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Discussione: I principi dell'allenamento sportivo nella "Teoria" di Harre.

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  1. #1
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    1) Principio della progressività del carico.




    L’importanza di una somministrazione progressiva del carico di allenamento è un concetto remoto noto pure agli atleti dell’antichità, come dimostra la leggendaria storia del celebre Milone di Crotone, conosciuto per aver trasportato per anni sulle proprie spalle un vitellino, divenuto nel tempo un manzo adulto e pesante.
    Prescindendo dai racconti mitologici, l’importanza del concetto in questione ha indotto il collettivo di Harre a considerare e trattare la progressività come il primo dei principi del carico.


    Come già in precedenza ricordato, per carico nella scienza dell’allenamento non si intende esclusivamente quel “quantum”, espresso in cifre convenzionali, che l’atleta di una certa disciplina si trovi a dover affrontare nelle sessioni di allenamento (chilometri, chilogrammi, ripetizioni, serie, ecc.) ma tutto il complesso degli stimoli applicabili ad un’attività sportiva dosati in maniera da avere effetti allenanti e contribuire così allo sviluppo, consolidamento e mantenimento di uno stato di allenamento.

    Questi stimoli allenanti (stressor) somministrati dall’esterno (carico esterno) sono determinati e misurabili per entità ed intensità.
    Inoltre – e si evince da quanto già detto in precedenza sull’argomento – affinché il carico sia efficace deve trovarsi in una relazione precisa con la capacità individuale di prestazione tale da sortire gli effetti desiderati; per cui carichi standardizzati perdono gradualmente ma fatalmente la loro efficacia allenante dal momento che concorrono in maniera insufficiente al miglioramento della prestazione.
    Non deve pertanto essere accettato il concetto, invero piuttosto diffuso, che raggiunto un elevato livello prestativo il carico possa stagnare o persino ridursi: di regola, le prestazioni migliori ed i record sono stati ottenuti da atleti i quali - aldilà dello sviluppo tecnologico, delle migliorate condizioni di vita e dei passi avanti nelle scienze biologiche – avevano guarda caso incrementato il proprio carico di allenamento rispetto ai campioni e detentori del passato, allenandosi cioè con maggior intensità o quantità o frequenza.


    Esistono varie possibilità di incrementare gradualmente il carico.
    Nell’addestramento tecnico tattico il carico è aumentato mediante richieste più esigenti riguardo alla coordinazione del movimento (ritmi, partenze, apprendimenti e risposte motorie, combinazioni varie ecc.); invece, nello sviluppo delle qualità di forza, resistenza e velocità l’influenza sul carico è principalmente ascrivibile ai parametri di quantità ed intensità.
    Poiché è tuttavia controverso tra le varie scuole di pensiero e difforme tra le differenti discipline sportive stabilire con precisione in che misura sia opportuno agire sull’uno o sull’altro elemento, possiamo comunque stabilire con una certa dose di convinzione che:
    con l’aumentare della prestazione necessita che il carico divenga tanto più esteso quanto più intensivo.
    E’ importante che tale postulato, che implica il progredire dello stressor su entrambi i parametri, rispetti giocoforza i requisiti di gradualità e progressività, affinchè gli aumentati stimoli siano ben tollerati, metabolizzati e reindirizzati a finalità specifiche di progresso.


    Nell’allenamento riservato alle categorie giovanili è stato riscontrato come si pervenga ad un adattamento più stabile e ad un maggior effetto finale sulla prestazione se si assume un comportamento prudente nell’elevare l’intensità ed al contrario si privilegi:
    a - elevazione della frequenza (spingendosi addirittura a quella giornaliera per talune attività),
    b - elevazione della quantità del carico per seduta nel rispetto della densità (rapporto di tempo tra fasi di lavoro e di recupero),
    c - elevazione della densità.


    Ciononostante, le analisi dei risultati tecnici hanno consentito di rilevare che un’elevazione lineare e perfettamente progressiva (quale quella dell’esempio del vitello di Milone, di cui si è fatto cenno all’inizio) non sia così efficace per lo sviluppo dell’allenamento, fermo restando i progressi iniziali di neofiti e giovanissimi, quanto dimostra invece esserlo l’aumento a sbalzi in intervalli di tempo determinati.
    Infatti, il carico aggiunto deve riuscire a disturbare l’equilibrio psicofisico, paradossalmente opporsi momentaneamente alla capacità di prestazione ed obbligare altresì l’organismo ad un nuovo conseguente adattamento.
    Questo processo è favorito dall’ elevazione quantitativa a sbalzi che prevede appunto intervalli di tempo durante i quali si crea l’adattamento; l’intervallo di tempo degli “sbalzi di carico” sufficiente ad innalzare il carico stesso e necessario per l’adattamento relativo ad esso è stabilito a priori, in base alle esigenze individuali e di calendario agonistico.

