui le fibre e da qui i meccanismi energetici che supportano la contrazione muscolare. Meccanismi di produzione “veloce” di forza sono poco efficienti perché producono come scarto il lattato. Del resto, se vogliamo produrre molta forza in poco tempo, la fretta si paga. Meccanismi più lenti sono più efficienti: le reazioni aerobiche sono un perfetto equilibrio in cui gli scarti vengono eliminati via via. Possiamo ad esempio stare in piedi per ore grazie ai muscoli posturali che mantengono le corrette contrazioni grazie a questi meccanismi.

    Nel disegno sopra riportato vengono illustrati i tempi di produzione delle tipologie di fibre (non sto a dire che è un’esemplificazione) e la curva di produzione della forza. Al 100% di fibre contratte corrisponde la forza massimale. Il passaggio fra i vari tipi di fibra non è brusco, ma avviene in un continuum in maniera tale che siano bene o male uniformemente distribuite fibre che possono generare differenti valori di forza.

    Le fibre muscolari sono caratterizzate da una “soglia di attivazione”, un valore minimo dell’impulso neurale necessario per innescare la contrazione. Sotto quel valore non si ha contrazione, sopra la fibra si contrae in tutta la sua interezza (è il principio del “tutto o nulla”). Fibre via via più “veloci” hanno soglia di attivazione sempre più alta. L’impulso neurale è in funzione del carico: più carico si deve spostare più il cervello risponde con impulsi più “elevati” che attivano sempre più fibre via via più “veloci” perché significa che dobbiamo produrre una maggior forza.: in funzione del carico da spostare verranno attivate sempre più fibre. Viceversa possiamo dire che vengono attivate tutte e solo le fibre necessarie a sollevare un dato carico, a partire da quelle che producono meno forza.

    Come si vede nel disegno, per produrre quel livello di forza si attivano tutte e solo le fibre sotto la curva. Non vengono attivate fibre a soglia più alta, perché non ce ne è bisogno. Il perché di questo comportamento è come sempre, nell efficienza: l’organismo non sa a priori per quanto tempo deve produrre forza, perciò cerca di produrne il massimo possibile per più tempo possibile. Il peso da sollevare produce una tensione sui muscoli che viene registrata e partono gli impulsi per far contrarre tutte le fibre necessarie a contrastare quella tensione. Il valore dell’impulso cresce fino a che la somma della forza di tutte le fibre non è sufficiente: via via che fibre ad una data soglia di attivazione si contraggono, altre vengono attivate al crescere dell’impulso per generare forza. Nel momento in cui non c’è più bisogno di generare forza, le fibre oltre quella soglia di attivazione raggiunta non parteciperanno alla contrazione.

  5. #5
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    Nel caso di un carico minore si ha questa situazione:
    Meno peso, meno fibre reclutate e tutte di tipo “lento”. L’esatto opposto è questo:
    Più peso, più fibre reclutate, dalle lente alle veloci.

    Si capisce perciò che 3×6 o 2×20 non sono la stessa cosa, come non lo è una 1×8 tiratissima alla morte: ci sarà sempre e comunque una parte della curva che non sarà toccata.

    La massima contrazione si ha quando eseguo un massimale. Per definizione, non si può generare altra forza (ok, c’è un residuo di forza che non viene mai utilizzato ma è un altro discorso). Il problema è che una contrazione massimale non esaurisce tutte le fibre, perché quelle a soglia di attivazione poco più bassa di quella massimale possono contrarsi per più tempo, perciò appena le fibre a massima soglia di attivazione sono esaurite e non si contraggono più, la produzione di forza è minore e io non posso eseguire un’altra ripetizione con quel peso.

    Sarebbe però possibile eseguirne una con un peso inferiore, perché tutte le altre fibre sono ancora contraibili. Il protocollo di esaurimento totale d’elezione delle fibre muscolari sarebbe pertanto un piramidale inverso in cui via via che si eseguono le ripetizioni si scala il peso all’incapacità di terminare il sollevamento.

    In questo modo si avrebbe la sicurezza di esaurire tutte le fibre.


    La figura mostra una contrazione massimale che evolve nel tempo: dopo un certo numero di secondi le fibre a soglia di attivazione più alta e tempo di generazione della forza più bassa sono esaurite, e la forza totale sviluppabile è inferiore. Più tempo passa, più fibre si esauriscono, meno forza riesco a produrre.

    Spero che da questi disegni sia chiaro che l’arte dell’allenamento è la scelta del giusto compromesso: se voglio eseguire molte ripetizioni, dovrò usare un carico inferiore alla situazione in cui voglio utilizzare molto carico ma sarò costretto a farlo per meno ripetizioni.

    E’ interessante notare come carichi bassi non stimolino correttamente l’intero spettro di fibre, ma questo sarà un punto di attenzione che esamineremo fra un po’.

