Se nel mondo dei palestrati il Santo Graal degli esercizi è “l’esercizio che fa più massa”, nel mondo delle preparazioni sportive la Pietra Filosofale che trasforma i brocchi in atleti è “l’esercizio che ha più transfer”.

Così, massa e transfer per quanto problematiche del tutto differenti condividono invece moltissimi aspetti metodologici e didattici interessanti, come deformazioni, idiosincrasie, fisse, miti.

Waht’s transfer?
Prima di tutto: cosa è il transfer? Probabilmente non sto utilizzando il termine corretto, ma una volta definito sta a voi associarlo al vocabolo giusto.
Cosa hanno in comune le attività del disegno di apertura?





Sono tutti movimenti multiarticolari che coinvolgono la catena cinetica posteriore, l’insieme di ossa e articolazioni che va dal tronco ai piedi. In ogni movimento vi è un uso contemporaneo delle articolazioni dell’anca, ginocchio e caviglia coordinate fra loro in quella che si chiama tripla estensione: le tre articolazioni estendono l’arto che controllano.
  • L’anca estende il bacino, cioè fa ruotare il femore indietro o, analogamente, il tronco.
  • Il ginocchio estende la tibia facendola ruotare in avanti.
  • La caviglia estende il piede facendolo “premere” al suolo.


Questo è uno squat: anche in questo esercizio le tre articolazioni devono “aprirsi” quando l’atleta torna in piedi dall’accosciata. La domanda è: quanto questo esercizio può aiutare nella performance dei movimenti appena descritti? O, riformulata: quanto transfer ha lo squat negli sport?

Il transfer è quindi la capacità di “trasferire abilità” da un movimento ad un altro in modo che, allenando il primo si abbia un miglioramento nel secondo.

In ambito sportivo c’è la ricerca del miglior modo per ottenere questo transfer e il motivo è corretto e lecito. Immaginiamo infatti di disporre di un esercizio che “mima” in maniera più semplice un gesto atletico o una sua parte: potremmo allenare pesantemente quell’esercizio in modo da acquisire le abilità richieste nel movimento complicato.

Tutta la teoria del transfer si basa sull’assunzione che allenare una serie di cose semplici e rimetterle insieme faciliti la velocità di apprendimento del gesto tecnico. Poiché in ogni movimento è richiesta una certa dose di “forza fisica”, gli esercizi “con transfer” sono solitamente con sovraccarico.



Non voglio impantanarmi in teorie in cui non sono ferrato, ma il buon senso ci dice che se io devo schiacciare la palla al di là di una rete mi occorra una certa dose di forza per saltare più in alto possibile, perciò potrei allenarla in maniera specifica saltando con un sovraccarico sulle spalle.

L’esercizio a destra è infatti lo squat jump ed esistono fior fiore di studi che mostrano come questo esercizio migliori l’elevazione. Lo squat jump, un quarto di squat con il salto finale, ha così transfer nella pallavolo.

Allenarsi o imparare
Se aveste a disposizione un solo esercizio per migliorare l’elevazione della vostra squadretta di pallavolo, fra squat completo sotto il parallelo e squat jump, cosa scegliereste? Il buon senso vi farebbe optare per il secondo ed infatti così fanno tutti i preparatori atletici.

Il pubblico adesso si aspetta un bel “invece no, l’esercizio giusto è lo squat sotto il parallelo perché… tah tahhhh questo questo e quest’altro”. Invece no: come sempre, non esiste nulla di giusto o sbagliato, semplicemente esiste la comprensione chiara del contesto a cui segue una scelta a questo punto corretta per lo scopo prefisso.

Il ragionamento in ambito sportivo è: “poiché io uso le articolazioni in una certa escursione angolare, potenzio la forza in quella escursione” o “poiché mi serve di saltare da quella profondità, non mi serve allenare una profondità inferiore” o anche “scelgo l’esercizio che ha transfer maggiore negli angoli che mi servono”.

Chi ragiona così è preda della sindrome del transfer™®© che è questa: “mi interessa solo quello che mi serve”. Questo è proprio metodologicamente sbagliato: se l’Uomo delle caverne si fosse interessato unicamente a ciò che gli serviva, saremmo ancora al fuoco e alla ruota. Il problema di è la sua limitatezza: per sapere cosa mi serve devo conoscere più di quello che mi serve, altrimenti come faccio a capire se quello che non conosco ancora potrebbe servirmi?

In ambito palestra è molto facile smontare le astruse teorie per cui non si dovrebbe fare lo squat sotto il parallelo, è semplice perché sono delle vere cazzate tipo che ci si infortuna di più, che “non serve”, che Coleman lo fa al parallelo e così via. Il punto fondamentale è che chi dice queste cose non riesce a squattare sotto il parallelo ma vorrebbe oppure è il classico sborone che fa quarti di squat al multipower con 3000Kg per compensare supposte carenze genitali.

In ambito sportivo è invece veramente dura smontare la teoria “squatto solo fino a dove mi serve”

Squat sotto il parallelo per gli sport



A sinistra la posizione di partenza, al centro quella di passaggio per uno squat sotto il parallelo, a destra quella inferiore di uno squat jump. Abbiamo analizzato alla nausea il corretto spostamento indietro del bacino in modo da assumere il corretto assetto in discesa: l’anca deve ruotare fino da subito perché all’approssimarsi del parallelo se questo non accade lo squat diventa un movimento del tutto di quadricipiti ed è impossibile scendere nella buca.