    Ciononostante, come dimostrato da Hettinger, il processo di adattamento e quello successivo di consolidamento non sempre camminano in parallelo: qualora ad un rapido aumento di prestazione - che sia dunque testimonianza di un veloce adattamento - dovessero seguire instabilità di risultati, predisposizione agli infortuni ed altri indici sintomatici di sovraffaticamento, vorrebbe presumibilmente significare che il carico è stato elevato con eccessiva rapidità e dunque ad un pur discreto adattamento iniziale (forse dovuto alle caratteristiche dell’atleta ed al suo livello prestativo) non è comunque seguito un’altrettanto stabile ed imprescindibile fase di consolidamento.

    In ogni caso, è difficile produrre indicazioni esatte sulle quote e percentuali ottimali di elevazione del carico.
    Matvejew ad esempio ha accertato, peraltro in specialità parecchio differenti, un’elevazione della quantità di carico oscillante tra il 20% ed il 50% da un anno all’altro.
    I valori consuetudinari sono però condizionati più dalle situazioni e contingenze di allenamento nonché dal tempo a disposizione che non dall’effettiva capacità di sopportazione e sfruttamento di carico dell’atleta.
    Ne consegue che in coloro che sono in grado di allenarsi in condizioni favorevoli si registreranno verosimilmente livelli temporanei di carico annuale maggiori di quanto riportato nelle statistiche sui valori medi.
    D’altronde l’esperienza insegna che esiste una stretta correlazione fra il ritmo di elevazione della prestazione e l’aumento annuale del carico, per cui si rivela senza dubbio proficuo sfruttare in tal senso, ovvero con l’ottimizzazione dei carichi in ascesa, le riserve di tempo a disposizione di tecnico ed atleta.
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  2. #2
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    2) Principio della continuità o durata del carico per l’intero anno




    Il secondo fondamentale principio del carico preso in esame da Harre rivolge all’atleta la richiesta di allenarsi senza interruzione per tutta la durata della stagione agonistica e dell’anno solare, inserendo all’interno di quest’ultimo, quasi si trattasse di un micro ciclo di scarico, un breve periodo di transizione da un anno all’altro o da un macrociclo all’altro (qualora siano previsti due macrocicli all’interno dell’anno), senza che si verifichi alcuna netta frattura ma semmai in modo tale che lo stato di allenamento possa continuamente svilupparsi e tendere verso un carico complessivo più elevato.

    Alla base di detta esigenza vi sono i rapporti codificati fra il carico e l’adattamento ovvero il concetto di unitarietà tra l’organismo umano ed il mondo circostante, per cui dalla continuità di allenamento deriva un elevato carico generale e quindi un aumento della prestazione.
    Al contrario, eventuali interruzioni del processo di allenamento condurrebbero ad un’involuzione degli adattamenti ed ostacolerebbero lo sviluppo di prestazione; inoltre ripetute ed estemporanee interruzioni facilitano l’insorgere di disturbi nello stato di salute e maggiori difficoltà nella ripresa degli allenamenti.

    Quanto appena affermato spiega perché - a giudizio degli autori - non sia consigliabile l’abitudine spesso invalsa in molti sport, specialmente tra atleti non di elite, di effettuare lunghi periodi di vacanza o sosta totale nel tentativo di cercare un ristoro soddisfacente.
    In realtà il recupero passivo totale non dovrebbe superare la settimana, fatti ovviamente salvi i casi di infortuni, mentre i micro cicli o le fasi di transizione dovrebbero essere posti al termine di ogni macrociclo o anche al suo interno ma consistere in forme più blande o magari variate di allenamento, evitando un prolungato abbandono del gesto motorio principale o cadute verticali di carico.


    Il punto di partenza per la costruzione dell’allenamento secondo il principio di continuità sono le leggi di sviluppo dello stato di allenamento.
    A tal proposito giocano un ruolo di primo piano due fattori:

    a) I più elevati risultati sportivi nella disciplina di gara sono raggiungibili solo a patto di elevare il livello del complesso generale delle componenti determinanti lo stato di allenamento; ciò riguarda le qualità fisiche ed intellettuali, lo sviluppo di nuove capacità sportive tecnico tattiche e la loro assimilazione, l’acquisizione di determinazioni volitive e caratteriali.
    Si tratta di presupposti da creare e far crescere mediante esercitazioni specifiche e generali, per le quali necessita un considerevole periodo di tempo nel macrociclo e dunque continuità di preparazione.

    b) L’elevato livello delle singole componenti dello stato di allenamento è comunque sufficiente per condurre a notevoli risultati atleti giovani e principianti o intermedi; tuttavia, per ulteriori sviluppi, è necessario collegare tutte le componenti in modo complesso, prendendo in considerazione le esigenze di gara. A questo scopo ottemperano i carichi specifici, suscettibili però di provocare un logorio a lungo andare, tanto più rapido quanto maggiore è la densità delle gare e la parte dedicata ai carichi specifici nella preparazione.
    L’atleta può ovviare ad un inevitabile decremento riducendo temporaneamente la parte riservata ai carichi specifici ed elevandoli di nuovo, in assenza di gare, dopo un periodo di parziale recupero attivo.