    Il modo ideale di allenarsi dovrebbe perciò essere un protocollo che esaurisce tutte le fibre, nel senso che le fa contrarre tutte e per il massimo tempo possibile, dato che le variabili in gioco sono due: la forza di contrazione e il tempo di contrazione di ogni fibra. Uno stimolo allenante deve stressare entrambe le variabili.

    Estremizziamo, che è sempre utile per determinare i limiti entro cui muoversi. Il metodo di allenamento che permette tutto ciò è il seguente:
    • Caricare sul bilanciere un peso massimale, fare una ripetizione. Per definizione, non posso farne altre. Ho esaurito del tutte le fibre a soglia di attivazione più alta
    • Scaricare il peso di x% e continuare per altre ripetizioni, esaurisco le fibre a soglia di attivazione un po’ meno alta
    • ripetere il punto 2 fino a che non arrivo ad un carico tale da continuare in maniera indefinita
    Al termine di questo processo sono arrivato alle fibre aerobiche. Poiché durante l’esecuzione si produce lattato e questo frena la contrazione, per essere sicuro di aver veramente esaurito tutte le fibre aspetto circa 2 ore e ripeto il procedimento.

    Si capisce che sia assolutamente improponibile allenarsi in questo modo, follia pura. Ma, che so… vedetelo come il Ciclo di Carnot delle macchine termiche. La macchina termica di Carnot è quella ad efficienza maggiore, peccato non possa esistere. Ma tutti i motori si confrontano con questa per vedere quanto sono vicini ad ottimizzare i consumi. Riuscite a vedere in questo protocollo una parvenza dei vostri allenamenti? Il 2×3 + 2×6 o un piramidale inverso 4-6-8 non lo richiamano?

    Quelli che molte volte leggete sono dei metodi per ottenere un esaurimento muscolare. Metodi, cioè protocolli, elenchi di passi da seguire, ricette. Il punto è che derivano tutti da questa roba qui, che si chiama “legge di Hanneman” o “principio della grandezza”. Ma non è che l’ha inventata Hanneman… semplicemente, il corpo umano funziona così!

    Comandamento numero sette: dovete allenare la forza massimale. Eh sì, non ci sono (beep), dovete farlo. Prima vi mettete in testa questo, prima diventerete grossi. Si si, lo so, siete BB, il carico è un mezzo non un fine, bla bla bla. C’è un teorema scientificamente dimostrato che si enuncia così: “colui che afferma che il carico è un mezzo e non un fine è più sega di me in tutti gli esercizi”. Guarda caso, nella mia vita quelli più grossi di me erano più forti di me e quelli più piccoli di me erano più seghe di me.

    Ritorniamo ai meccanismi adattativi che il corpo attua: reclutamento, sincronizzazione, coordinazione inter e intramuscolare, ipertrofia e tutti gli altri. Se esponete il vostro corpo a carichi massimali e submassimali, migliorate tutti i meccanismi neurali, perciò le vostre alzate diventeranno più efficienti. Questi meccanismi sono allenabili. Chi non ha mai fatto attività sportive, all’inizio è una specie di zombie. Poi impara “a coordinarsi”. L’applicazione di uno stimolo di carico determina un adattamento che porta a migliorare i meccanismi di contrazione, a tutti i livelli.

    Questo adattamento si esaurisce se voi non insistete a spingere il piede sull’acceleratore del carico. Un principiante può contrarre circa il 40% di tutte le fibre. E le contrae in maniera non sincronizzata. In più non avrà la giusta coordinazione intermuscolare per rilassare i muscoli antagonisti o contrarre i muscoli sinergici di un dato gruppo muscolare.

    Via via che impara, diventa non solo forte a parità di massa muscolare, ma anche sottopone più fibre al carico e queste in qualche maniera reagiscono ipertrofizzando. Non pensiate però che questo valga per i principianti. L’abilità di portare i propri meccanismi neurali a livelli eccelsi necessita di tempo e di carico applicato. Quanti sottopongono il loro corpo a carichi massimali? Ci torniamo dopo.

    Non solo, per quelli che desiderano diventare più forti in un 3×6 con un certo carico, migliorare il massimale in quell’esercizio è la strada più veloce per migliorare anche il 3×6. L’aumento del massimale implica un aumento di efficienza nell’eseguire il gesto che vi interessa: più massimale implica che a parità di ripetizioni (una) le vostre energie spostano più carico, oppure, che a parità di carico (quello del 3×6) le vostre energie spostano questo carico più volte. Pensateci quando per migliorare il 3×6 fate sempre e solo il 3×6.

    Per tutti i disegnini fatti qualche sproloquio fa, risulta ovvio che se vogliamo colpire tutte le fibre, dobbiamo utilizzare grandi carichi. Massimali. Siete un po’ confusi, aspettate un altro po’ di sproloqui, poi tireremo le somme. Vi anticipo che siete confusi perché associate i massimali a schemi 2×2, 3×3, quelli “per la forza” superpallosissimi.

