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Discussione: I principi dell'allenamento sportivo nella "Teoria" di Harre.

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  1. #1
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    Il Carico di allenamento: le componenti di carico



    Si è già fatto cenno alle componenti fondamentali del carico esterno d’allenamento e cioè dello stimolo allenante, che possono essere così riassunte e definite:

    - intensità dello stimolo,
    - densità dello stimolo,
    - durata dello stimolo,
    - entità dello stimolo,
    - frequenza dello stimolo.




    a) Intensità dello stimolo



    L’intensità dello stimolo è essenzialmente caratterizzata dalla forza dei singoli stimoli e in particolare dal lavoro effettuato durante l’unità di tempo in una serie di stimoli.
    Le unità di misura dell’intensità dello stimolo usate per gli esercizi di resistenza e velocità sono la rapidità (mt/sec.) o la frequenza del movimento;
    nelle discipline di forza e potenza è la resistenza da vincere (espressa in kg. o kgm./sec.);
    nei salti e lanci sono la distanza o l’altezza (espresse in mt. o cm.);
    nei giochi sportivi o negli sport da combattimento - in senso traslato – la misura dell’intensità è data dal ritmo agonistico.


    Poiché i singoli esercizi possono essere eseguiti con differente intensità, per la programmazione dell’allenamento si è soliti distinguere tra differenti gradi di intensità, con i quali confrontare i carichi cui l’atleta è sottoposto.
    Ponendo ad es. come punto di riferimento l’intensità di stimolo più elevata possibile (100% = intensità massimale), Carl distingue cinque gradi di intensità nell’allenamento dei pesisti:

    30-50% = i. scarsa,
    50-70% = i. leggera,
    70-80% = i. media,
    80-90% = i. sub massimale,
    90-100% = i. massimale.
    Allo stesso modo, nelle discipline di resistenza a carattere ciclico (corsa, nuoto, ciclismo, ecc.) i punti di riferimento da cui ricavare i gradi di intensità sono la migliore prestazione del momento o l’attuale velocità individuale di gara.


    L’intensità dello stimolo deve superare un valore limite minimo per lo sviluppo delle diverse qualità fisiche.
    Hattinger ha ad esempio stabilito che un allenamento di forza muscolare statica con intensità di stimolo inferiore al 30% non produce alcun aumento di forza. Negli esercizi ciclici di resistenza, invece, la velocità deve essere tale da superare una frequenza cardiaca di 130 battiti/minuto.
    In linea di principio, si può quindi distinguere tra un grado di intensità efficace ed uno inefficace. Così, sempre a titolo esemplificativo, la resistenza necessaria nelle discipline di lunga durata si può sviluppare bene con un’intensità di stimolo tra il 70 ed il 100% della intensità individuale di gara specifica per esse.


    L’intensità dello stimolo influisce non solo sul ritmo di sviluppo ma pure sul consolidamento degli adattamenti:

    - se l’intensità è minima, la rispettiva qualità si sviluppa in modo lento ma continuativo e raggiunge un elevato grado di stabilità.
    E’ necessaria di contro un’elevata entità di stimolo (ovvero volume, vd. poi) mirando ad aumentare le caratteristiche di sopportabilità della capacità di carico;

    - se l’intensità è più elevata (carichi intensivi), l’aumento di prestazione è più rapido ma meno stabile, per cui occorre consolidarlo con carichi estensivi più numerosi ancorché di minor entità;

    - la scelta dell’intensità dello stimolo deve dipendere non solo dalla ricerca dell’adattamento funzionale e morfologico ma pure prendendo in considerazione l’aspetto tecnico.
    L’intensità va elevata senza pregiudicare l’esecuzione del gesto motorio, per stabilizzare la tecnica sportiva in conformità alle esigenze di gara.
    ...i pesi pesano, non c'è niente che pesi quanto un peso...

  2. #2
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    b) Densità dello stimolo



    Si definisce tale il rapporto di tempo tra fasi di lavoro e fasi di recupero all’interno di una seduta di allenamento.
    La densità dello stimolo allenante è stabilita sulla base degli obiettivi e dei compiti della seduta stessa ed è subordinata alle altre componenti dello stimolo, quali intensità e durata.
    Mediante la densità sono armonizzati tra loro carico e recupero della seduta, in quanto se la densità è ottimale assicura l’efficacia proprio del carico e impedisce un precoce esaurimento delle energie psico fisiche dell’atleta.