    Entrambe le direttive sopra esplicate richiedono, pertanto, un periodo di allenamento prolungato e continuo, al cui interno poter inserire e svolgere tutte le esercitazioni reputate necessarie per le fasi di tempo previste nonché gli opportuni periodi transitori e di scarico atti a creare il fenomeno di compensazione per l’ottimale ed efficace distribuzione dei livelli prestativi nei momenti salienti della stagione e per tutto l’arco della stessa.

    L’organizzazione generale dell’annata di allenamento, che preveda tutte le componenti illustrate ricomprese nell’articolarsi delle relative fasi, in una successioni di periodi preparatori, specifici, competitivi e transitori rivolti al raggiungimento del massimo livello prestativo e coincidenti con le principali competizioni ed attraverso la continuità dello stato di allenamento, è contrassegnata dal termine di “periodizzazione” dell’allenamento.
    La costruzione dell’allenamento annuale in periodi tramite la ciclizzazione degli stessi, che prenderemo in esame nel punto seguente, si fonda appunto sul requisito essenziale della continuità di carico per l’intero anno.
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  3. #3
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    3) Principio della periodizzazione o costruzione ciclica del carico



    Nella maggior parte delle discipline sportive risulta opportuno che un ciclo di allenamento completo, che si protragga per l’intera stagione agonistica annuale o che sia suddiviso in due o più parti, venga articolato in periodi di preparazione nei quali si alternino varie fasi: di preparazione generale, pre competitive, competitive, transitorie o di recupero, di sostegno, ecc.
    Ogni periodo possiede pertanto delle specifiche peculiarità tutte rivolte ad un obiettivo finale univoco cui si vuole che l’atleta pervenga nelle condizioni ottimali di forma.
    Questo modo di suddividere la preparazione in periodi, di raggruppare tra loro le settimane ed i mesi di allenamento per caratteristiche comuni e di prevedere in ciascuno di essi diversi articolati elementi allenanti e finalizzati alla competizione o alle competizioni principali, viene appunto definita in gergo tecnico come “periodizzazione”.



    Il periodo di preparazione generale distante dalle gare (e che oggi definiamo talvolta off season – n.d.r.) è, solitamente, a sua volta suddiviso in due tappe.


    Nella prima di esse, che in genere è la più estesa nel tempo, si cerca di elevare la capacità di carico dell’atleta, creando i presupposti fisici, tecnici, psichici e tattici per un rendimento prestativo di qualità.
    L’allenamento sarà orientato tecnicamente in maniera conforme alle condizioni di base determinanti per la riuscita nella disciplina, il volume delle esercitazioni generali sarà più alto in rapporto ai carichi specifici, la quantità del carico maggiore rispetto all’intensità.
    In questa prima tappa si cerca di sviluppare le singole componenti dello stato di allenamento, come per es. la resistenza aerobica dei corridori, vogatori e pugili, la forza massimale e la potenza dei lanciatori e saltatori, alcune capacità tecnico tattiche oltre che alla resistenza al lavoro dei giocatori di squadra, gli elementi tecnici dei ginnasti.
    Esistono tuttavia notevoli differenze, durante l’arco di tempo coperto dalla tappa in esame, tra le varie discipline in relazione ai diversi mezzi di allenamento generale e specifico.
    In quelle di resistenza i mezzi specifici (esercitazioni di gara) debbono comunque costituire la parte preponderante del carico (70/80% del tempo dedicato), ancorché a intensità moderate, affinché le capacità aerobiche possano ricevere un adeguato sviluppo; altrettanti mezzi specifici ma di tipologia tecnica e tattica sono invece appannaggio di quelle discipline che richiedono abilità di quel particolare tipo; inoltre, in alcune discipline di forza veloce le esercitazioni iniziali di sviluppo generale richiedono un periodo più ampio rispetto a quello delle esercitazioni di gara.
    Ciononostante, nell’interesse della stabilizzazione della prestazione e del “feeling” con il gesto motorio ed i suoi automatismi, alle esercitazioni tipo gara non si dovrebbe mai rinunciare del tutto in alcun periodo, aldilà della percentuale di tempo da dedicarvi.


    Le esperienze dedotte da tutte le discipline indicano che l’allenamento ed i risultati ottenuti al termine della prima tappa del periodo di preparazione, valutabili attraverso appositi test specifici, si rivelano poi determinanti per il prosieguo della stessa ed i progressi nelle specialità di pertinenza.
    Si è soliti dedicare a questa tappa un lasso di tempo pari ad almeno un terzo dell’intero periodo periodale, dunque circa 4 mesi nel caso di periodizzazione semplice su base annuale e da due a due mesi e mezzo in nella periodizzazione duplice (semestrale).