    Infine, dovete allenare la forza massimale perché… fa parte del mondo della palestra. Non girateci intorno: a tutti noi piace essere forti, avere tanti dischi da 20Kg sul bilanciere. Anche quelli che criticano il PL guardano i video di PL, idem per il WL, idem per gli allenamenti dei pro. A me la pesca fa cacare, la reputo una cosa stupida (de gustibus…), di certo non vado su youtube a spulciare video dove gente mette in mostra le proprie trote pescate. Dato che a TUTTI VOI piace essere forti, allenatevi per essere forti. Semplice, lineare, cristallino direi.

    Comandamento numero otto: l’ipertrofia dipende dal volume totale di lavoro che svolgete oltre che dal carico che usate. Anche questo dovrebbe essere chiaro dai disegnino precedenti. Per esaurire le fibre dovete arrivare al punto in cui una bella percentuale non riesce più a contrarsi.

    Poiché come stimolo allenante utilizziamo la “ripetizione”, cioè l’esecuzione di un gesto ben identificato, segue che dovete sottoporre il vostro corpo a un certo numero di ripetizioni.

    Per evitare l’effetto descritto precedentemente di paralisi da accumulo di prodotti di scarto con conseguente interruzione delle ripetizioni, organizzerete le ripetizioni in gruppi detti “serie” intervallati da un riposo “adeguato”. Non è questo il concetto di “volume di lavoro”? Perciò, ci vuole un certo volume di lavoro per ottenere un risultato ipertrofico

    Il volume di lavoro è una variabile importante nell’allenamento. Una delle tante. Però per tanti è la Dea da venerare, per altri ancora il Male Assoluto. L’arte di scegliere il volume giusto per se o per i propri atleti, in un ben periodo dell’anno del percorso atletico è difficile.

    Incredibilmente, il volume è anche la caratteristica a cui il corpo si abitua prima, se c’è la gradualità giusta. Considerate chi pratica con dedizione lo squat 1×20. C’è chi riesce a fare 1×20x140Kg partendo da 1×20x60Kg, con la gradualità dei microcarichi (in questo caso, sì…). Un volume di lavoro immenso e impensabile. Viceversa, ben difficilmente partendo da 1×20x60Kg si arriverà a 1×1x200Kg qualunque sia la gradualità.

    Questo perché il corpo umano è progettato per adattarsi a sforzi di intensità medio alta ma non altissima, per tempi abbastanza lunghi ma non lunghissimi. Detta così sembra una baggianata, ma riflettete su questo: quando fate un trasloco di mobili pesanti che dura ore ed ore, magari giorni, alla fine lo terminate, no? Trasportare una vasca da bagno in due per 4 o 5 rampe di scale è un’impresa dell’ordine dei minuti. Non è che la lanciate di rampa in rampa, riposando per 10 minuti a volta, ma piano piano arrivate a destinazione.

    Se non credete a me, non dovete nemmeno credere a tutto il filone di ricerca di attitudini in palestra tirate fuori dal comportamento dell’uomo del paleolitico: avete mai sentito tutti quei discorsi sul fatto che l’uomo delle caverne viveva in maniera impulsiva? Periodi di caccia intensi e poi riposo? Ma dài…

    Riflettiamo anche sui famigerati cicli di specializzazione. Pensate che in un ciclo di specializzazione per i bicipiti voi crescete perché “attaccate il muscolo da tutte le angolazioni” o perché vi concentrate sul brachiale che premendo da sotto esalta il picco del bicipite. Seeee…. Attenti! Guardate là fuori! Madonna! Sta passando Harry Potter sull’ippogrifo!

    Quando fate un ciclo di specializzazione, state aumentando il volume totale su quella parte muscolare. La varietà di esercizi vi serve per non farvi due superpalle, ma otterreste bene o male lo stesso effetto facendo un esercizio solo, diverso dal solito.

    Vi prego di notare come il modello che ho proposto (e che ovviamente non è mio…) sia sufficientemente coerente per dare una spiegazione sequenziale delle cose: ad un perché segue una spiegazione che porta ad un altro perché che però ha una spiegazione. Uso il “sufficientemente” perché ci sono tantissimi aspetti che rendono la cosa ben più complessa. Ve ne cito alcuni per darvi un’idea, specialmente a quelli che pensano che sia tutto semplice, poi però si fanno le domande che si fanno tutti.

    Intanto, abbiamo definito come unità di volume minimo di lavoro la singola ripetizione. Questo non è esatto: in una ripetizione di squat con pausa in basso noi effettuiamo una contrazione eccentrica nella discesa (i muscoli si contraggono mentre il movimento porterebbe ad estenderli), una contrazione isometrica nella pausa (il muscolo si contrae ma la sua lunghezza rimane invariata) e una contrazione concentrica nella risalita (il muscolo si contrae e si accorcia). 3 tipi di contrazione, 3 tipi di forza nella singola ripetizione. Quando non è più possibile eseguire il movimento (esaurimento concentrico) è sempre possibile mantenere il carico fermo e quando non è possibile tenerlo fermo (esaurimento isometrico), possiamo frenarlo nella sua discesa, farci riposizionare il bilanciere e frenare nuovamente la discesa, fino a che ciò non è più possibile (esaurimento eccentrico). Le fibre si esauriscono veramente solo nell’ultimo caso.