    Nell’allenamento di resistenza con il metodo del carico continuativo (cioè senza interruzioni) la densità è nulla, mentre con il metodo intervallato si considera generalmente una densità di stimolo da 1:0,5 fino a 1:1 (ovvero 1’ di lavoro e 30” di recupero oppure 2’ di lavoro e 2’ di recupero), avendo cura di riprendere il nuovo lavoro con frequenza cardiaca non superiore a 120/140batt./min.
    Con carichi ad intensità sub massimale per la resistenza alla velocità tipica dei mezzofondisti gli intervalli di tempo richiesti sono maggiori e la densità di stimolo va da 1:3 a 1:6.
    Nell’allenamento di forza e velocità con intensità da sub massimale a massimale sono particolarmente indicati intervalli tra 2’ e 5’ tra singoli stimoli o tra brevi serie di stimoli.


    Nel caso in cui si segua il metodo intervallato, riguardo alla densità nella singola seduta, occorre tener presente che:

    - l’effetto allenante è da considerarsi ottimale solo se è corretta la successione tra carico e recupero,
    - l’intervallo tra un carico e l’altro è, di regola, tanto più lungo quanto più elevata è l’intensità dello stimolo e quanto più lunga la sua durata,
    - con il progredire della capacità di prestazione si accorciano i tempi di recupero necessari.





    c) Durata dello stimolo



    Per durata dello stimolo si intende sia la durata di un singolo stimolo, sia la durata di una serie di stimoli nel corso dell’allenamento, sia la durata di una fase di carico nelle esercitazioni cicliche.
    La durata, in concorso con le altre componenti, influenza tanto l’efficacia quanto l’orientamento dell’effetto di allenamento.


    Per lo sviluppo della forza massimale, secondo Gundlach, non è necessaria solo un’elevata tensione muscolare (alta percentuale di carico) ma anche una durata di stimolo relativamente lunga (congruo numero di sets a fronte di un ridotto numero di reps).
    Nell’allenamento di forza muscolare statico la durata dello stimolo dovrebbe ammontare almeno al 20-30% del tempo massimale di possibile mantenimento.

    Nell’allenamento di resistenza, Karvonen ha potuto stabilire che si verifica un considerevole aumento di prestazione se la durata dello stimolo, purchè di intensità efficace, ammonti almeno a 30’.
    Più o meno simili le conclusioni a cui è pervenuto Hollmann mentre, nelle ricerche sul lavoro intervallato, Christensen ha riscontrato che l’organismo reagisce alla differente durata dello stimolo benché di pari intensità.
    Reindell, Van Goor, Bassan ed altri hanno accertato che, con intensità sub massimale inferiore a 60” e adeguato intervallo, l’assorbimento di ossigeno ed il volume d’urto aumentano e si verifica pertanto uno stimolo particolarmente idoneo all’ingrossamento del volume cardiaco, mentre con una durata di stimolo maggiore si ottiene il massimo dell’assorbimento di ossigeno durante il carico singolo.
    Per l’assuefazione ad uno squilibrio acido basico in gara, nelle discipline sportive di breve e media durata, Strauzenberg ritiene necessaria una durata dello stimolo di almeno 2’, con intensità relativamente elevata.

    Nell’allenamento di potenza e velocità, la durata dello stimolo dovrebbe protrarsi fintanto che non si verifichi un decremento della prestazione.
    Al contrario, nell’allenamento di resistenza alla forza con esercitazioni specifiche si tende a creare un’elevata capacità di opposizione alla stanchezza; per cui sarebbe errato, in tale ultimo caso, interrompere la serie di stimoli al manifestarsi dei primi segnali di stanchezza, essendo obiettivo prioritario quello di protrarre lo sforzo nell’impegno a terminare le serie prestabilite.
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  3. #3
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    d) L’entità dello stimolo



    L’entità dello stimolo si ricava dalla durata e dalle ripetizioni di tutti gli stimoli in una singola seduta di allenamento.

    Con i metodi di durata, nell’allenamento di resistenza, l’entità coincide con la durata dello stimolo.
    Tuttavia l’entità in generale differisce dalla durata per l’unità di misurazione utilizzata e per i parametri di valutazione.
    Negli esercizi ciclici di resistenza la durata dello stimolo è stabilita in arco temporale mentre l’entità è determinata in chilometri.
    Nell’allenamento di forza la durata è data dal tempo complessivo sotto sforzo in una serie (durata del singolo stimolo) o dal numero delle serie effettuate (durata della serie di stimoli), invece l’entità è data dal numero di ripetizioni svolto all’interno di una serie o dal numero delle ripetizioni complessive e, dunque, assume parametri di misurazione diversa in ordine all’estensione del singolo stimolo o di più stimoli, rispecchiando maggiormente il concetto di “consistenza dello stimolo” rispetto alla componente di durata effettiva.


    Un carico, con un’intensità data, raggiunge efficacia piena solo se incentrato su di una corrispondente entità e ciò vale non solo per il progresso della condizione fisica ma pure per il perfezionamento della tecnica: solo infatti in virtù di un optimum di ripetizioni si producono le coordinazioni più accurate di un movimento che lo sostanziano come razionale.