    Nella seconda tappa del periodo preparatorio (da taluni considerata oggi come periodo a se stante e definito “pre competitivo” – n.d.r.), è importante che le singole componenti dello stato di allenamento si colleghino tra loro per dar corpo alla prestazione di gara.
    Sono portati avanti i compiti previsti nella tappa precedente ma l’allenamento assume contorni e caratteri più specifici: le esercitazioni generali sono ridotte di numero a vantaggio di quelle specifiche, aumenta il fattore intensità nel carico mentre resta costante il volume complessivo.
    Nelle discipline tecniche, quali pattinaggio e ginnastica artistica, si da luogo alle esercitazioni che prevedono combinazioni di esercizi ed il loro uniforme sviluppo.
    Se nel successivo periodo di gara i risultati ristagnano o decrescono spesso il motivo va ricercato in un insufficiente o mal organizzato periodo precedente in cui l’intensità è ascesa troppo rapidamente oppure il carico specifico era eccessivo o ancora si è avuta una riduzione drastica del complesso generale di carico al termine della prima tappa del periodo.



    Lo sbocco conseguente è dato dal periodo di gara in cui si cerca di finalizzare l’insieme delle esercitazioni ottimizzando le prestazioni e mettendo in grado l’atleta di ottenere i massimi risultati a lui possibili.
    Si assolve a tali compiti con carichi specifici ad elevata intensità sia in allenamento che mediante le competizioni, alcune delle quali svolte proprio per raggiungere gradualmente il top della forma.
    Nelle discipline in cui la forza massimale, la forza veloce o la velocità costituiscono i fattori determinanti (salti, lanci, sprint, sollevamento pesi), la quantità del carico si abbassa più intensamente rispetto alle discipline che enfatizzano le qualità di resistenza o forza resistente.
    La frequenza di gare è valutabile soggettivamente riguardo all’atleta, al suo curriculum ed alla specialità praticata. Comunque, allo scopo di prevenire una perdita di prestazione, si deve attribuire particolare importanza alle esercitazioni specifiche ed alle abilità e capacità tecnico tattiche, mentre le esercitazioni di sviluppo generale servono in prevalenza al recupero attivo.
    Lo sviluppo della prestazione è guidato dalla frequenza delle competizioni e delle esercitazioni relative: ci si può attendere un picco in un lasso di tempo compreso tra le 6 e le 10 settimane dall’inizio del periodo in esame.
    Se, per ragioni di calendario o di qualificazioni, il periodo competitivo dovesse prolungarsi, è opportuno inserire una tappa di più settimane senza gare, in cui è diminuito il complesso delle esercitazioni specifiche e leggermente aumentato quello delle esercitazioni generali, per rigenerare le energie fisiche e psichiche aggredite da carichi intensi, evitare il decremento repentino della prestazione e l’insorgere di subdoli infortuni, creando così le premesse per un’efficace ripresa della stagione agonistica.
    Dopo 3 o 4 settimane non è insolito verificare persino un ulteriore aumento delle prestazioni.



    Al termine del periodo di gara si procede a pianificare un periodo di transizione di durata variabile (per esigenze agonistiche), con caratteristiche simili a quello inserito tra i due picchi del periodo competitivo e con preferenza in esso di esercitazioni di tipo generale al fine di ripristinare le energie e la condizione.
    A seconda dell’impegno della stagione, dell’età e delle caratteristiche dell’atleta nonché della disciplina praticata, il periodo transitorio può avere una durata variabile da 1 fino a non oltre le 4 settimane, sempre in modalità di recupero attivo.
    Il riposo pertanto non è mai completo e, oltre le ricordate esercitazioni di sviluppo generale, si privilegiano le attività di recupero e riabilitazione, le esercitazioni della tecnica di base e la pratica di sport alternativi alle specialità praticate e valutati nella fattispecie come miorilassanti.



    La durata di un ciclo periodico risente di molteplici fattori che si intersecano tra loro e sono direttamente connessi con la disciplina praticata ed il calendario posto in essere dalla Federazione, oltre che dai programmi di partecipazione alle gare nazionali, internazionali e locali dell’atleta de quo.
    In generale, la lunghezza del periodo di preparazione dipende dalla quantità di carico necessaria per la costruzione di nuove basi fondamentali ed in quest'ottica giocano un ruolo preciso i punti di vista e le idee del tecnico, le caratteristiche della specialità, le capacità individuali dell’atleta con particolare riguardo alle doti di sopportazione del carico.
    Dovrebbe in ogni caso, tanto nella semplice quanto nella doppia programmazione, essere ben più lungo del periodo di gara, come del resto già spiegato prima.