    Questo fa nascere diverse forme di allenamento, tipo le isometrie o le ripetizioni negative o forzate. E quale è più produttivo? Si dovrebbero conoscere a pieno i meccanismi che scatenano l’ipertrofia (che sono, ribadisco, non del tutto noti). Quando le cose non sono propriamente chiare, io attuo un criterio di praticità: avete mai provato ad allenarvi con le isometriche o le negative? Roba pallosa e/o pericolosa, ansiogena, stressante. Perciò non perseguibile nel tempo. Abbiamo a disposizione tantissime altre variabili, questa roba non ci interessa adesso.

    Comandamento numero nove: non siate schiavi del tirare tutto alla morte…. Oddio! Il cielo si è oscurato, lampi e fulmini squarciano le nuvole di pece, la terra trema e si apre, le cavallette stanno salendo dalla tromba delle scale, dall’acquedotto sgorga sangue umano. Ho pronunciato l’impronunciabile, l’eresia delle eresie, strali di sventura sopra di me!

    Ora rileggete quello che ho scritto: non ho scritto che non dovete tirare alla morte, ma che non dovete esserne schiavi. Perché vi impedisce di capire. Incredibilmente, il tirare alla morte mette tutti d’accordo, sia quelli dell’1×8 e basta che quelli del 4×20.

  6. #6
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    Poi, chiaramente, riprendono a litigare. Quelli dell’1×8 troveranno studi che asseriscono che con una serie si ottiene più che con 3 serie, quelli del 4×20 troveranno degli studi che asseriscono che il livello di lattato nel sangue è superiore con 4 serie da 20 e l’acido lattico è uno stimolatore del GH che porta ad un maggior rilascio di testosterone (non so se l’ho inventata o l’ho sentita veramente…)

    Una piccola noticina sugli “studi scientifici”: io leggo regolarmente gli studi che vengono segnalati. Non voglio nemmeno entrare nel merito della qualità, ma il punto è che questi studi utilizzano tantissime volte dei campioni di riferimento che pochissimo hanno a che fare con noi. Dire che la sintesi proteica è incrementata del 100% con una serie alla morte di leg extension su delle vecchie sedentarie non è poi di aiuto per uno come me… oppure studi che mettono a confronto studenti di college con incrementi di forza di 100Kg ma nella pressa a 45° partendo da una base di 50Kg, dài…

    C’è il famosissimo studio per dimostrare che 3 serie sono meglio di 1 per l’ipertrofia (è una meta-analisi di altri studi, cioè un metodo per confrontare studi differenti) e c’è un altro famosissimo studio che confuta il metodo del primo studio… Dall’esterno sembrano cose assurde, ma chi è un minimo dentro l’ambiente universitario sa che innanzi tutto vale il detto “publish or perish”, pubblica o muori, perciò gli studi devono uscire per garantire posti di lavoro, e poi gli studi sono, appunto, studi. Ce ne vuole perché diventino vere e proprie teorie, cioè asserzioni vere in generale: uno studio prende in esame un ristretto numero di variabili di uno scenario generale.

    In più, mi raccomando: se citate degli studi, leggeteli almeno. Se ripetete a pappagallo, verrete impallinati 2 nanosecondi dopo l’apertura della caccia al pollo.

    Nel caso del “tirare alla morte” c’è da chiedersi perché sia necessario. Una risposta corretta è: perché le fibre non vanno solo stimolate ma anche esaurite. Questa è una bella frase perché è autoconclusiva, c’è tutto. Direi che è addirittura autocelebrativa, ci mancano gli applausi e siamo a posto.

    Ma perché allora c’è chi tira un 3×6 e chi un 2×20? Sembra che sia irrilevante quello che si fa, basta massacrarsi e funziona tutto. E poi, come esaurire le fibre? Anche qui sembra che l’unico modo sia premere l’acceleratore e andare a palla. Una serie deve essere ti-ra-tis-si-ma e questo è sufficiente.

    Vi dico subito, perché altrimenti non mi seguite, che “tirare alla morte”, cercare l’”esaurimento” è una condizione necessaria. Va meglio? Ok. E’ necessaria ma non è sufficiente. Non basta. E’ importante anche come ottenere l’esaurimento.

    Il “tirare alla morte” è uno schema mentale fossilizzato nella nostra mente. Perché la palestra è un luogo di “fisicità” e al fisico associamo l’ardore, l’impegno, le pacche sulle spalle, il sudore. Associamo il guerriero che avanza impavido sul campo di battaglia mentre le lance e le frecce sibilano intorno a lui, trasformando questa immagine in quella dell’impegno nel raggiungere il nostro scopo. Dare tutto. Perciò il tirare alla morte è una strategia di facile comprensione. Tutti la capiscono, tutti la eseguono. E’ appagante: non so se sto facendo bene, ma se arrivo in fondo stremato, mi sono impegnato. Ciò non significa che sia ottimale, come sempre.