    Unitamente al descritto ciclo periodico, divisibile per caratteristiche generali e della stagione sportiva in fasi o in tappe o in sottoperiodi, lo sviluppo della prestazione è orientabile in forma migliore procedendo ad un’ulteriore classificazione e considerando il ciclo periodico ulteriormente divisibile in cicli, mediante la modalità di distribuzione dei carichi e per la natura degli stessi.
    Matwejew - a questo proposito - parlava di micro ciclo (ciclo piccolo) intendendolo come la successione delle singole unità di allenamento a carattere diverso prima che le stesse fossero replicate e venisse pertanto chiuso e ricominciato il ciclo (7/10 gg.); definiva invece macrociclo (ciclo grande) l’insieme dei microcicli costituiti in modo da prevedere le medesime finalità o con caratteristiche comuni, benché basati nella pratica su esercitazioni diverse.
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  4. #4
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    Considerazioni sulla costruzione ciclica del carico



    Ritengo sia utile un ulteriore approfondimento sull’argomento inerente al terzo principio sopra esposto.
    All’epoca del testo di Harre l’approccio alla periodizzazione del carico era ancora nella fase iniziale in Occidente e pertanto la lettura superficiale del capitolo trattato potrebbe non chiarire alcuni concetti in merito alla cosiddetta ciclizzazione.
    Per semplificare è forse opportuno ripetere e analizzare meglio le singole tappe in cui può essere suddiviso un programma di allenamento o piano di lavoro atletico.


    Per comodità, sintesi e chiarezza di spiegazioni traggo liberamente da “L’organizzazione dell’allenamento”
    di Bellotti e Donati.

    Con il termine "periodizzazione", letteralmente, si dovrebbe intendere solo la distribuzione cronologica dei contenuti dell’allenamento; in realtà il significato è ben più ampio, poiché tale distribuzione non è casuale ma tiene conto di una serie di conoscenze sul funzionamento e sulle capacità di adattamento dell’organismo.
    Parte di queste conoscenze sono state verificate scientificamente (Leggi generali), altre solo nella pratica sia pur ripetuta e quindi suscettibili di precisazioni e modifiche anche sostanziali.
    La periodizzazione può essere considerata come un momento di un progetto complesso elaborato allo scopo di permettere ad un determinato atleta di porre in essere le proprie capacità di prestazione.
    La prima fase è quella della pianificazione, cioè della formulazione di una strategia delle macrovariazioni di struttura dell’allenamento, in ordine sia ad obiettivi intermedi che finali e nel più ampio spazio di tempo.
    La seconda fase è quella della periodizzazione propriamente detta, cioè lo stabilire principi teorici relativi al particolareggiato sviluppo dei carichi nei diversi periodi che costituiscono la macrostruttura dell’allenamento.
    L’applicazione dei principi teorici di periodizzazione si concretizza nella programmazione, ovvero nella stesura del programma di allenamento.



    A questo punto, riallacciandoci e tornando al precedente discorso, distinguiamo:
    - il ciclo di allenamento o macrociclo (lett.te ciclo grande) : con cui intendiamo l’insieme di esercitazioni preparatorie, le gare conseguenti ed il periodo successivo di transizione.
    Questo “ciclo” può coincidere con l’intera stagione agonistica annuale nella periodizzazione semplice, può essere all’incirca semestrale in quella doppia, può persino essere quadrimestrale o trimestrale in periodizzazioni triple o multiple non contemplate da Harre.
    All’interno del ciclo di allenamento possiamo inoltre distinguere una successione temporale che prevede più periodi o fasi (preparatorio, talvolta quello pre competitivo, competitivo o agonistico, di transizione;


    - il mesociclo (lett.te ciclo di mezzo): ossia l’insieme dei micro cicli (vd. poi) finalizzati al raggiungimento di un medesimo obiettivo intermedio e che, considerati nel complesso, permettano poi di perseguire gli obiettivi più generali e finali del macrociclo.
    Possiamo così avere mesocicli preparatori generali, preparatori specifici, pre competitivi, di sostegno, di recupero.
    La struttura interna del mesociclo è tale che ad alcuni giorni caratterizzati da carichi elevati ne seguono altri (in numero più limitato) con carichi ridotti, così da creare quei fenomeni di supercompensazione che comportano l’innalzamento delle caratteristiche ricercate nel mesociclo stesso.
    Per tale motivo, alcuni autori lo definiscono pure con l’allocuzione di “ciclo funzionale”, intendendo riferirsi all’obiettivo intermedio perseguito, mentre altri come Matvejew non lo contemplano affatto, ritenendo poco razionale dal punto di vista della specializzazione e non individuata sul piano dell’esperienza pratica la necessità di ulteriori passaggi intermedi tra macro e micro ciclo;


    - il micro ciclo (lett.te ciclo piccolo): che, proprio utilizzando Matvejew, può considerarsi un “frammento compiuto” del ciclo di allenamento, poiché in esso sono compresi tutti i suoi elementi anche più di una volta ma sempre combinati in maniera diversa.
    In altre parole, al suo interno troviamo le singole unità o sessioni di allenamento (il secondo termine è più usato per indicare la successione nel tempo o nel micro delle varie esercitazioni principali o di gara) coincidenti o meno con la seduta di allenamento, in quanto può essere pure prevista la ripartizione temporale in due sedute giornaliere della stessa unità.
    Il susseguirsi di unità di allenamento diverse tra loro, che possano cioè prevedere al loro interno il ripetersi degli stessi mezzi allenanti ma organizzati in modo comunque differente, da luogo al microciclo che termina con l’ultima sessione della serie.
    La replica di un’unità di allenamento organizzata in modo analogo di quella iniziale da vita al microciclo successivo.


    Per ragioni eminentemente pratiche il microciclo è spesso coincidente con la settimana (es: sessioni/unità A-B-C-D in 4xweek e nuovo micro ciclo al replicarsi di A) ma, in realtà, può avere una durata variabile dai 2 fino ai 9 giorni.
    Come già detto, l’unità di allenamento può coincidere con un’unica seduta o prevederne due nel giorno solare, entrambi parti di detta unità o ancora, nel medesimo giorno, tenersi 2 diverse unità o sessioni; il tutto a seconda degli ingredienti e modalità di svolgimento previsti.
    La sessione di allenamento è spesso termine equivalente all’unità di allenamento e talvolta coincidente con la seduta; tuttavia in molti casi indica la successione nel micro o nel macro di un determinato e specifico mezzo allenante, con un computo indipendente dalla seduta in cui si svolge (es. sessione A e B oppure settimanale di una certa esercitazione in una settimana che preveda 4 o più unità di allenamento oppure 1^,2^3^ ecc. sessione di tal esercitazione nell’ambito del mesociclo).
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  5. #5
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    4) Principio della consapevolezza



    La consapevolezza del lavoro da svolgere e della preparazione programmata si raggiunge ponendo in essere tutti i mezzi ed orientando l’attività di allenamento in maniera tale che l’atleta si renda appunto consapevole delle proprie abilità e capacità, le assimili compiutamente e sia perfettamente a conoscenza di quali siano gli scopi dell’azione intrapresa, così da poterla svolgere con un livello di autonomia man mano più elevato ed essere in grado, nel corso delle competizioni, di prendere le decisioni migliori nei tempi dovuti.


    Il principio della consapevolezza del carico di lavoro parte dal presupposto che l’iniziativa creatrice e l’autonomia dell’atleta costituiscono gli elementi indispensabili per una formazione ottimale del processo di allenamento e per il perseguimento di elevate prestazioni, le quali possono ottenersi solo se gli atleti conoscono la sostanza dei fenomeni e dei processi che essi stessi sono chiamati a portare avanti.


    Il concetto del lavoro di formazione ed educazione dell’atleta ha le sue radici nella conoscenza razionale resa possibile in virtù del pensiero umano e postula che “ quanto più profonda e vasta è la conoscenza, tanto più efficace sarà l’azione pratica che ne deriva”.


    Se ne deduce che la condizione essenziale per la realizzazione del principio in questione sia l’unità del ruolo guida dell’allenatore insieme alla consapevole, costruttiva collaborazione nonché all’attività responsabile dell’atleta.
    Il ruolo di guida dell’allenatore consiste soprattutto nell’organizzare il processo di allenamento e l’attività dei propri atleti in modo che essi possano sviluppare le loro personalità ed individualità. Svolgerà pertanto una particolare attenzione alla crescita della formazione intellettuale e culturale specifica, inducendo allo studio della letteratura sportiva e scientifica del settore.
    E’ importante che gli atleti si rendano conto del proprio ruolo che talvolta è pubblico, della rilevanza sociale dei loro comportamenti ed atteggiamenti (in particolare ad alti livelli ma anche come esempio nei più giovani o in chi li circonda – n.d.r.), siano edotti sulle leggi generali che regolano il funzionamento della macchina umana e lo sviluppo della prestazione sportiva, conoscano precise norme igieniche e comportamentali, come pure abbiano solide motivazioni individuali e di gruppo.


    D’altro canto, la consapevole e costruttiva collaborazione e l’attività responsabile dell’atleta - cui si è fatto cenno sopra – sono stimolate dalle richieste del coach, della squadra o società e del contorno oltre che dai precisi compiti per la cui soluzione sono necessari un’adeguata capacità di riflessione, l’intensità degli impulsi ed il senso di responsabilità e di appartenenza. Così il coach promuove anche l’interesse dell’atleta all’attività agonistica e la sua compartecipazione intima all’allenamento ed alle gare.
    L’aspetto motivazionale è essenziale per lo sviluppo dell’autonomia creatrice, a sua volta basilare in molte discipline e comunque è un punto fermo per la solidità e costanza dell’atleta nel seguire con tenacia nel tempo un programma di preparazione.
    Ecco perché è importante che, fin dall’adolescenza, si costruiscano le fondamenta di motivazioni personali e sociali che poi crescano verso forme ancor più strutturate e compiute.
    Stubner sostiene come siano indissolubili la collaborazione creatrice e partecipativa dell’atleta con lo sviluppo della propria consapevolezza, in quanto trovano la loro espressione proprio nella stabilità psichica e nella formazione teorica e intellettuale dell’atleta quali indici di una personalità ricca ed evoluta.