    Cerchiamo di liquidare la storiella dello schema di ripetizioni. E’ vero che basta tirare a tutta indipendentemente da quello che si fa ed è tutto ok? La risposta è NO. Dalla trattazione precedente è vero che ci deve essere un certo volume di lavoro per esaurire le fibre, ma deve essere svolto con un carico che possa stimolare una massa muscolare adeguata, prendendo più tipologie di fibre possibile.

    Se voi vi mettete a correre per 3 ore di fila arrivate in fondo con le gambe stremate, massacrati. E’ la stessa sensazione che si ha al termine di un allenamento brutale, bene o male. Ma non serve a niente per “la massa”: avete coinvolto solamente le fibre aerobiche. Associare la fatica al risultato è pericoloso.

    In linea di massima, dovete utilizzare carichi dal 60% in su rispetto al vostro massimale. Ah… non siate fissati, questo vale per i grandi esercizi. Dire “il 60%” delle vostre alzate laterali o delle spinte in basso ai cavi è ridicolo. Fatele e basta.

    E’ in questo senso che tutti sperimentano i migliori risultati con un numero medio di ripetizioni fatte per un certo numero di volte. I classici 3×6 o 3×8 alla morte riescono a coinvolgere un discreto numero di fibre rispetto al totale. Ecco perché sono i protocolli più utilizzati, perché alla fine funzionano. Non ha senso un 3×15 ad esaurimento perché il carico che posso usare è più basso del 3×6 e colpisce molte meno fibre.

    Perciò, sappiate che se voi tirate abbestia una serie con carichi ridicoli, avete ottenuto una gran fatica ma risultati zero. Chiaro, “vi sentirete” pompati, più grossi, più qualcosa. Di solito chi fa così “si sente” più definito. Leggetevi la parabola del polmone di recupero sul mio blog, è nell’elenco degli articoli.

    Il punto è: perché si pensa che per esaurire le fibre si debba fare OGNI serie tirata alla morte? Ogni santissima serie, fino al vomito. Voglio condividere con voi un ragionamento. Immaginiamo di fare una serie in rest-pause, il massimo orgasmico dell’allenamento no-pain-no-gain (o anche no-pain-no-brain-no-game-no-gain, come direbbe un mio amico).

    Una serie 1×10 rest pause prevede che voi mettiate, che so… un carico che potete eseguire per 6 ripetizioni, poi appoggiate un attimo, 10-15” di recupero, poi un’altra ripetizione, e così via fino a 10. La volta successiva si sale di peso o a parità di carico si cerca di fare una ripetizione in più. Mortale!

    Cosa succede in quel brevissimo recupero? I muscoli compressi hanno letteralmente schiacciato i vasi sanguigni, e poco sangue vi affluisce, la pausa riporta sangue e perciò ossigeno. C’è un minimo di resintesi dell’ATP (minimale eh), un minimo di ossidazione degli scarti metabolici perché respirate, un minimo di ricoordinazione neuromuscolare. Perciò il complesso delle fibre muscolari coinvolte ha un minimo di recupero, tale da permettervi di schiodare una ripetizione in più. Quando ciò non è più possibile, dovete scalare il peso perché alcune fibre non reggono più, o interrompere.

    Complessivamente, riuscite ad eseguire più ripetizioni di quelle che normalmente potreste effettuare “di fila” con un dato carico. Avete esaurito quelle fibre, sperate in una risposta ipertrofica. Diciamo che avete fatto un bell’1×10 rest pause con 105Kg, con un massimale di 130Kg.

    Dilatiamo un po’ i recuperi, e mettiamoli in ogni ripetizione. Facciamo un 1×10 con 30” di recupero fra ogni ripetizione. Però lo facciamo con 110Kg. Il maggior recupero ce lo permette. Eseguire una singola ripetizione riappoggiando, recuperando la concentrazione, è ben duro e non ha niente a che invidiare ad un rest-pause secco tout-court. Si suda da morire, si sbuffa, si sbava, ci si sente intasati. La differenza di sensazioni è che facendo così alla fine non si è del tutto devastati, ma si è letteralmente… storditi: il SNC è messo a dura prova. E il peso dopo 10 ripetizioni non sale più.

    Se invece di 1×10 scriviamo 10×1 rec 30” non è la solita roba? No, così è uno schema per la forza. Sbagliato! In prigione senza passare dal Via, i 20Euro me li tengo io.

    Pensate all’esecuzione del famoso 1×20 di squat, dove ci si ferma a riprendere fiato prima di ripartire: c’è chi dopo 10 ripetizioni esegue le rimanenti a gruppetti di 2. Immaginate di fare sempre gruppetti di 2 ripetizioni, intervallati di 30”, ma riappoggiando ogni volta. E’ un 1×20 che si scrive 10×2 rec 30”, ma non è quasi la stessa cosa? Provatelo, ci schianterete lo stesso. Però potrete farlo con dei Kg in più.