    Queste le regole che Harre e c. individuano e suggeriscono per la costruzione pratica del processo di allenamento, seguendo il principio della consapevolezza:


    a) la comune elaborazione tra allenatore ed atleta di quelli che sono fissati come obiettivi della prestazione.
    L’atleta deve esser quindi consapevole di ciò che è in grado di ottenere ma pure di quanto gli è richiesto, sia per gli obiettivi in prospettiva (a lungo termine) come per quelli più ravvicinati;

    b) la partecipazione degli atleti alla programmazione e valorizzazione dell’allenamento.
    Per rendere partecipe un atleta al programma da stilare occorre educarlo prima all’auto valutazione, quindi a saper valutare ed esprimere coscienziosamente il proprio pensiero, la propria disposizione a quanto previsto, alla convinzione dei propri mezzi come alla consapevolezza di limiti e riserve.
    Tutto ciò deve riferirsi a:
    - valutazione dei responsi dell’allenamento,
    - valutazione dei risultati di gara,
    - comportamento nei confronti del gruppo e delle assegnazioni di allenamento,
    - obiettivi che si intendono perseguire con la prospettiva finale;
    Il diario di allenamento, che l’atleta dovrebbe tenere sempre aggiornato, è un importante ausilio per le esigenze di cui sopra.

    c) l’esecuzione di regolari controlli sulla prestazione.
    Essi si rivelano importanti per la consapevolezza dello stato di allenamento e delle singole componenti dello stesso nonché per partecipare alle soddisfazioni dei livelli conseguiti con l’applicazione e l’allenamento;

    d) l’educazione all’autocontrollo.
    È un’esigenza particolarmente rilevante nell’addestramento tecnico tattico e necessita dunque che l’atleta conosca la struttura del gesto motorio richiesto e le leggi biomeccaniche che lo regolano. Deve inoltre mostrare ottime capacità di analisi nella ricerca dei difetti e delle possibilità della loro eliminazione;

    e) le prescrizioni domestiche.
    Con tale allocuzione (un po’ antiquata - n.d.r.) gli autori non si riferiscono come potrebbe sembrare a norme igieniche e di regolamentazione nella vita di tutti i giorni ma sottendono le simulazioni che aiutino la preparazione tecnico sportiva, alcuni esercizi ginnici o di stretching per il riscaldamento, il recupero o la prevenzione dagli infortuni, lo studio di letteratura specializzata, l’osservazione attenta negli allenamenti dei compagni, l’ampliamento generale delle conoscenze.
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    5) Principio della sistematica



    Con il termine di “sistematica”, associato al processo di allenamento, vuole intendersi la logica e consequenziale disposizione in esso di tutti i mezzi necessari in corrispondenza alle leggi che regolano lo stato di allenamento e nell’interesse di un rapido sviluppo di prestazione dell’atleta.
    Più diffusamente, procedere sistematicamente nell’attività di allenamento significa stendere un programma logico, che obbedisca alle leggi generali della fisiologia, della biomeccanica e dell’allenamento, costruire in tal modo un processo di formazione ed educazione in dipendenza della struttura di una disciplina o specialità sportiva nonché delle peculiarità del singolo di inserirsi nel processo in maniera così economica da eliminare ogni impedimento e deviazione, consolidando ad un tempo le capacità e possibilità acquisite.


    Il principio della sistematica segue delle leggi invariabili mentre la sua attuazione nella pratica, ovvero la costruzione sistematica della metodica di allenamento in una disciplina, è invece sottoposta a mutamenti dovuti al progresso tecnico, scientifico e talora tecnologico sopravvenuto, alle diverse situazioni, alle individualità, alle nuove scoperte, alle diverse esperienze, tutte atte a determinare valutazioni soggettive da parte del tecnico e dell’atleta.
    Cosicché, sulla base dello studio metodologico dei principi di allenamento e delle applicazioni pratiche concretamente possibili e verificatesi nel tempo, sarà scelto un metodo di lavoro su cui costruire il sistema attuativo, stabilendo un punto di partenza e fissandone uno di arrivo finalizzato quindi ad uno o più obiettivi prescelti, con un percorso segnato all’interno da suddividere in periodi, fasi e cicli e da riempire con i mezzi allenanti ovvero le esercitazioni prescelte.
    Lo sviluppo logico, ordinato e conseguente di tutto quanto detto obbedisce appunto al criterio di sistematicità dell’allenamento e della somministrazione dei carichi allenanti.


    Una costruzione non sistematica e dunque una collocazione non appropriata o casuale oppure eccessiva del carico potrebbe determinare una o più delle conseguenze tra quelle che si elencano:
    - il fallimento degli obiettivi,
    - il raggiungimento precoce dello stato di forma rispetto alle competizioni principali,
    - lo stallo dei livelli di prestazione, un sovraffaticamento più o meno latente,
    - condizioni di forma non ideali,
    - più elevato rischio di infortuni,
    - scarsa capacità da parte dell’atleta di focalizzare gli obiettivi importanti,
    - troppo bassa o troppo alta tensione psicologica e nervosa.