    Così facendo, avete ottenuto una serie di risultati in più:
    1) avete usato più peso, perciò avete coinvolto più fibre. Le avete esaurite tutte, perché non potete continuare
    2) nel rest-pause classico la forma si degrada nelle ultime ripetizioni perché i muscoli più deboli si stancano. La serie prosegue in maniera disgustosa oppure vi dovete fermare. Nell’altro caso il recupero maggiore vi permette di far degradare molto meno la tecnica esecutiva
    3) avete eseguito un vero “pause” nel senso che dovete veramente ripartire ad ogni ripetizione o gruppo di ripetizione, e questo è veramente intenso.

    Non è che ORA dovete fare così, o che fino ad ora siete stati dei coglioni e solo io vi posso raccontare la verità. Però vorrei comunicarvi che il raggiungimento di un prefissato obbiettivo, in questo caso l’esaurimento muscolare, si può attuare in molti modi.

    Come consiglio, provate un 10×1 rec 1’ di stacco da terra, con un peso con cui potete fare 5 ripetizioni. Nello stacco non c’è la paura di farsi male perché il bilanciere vi crolla addosso. Provate, vi posso assicurare che questo schema vi metterà a dura prova e il giorno dopo sarete piacevolmente rincriccati.

  7. #7
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    Non siate vittime dei preconcetti, e questo è veramente duro da estirpare. Il problema di schemi del genere è che ci si deve un minimo applicare, ci vuole un minimo di esperienza, si deve ragionare: funzionano se si mettono i carichi “giusti”, superiori a quelli di un 1×10, ma non troppo alti per non sviluppare volume. E’ un po’ (ma solo un po’) più complesso e si sa che le persone vogliono eseguire e basta. In questo senso, caricare un peso e fare le ripetizioni a tutta paletta è ben più semplice, riuscirebbe a farlo anche chi non ha i lobi frontali, che c’è da capire?

    C’è chi odia gli schemi a fatica cumulativa, ma questi non sono altro che un modo di esaurire le fibre muscolari. Sono un modo per esaurire le fibre sviluppando volume di lavoro su un certo volume di fibre muscolari. Anche qui, i preconcetti portano a considerare come “fatica cumulativa” solo il GVT di Poliquin.

    Considerate anche questo: nell’1×10 tiratissimo voi vi concentrate sul finire le ripetizioni, non sulla singola ripetizione. E’ umano, dài… Nel 10×1 vi concentrate sulle singole ripetizioni. Un piccolo cambiamento di mentalità non significa buttare tutto nel cesso, ma riuscire ad avere una visuale da più angolazioni, permettendo di affrontare i problemi della palestra in modi differenti.

    Comandamento numero dieci: non è vero che gli schemi “per la forza” sono insopportabili. Questo è un altro mito come il precedente. Il problema è sempre l’estremizzazione. Vi prego di credere che non voglio essere colui-che-porta-la-Verità: per ANNI ho fatto io stesso questo errore.

    “Fare forza” in palestra consiste di periodi relativamente brevi dove si eseguono schemi in 3×3, 2×2, recuperi immensi, lotta per mantenere la postazione della panca perché altri chiedono “hai fatto?” mentre voi dovete recuperare 5’. Sedute che durano tanto, si fa poco, non si ha la sensazione di aver lavorato. Poi le sedute massimali, veri eventi con stress e ansie, 3 ore per scaldarsi e poi la provona galattica: se va bene, fiuuuu andata, altrimenti depressioni suicide. Marò se ci ripenso…

    Per questo alla fine si pensa che non sia possibile ottenere un risultato ipertrofico con le basse ripetizioni. Perché di solito sono utilizzate così: 2×2. Stop. Anche qui, bisogna uscire dagli schemi. Per sviluppare una grande forza si devono usare dei carichi elevati, perché solo questi ottimizzano tutti i processi adattativi ben noti (spero…), ma carichi elevati implicano usare fibre che si stancano velocemente. Perciò le ripetizioni saranno poche. Dovete perciò fare più serie per sviluppare un corretto volume di lavoro. Un effetto collaterale benefico è che distribuire il lavoro su più serie di poche ripetizioni vi porta a una miglior tecnica perché siete più freschi.

    Però non dovete avere ansie, il grosso carico deve diventare “normale”, non un evento particolare ed accidentale della vostra permanenza in palestra. Imponetevi perciò che i recuperi siano relativamente brevi, massimo 2’. Utilizzate schemi come 5×2 rec 2’ o 5×1 rec 1’30” cioè lavori che durano poco, con grandi carichi e un recupero tale che non avete tempo di stressarvi. Il carico può essere costante oppure piramidale, non è rilevante.