    Nella fase precedente alla stesura del programma di allenamento sono di fondamentale importanza le valutazioni del tecnico e la sua capacità di disamina, sia complessiva della situazione quanto particolare riferita al soggetto con cui si rapporta.
    Alla scelta del metodo di lavoro segue un’accurata predisposizione del sistema ritenuto idoneo per la circostanza, che dovrà contenere tutti i mezzi di preparazione previsti sotto il profilo fisico, tecnico e tattico in giusta collocazione, successione e correlazione tra loro.
    L’esatta programmazione, stima e previsione del processo di allenamento, in ogni sua parte, dal singolo esercizio nell’unità di allenamento fino alla predisposizione dell’intero macrociclo, sono i presupposti indispensabili per il procedimento sistematico nella preparazione dell’atleta.
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    6) Principio dell’evidenza




    Il principio dell’evidenza si fonda sulla comprensione chiara e concreta dei fenomeni, sull’acquisizione delle immagini che fotografano il movimento e si rendono necessarie per sviluppare l’attività.
    Con esso ci orientiamo verso il grado più alto della conoscenza, con quelle che sono le forme più importanti atte ad offrirci i dati da cui partire per l’elaborazione mentale del gesto motorio: la sensazione e la percezione.



    Realizzare questo principio nel processo di allenamento richiede capacità funzionale e l’impiego della maggior quantità possibile degli organi di senso quali recettori complessi di movimento.
    Pertanto, lavorare secondo i canoni dell’evidenza nell’allenamento presuppone l’applicazione di molteplici mezzi della rappresentazione visiva, che contribuiscono a procurare una presentazione il più completa possibile nonché riproducibile del movimento e dell’azione tattica da assimilare, così da determinare le componenti essenziali e la misura utile di esse (es. quantità e intensità), in relazione al tipo di prestazione sportiva cui si mira.



    Quanto detto comporta l’importanza che il programma di allenamento sia chiaro alla comprensione dell’atleta, intellegibile e traducibile nella pratica quotidiana, tale che l’atleta possa comprenderne l’essenza, giustificarne il decorso, concordare sugli obiettivi e valutare insieme al tecnico le tappe ed i risultati intermedi.
    Al tempo stesso deve essere in grado di avere idee raffigurative che rispecchino il più possibile le immagini che potrà ripetutamente vedere, far proprie, ripetere ed assimilare nell’atto sportivo da compiere e perfezionare.



    Ne consegue che le regole base per la costruzione di un processo di allenamento, seguendo il principio dell’evidenza sono:

    a) Creare una rappresentazione esatta della struttura del movimento insegnato; ciò si verifica mostrando e precisando la gestualità ed affinando la percezione di essa, fornendo chiarificazioni suppletive, dando continue indicazioni e intavolando discussioni sul tema, facendo svolgere esercitazioni pratiche attinenti.
    Con una buona presentazione del piano di lavoro si può accelerarne l’acquisizione, e l’esatta rispondenza delle esercitazioni pratiche alle fattispecie di gara sono il presupposto per un rapido apprendimento della tecnica.


    b) Adottare una molteplicità di mezzi idonei di illustrazione: i particolari di un movimento e le rappresentazioni spaziali tramite figure, diagrammi, foto, video ma pure rilievi ottici ed acustici, accompagnamenti ritmici, lavagne magnetiche ed altri accorgimenti ciascuno più o meno adatto a seconda della specialità sportiva.


    c) Lavorare per la risoluzione di difetti, handicap, errori tecnico tattici e – in generale – per vari compiti educativi alla disciplina.
    Tra i modelli che agevolano la correzione di errori e posture nonché il miglioramento della biomeccanica, dell’approccio, del setup e il miglioramento nell’insieme dell’atto da compiere vi sono gli esempi pratici costituiti da altri atleti (o squadre), le prestazioni precedenti, le fattispecie analoghe, le trasferte per assistere a gare e stage, i raduni sportivi e le riunioni.



    Nella realizzazione del principio di evidenza si dovrebbe prestare particolare attenzione ai cambiamenti ed alle connotazioni diverse da assumere in rapporto alle diverse età.
    Nell’età giovanile domina infatti la percezione sensitiva, mentre con l’aumentare degli anni acquistano importanza maggiore le parole chiarificatrici e l’illustrazione di più ampio spettro.



    L’ambiente viene soggettivamente percepito mediante stimoli differenti a seconda delle circostanze e delle individualità: la percezione può aver luogo con gli occhi, le orecchie, il senso tattile e la sensazione muscolare e di movimento.
    In esito a ciò si è soliti suddividere il tipo di recettività: visivo, acustico e motorio. Queste tre tipologie di sensibilità sono presenti in ognuno di noi ma possono prevalere in modo diverso in un atleta rispetto ad un altro e in ciascuno a seconda della situazione contingente.



    Compito dell’allenatore deve essere anche quello di capire e conoscere quale tipologia di stimolo predomini in assoluto nel singolo e quale sia più forte nel momento topico, al fine di indirizzare agli atleti le rappresentazioni ideali e volte al rispetto ed al risalto del principio dell’evidenza.
    ...i pesi pesano, non c'è niente che pesi quanto un peso...

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