    Un semplice esempio di uno schemino “per la forza”:
    1° settimana: 4×2 rec 2’: 10’ di lavoro
    2° settimana: 2×2 + 2×2 rec 2’ con carico più alto nel primo 2×2, sempre 10’ di lavoro
    3° settimana: 3×1 + 1×2 rec 2’ con carico ancora più alto nel primo 3×1, sempre 10’ di lavoro

    Come vedete, lavori “veloci” che con il classico 3×3 rec 5’ non hanno niente a che vedere. Non è che per “fare forza” dovete per forza “fare i massimali”, ma cercare di coinvolgere quante più fibre possibili.

    Questo mito va di pari passo con il precedente: è l’estremizzazione opposta. Faccio notare come tutti dicano che le fibre veloci siano le più ipertrofizzabili, poi nessuno si allena per coinvolgerle. Chiaramente con uno schema del genere fatto con regolarità è uno stimolo ipertrofico, perché sebbene il volume di lavoro sia minimo, vengono coinvolte, grazie al carico, fibre che si esauriscono velocemente.

    Comandamento numero undici: non confondete l’adattamento con la fatica. Mi vorrei focalizzare sul fatto che la maggior parte delle volte (badate bene, la maggior parte, non qualche volta) si confonde la fine dei risultati da adattamento con uno stato di affaticamento che necessita di un periodo di riposo o quant’altro. Questo errore lo fanno TUTTI, mi spiace. Sia quelli malati per il BII, sia quelli che hanno un bisogno compulsivo di stare in palestra.

    Faccio un esempio: immaginate di andare in palestra 2 o 3 volte a settimana (cioè una frequenza “giusta”) ma di fare regolarmente, ogni volta, stacco da terra in 3×1 con la miglior progressione che potete ottenere. Prima ci sono i risultati, poi questi cessano e si fa un bel botto. “Bel botto” non è scientifico, ma… pensateci: fate il botto, sclerate. L’allenamento inizia a diventare pesante, ansiogeno, preferireste andare a fare la spesa con la vostra fidanzata/moglie piuttosto che fare quel ***** di 3×1.

    Quali sono le normali spiegazioni a tutto ciò?
    “sei superallenato”
    “devi scaricare”
    “hai il SNC stressato”
    “non ti impegni abbastanza”
    “devi ridurre la frequenza”
    “passa ad un ciclo di pompaggio”
    “non ciclizzi”

    Molte volte si legge di gente che fa lo scarico e poi torna più forte di prima (mmm… poi si scopre che hanno caricato, che so… 5Kg in più, non 500…), ma molte volte però c’è chi si riposa, torna in palestra e fa sempre cagare nel solito 3×1.

    Ma se tornate in palestra e invece di fare lo stacco in 3×1 provate un bello stacco sui rialzi (vi mettete su due pizze da 20Kg) in 4×4 o quello che volete, delle belle serie pompate e piene, la sensazione di sfavamento (è tecnico eh… chi non è laureato non può capire) scompare come per magia. Perché non siete stanchi, superallenati, non avete bisogno di scaricare. State semplicemente picchiando contro il muro dell’adattamento.

    Non comprendere questo fatto è uno degli errori più deleteri che potete commettere. Perché vi porta fuori strada. Certo, potete essere arrivati a fine ciclo E essere anche cotti. Ma i due effetti sono disgiunti comunque. Oppure potete essere superallenati. Ma, a parte i test più o meno scientifici, la cosa più sicura è… ascoltarsi: se il pensiero di un altro tipo di allenamento vi fa stare meglio, non siete affaticati. Se invece comunque la mettiate state odiando la palestra… allora sì, è bene darci un taglio per un po’ (ok ok, tutte le strategie di scarico le conosciamo, qui stiamo ragionando con la pancia).

    Per decidere se ho “fame” oppure mi voglio ingozzare di patatine, mi visualizzo a mangiare del riso, del tonno. Se mi vengono i conati, non ho fame, ma ho voglia di tacos in salsa piccante. Viceversa, quando ho fame la scatoletta di salmone ha un retrogusto vellutato, mmmm buona!

    Mi raccomando: non-confondete-stanchezza-con-adattamento. Per evitare errori affrontiamo meglio il discorso: esiste una fatica sistemica e una fatica specifica.
    La fatica sistemica è complessiva dell’organismo nella sua interezza, e dipende dalla somma di tutti gli stress ambientali. Poiché noi andiamo in palestra, si tende ad identificare come unico “stressor” l’allenamento, perdendo tutto il resto. Come sempre, commettiamo il solito errore di considerare la palestra come un qualcosa di alieno al resto del mondo.

    Sembra una ovvietà quando si scrive in chiaro ma non poi quando si discute: l’allenamento è uno degli stress a cui sottoponete il vostro organismo, e non è nemmeno uno dei più intensi. Quante ore dormite? Io dormo meno di 6 ore a notte. Vado a letto poco dopo mezzanotte e ho la sveglia alle 6. Il confronto con uno studente di 15 anni meno di me che non fa un (beep) dalla mattina alla sera non riguarda solo l’allenamento, ma anche tutto il resto.

    Il superallenamento è una fatica sistemica che non si recupera. E’ una situazione debilitante. Ed è subdolo e grave. Però, perDio, non mi si venga a dire che se la panca stalla, siete superallenati nei pettorali. Il superallenamento è sistemico perché, per definizione, deriva da uno squilibrio fra stress e recupero. Ma stress totale.

    Penso che nessuno metta in discussione che se fate 4 ore di macchina al giorno e il vostro capo vi stressa, la sera il vostro desiderio primario sarà abbrutirvi al televisore perché siete stanchi. Però poi, se andate in palestra e le trazioni non vanno, associate questo al programma di allenamento (un classico) e non a tutto il resto. Perché? Magari quello accanto a voi va alla grande, e allora la colpa è della vostra genetica. In realtà date dei giudizi sbagliati perché non considerate l’aspetto sistemico del problema.

    Perciò, mi raccomando quando usate la parola “superallenamento”. La metto nell’elenco delle scuse per non capire, insieme a “limite genetico” e “doping”.

    La fatica sistemica è quella che dovete evitare il più possibile, o meglio, dovete gestire. Essenzialmente dipende, a parità di tutto il resto, dal volume e dall’intensità di lavoro. I periodi di scarico servono a combatterla.

    Come l’adattamento è specifico, la fatica è anche specifica. Questo aspetto va compreso e dominato nei vostri allenamenti. E’ qui che si fa casino fra adattamento e fatica.

    la fatica è specifica. Possiamo vedere questa frasetta come una diretta conseguenza dell’accommodation law: come gli adattamenti sono specifici, la fatica è specifica. O meglio: esiste un affaticamento sistemico, ma esiste un affaticamento specifico. Questo non va confuso, appunto, con il raggiungimento dell’adattamento.

    Banale: se oggi fate panca superpesante, domani potete fare squat senza problemi. Entrambi gli esercizi peseranno sulla fatica sistemica, però uno non esclude l’altro. Lo squat ha un peso maggiore, perciò se invertite avrete una sessione di panca che può essere più scadente, ma, badate bene, sempre a parità del resto. Se fate panca oggi, state in discoteca a bere tutta la notte, domani lo squat non sarà il massimo. Viceversa, se fate squat oggi, dormite in un convento al calar del sole, domani avrete una sessione di panca fenomenale.


    Fatica sistemica, specifica e adattamento presentano dei punti di sovrapposizione che portano a fare casino. Il risultato sono persone che fanno lo scarico quando non dovrebbero o altri che picchiano duro quando è ora di smettere.

    Lo scarico, il recupero, è analogamente sistemico e specifico. Potete scaricare del tutto MENO che in un esercizio, ad esempio. E anche qui non va confuso il recupero con la necessità di variare. Potete aver fatto un 3×1 al massimo ed essere a fine ciclo, poi passate ad un altro esercizio e riattaccare con un 3×1, poi ad un altro ancora, fino a che non dovete per forza riposarvi perché è l’ora…

    Su questo aspetto ho una esperienza personale: quanti dicono che lo stacco è l’esercizio che stressa di più il SNC e dove fare massimali porta velocemente al superallenamento? Nel 2006 ho fatto un ciclo di 9 settimane di massimali di stacco tiratissimi. Tutti nell’ingresso di casa, alle 21, dopo il lavoro e le incombenze familiari. Feci così:

    3 settimane di stacco sumo (che non è la mia alzata): fino a 240Kg
    3 settimane di stacco sui rialzi: fino a 240Kg
    3 settimane di stacco sumo sui rialzi: fino a 240Kg

    Poi, ok, stop. Non ne potevo più. Però fu illuminante. Ogni esercizio era portato all’adattamento massimo, poi variato con qualcosa di similare ma diverso, e giù di nuovo si poteva incrementare. Evitavo l’adattamento. Mi allenavo anche per panca e squat. Il basso volume di stacco e la specificità della fatica mi permettevano di allenare il resto. Chiaramente alla fine la fatica sistemica si fa sentire e si deve scaricare.

    Poiché in queste cose sono diventato più “skilled”, 8 mesi dopo una cosa del genere durò per gruppi di 2 settimane, probabilmente ora dovrei scendere a 1 su qualche esercizio, o utilizzare combinazioni differenti non prettamente massimali.

    Come vedete, il discorso sulla “fatica” è ben complesso perché, come sempre, multifattoriale.

  8. #8
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    Bravissimo !!!!!

    L'ultima parte è veramente eccezionale. Perché non scrivi un libro ?

    Anch'io mi sono sempre chiesto come abbiano fatto a mettere su Ben Affleck i muscoli di Dare Devil. Per poi scoprire che basta avere un costume un po' "gonfiato" nei punti giusti. Esattamente come si usava nell'antica Roma (il pretoriano con la panza aveva disegnati i distretti muscolari sulla corazza).

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