    L’entità deve essere dosata in base all’impegno fisico: con carichi di minor intensità sarà perciò maggiore rispetto a quanto necessita con intensità elevate. L’impegno fisico si manifesta con i primi segnali di stanchezza o, nelle esercitazioni tecniche, con lo scadimento del gesto motorio.
    Il grado di impegno dell’atleta e quindi l’entità dello stimolo che lo ha stimolato deve essere posto in relazione e concordanza con le necessità individuali di recupero, dunque con il tempo a disposizione e con la componente frequenza allenante, che sarà ora esaminata.




    e) Frequenza del carico e dell’allenamento



    Le esperienze acquisite nella pratica dell’allenamento insegnano che la capacità di carico e di prestazione si elevano tanto più rapidamente quanto più spesso ci si allena, sempre che il carico previsto nelle singole unità di allenamento comprenda uno stimolo efficace e nel rispetto dei tempi di recupero all’interno e tra le sedute.
    Questo assioma vale per tutte le fasce di età e dunque, considerato che i processi di recupero si accelerano con il progredire dello stato di allenamento, pure la frequenza può in linea teorica aumentare, sempre a prescindere dagli altri fattori.


    In dipendenza dalla disciplina sportiva prescelta, dalle condizioni sociali, familiari, economiche e ambientali, dal livello dell’atleta e dalla realtà che quell’attività sportiva ricopre nel tessuto storico e territoriale del paese - tenendo inoltre conto delle numerose eccezioni - si potrebbe tendere a:

    - 3/5 sedute di allenamento settimanali per principianti, amatori, dilettanti e atleti in età evolutiva,

    - 6/8 sedute per atleti progrediti e di anzianità anagrafica e curriculare, professionisti di talune specialità e adolescenti di altre discipline sportive con particolari caratteristiche d’impegno in giovane età,

    - 8/12 sedute per i Maestri dello Sport, atleti di valore in giochi sportivi e discipline ad alta componente tecnico tattica, atleti di alta qualificazione in specialità a prevalente componente di resistenza aerobica.


    Non è viceversa consigliabile un eccessivo incremento della componente “entità” nella singola seduta a scapito della frequenza di allenamento in quanto, ad un determinato grado di affaticamento, l’efficacia dello stimolo dato dal carico viene a diminuire, come pure il movimento diviene meno economico ed aumenta il rischio di incorrere in infortuni.
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  4. #4
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    Carico Interno e Sovraffaticamento



    Per un ottimale orientamento in ordine al carico da somministrare e ad una costruzione razionale dei microcicli di allenamento, è necessario che l’allenatore sia informato sulla situazione inerente al carico interno, ovvero quello percepito e gravante sull’atleta.
    Nella pratica quotidiana è possibile fare una sommaria valutazione del carico interno in relazione ai sintomi di stanchezza mostrati, come anche in base al decorso ed al ritmo del recupero.
    Buoni effetti allenanti li provoca un carico atto a produrre un intenso affaticamento, dopo il quale tuttavia l’atleta dovrebbe ancora essere in grado di proseguire fisicamente e mentalmente una giornata lavorativa o di avere un buon rendimento scolastico e di studio; inoltre dopo 24/48 h. dovrebbe essere capace di proseguire il programma di allenamento senza sforzi evidenti ed eccessivi.

    A questo proposito, Sotow ed Iwanow hanno stilato una tabella indicativa con quelli che possono rilevarsi come i sintomi più importanti e significativi dopo sforzi di differente entità; in rapporto al grado con cui tali sintomi si esprimono può operarsi la distinzione tra carico minimo, medio, ottimale e limite.

    [ndr: ve la posto sotto e scusate se con la scannerizzazione è uscita lievemente storta ]


    tabella redatta e completata da Sotow e Iwanow:
    sintomi di affaticamento dopo uno sforzo di differente entità
    .

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  5. #5
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    Sovraffaticamento


    Se le esigenze dell’allenamento ed il carico complessivo della vita quotidiana corrispondono alla capacità di sopportazione di un dato atleta, solitamente pure lo stato di allenamento progredisce e si ottengono migliori risultati nei test, nei controlli di prestazione ed in gara.
    L’affaticamento che si manifesta durante e dopo ciascun carico viene eliminato in modo relativamente rapido, con un ritmo che dipende dal carattere e dalla quantità del carico stesso.
    La stanchezza causata da carichi di durata prolungata e di media intensità permane per un periodo sensibilmente più lungo rispetto a carichi di breve durata ma di intensità più elevata (allenamento di velocità).
    Di regola, dopo un periodo di max 2 giorni anche a seguito di carichi notevoli si ristabilisce il valore di riposo iniziale.
    Pertanto, potremmo definire l’affaticamento come un processo fisiologico in conseguenza di carichi che devono essere sempre commisurati alla capacità di prestazione e di sopportabilità dell’atleta.


    Si parla invece di sovraffaticamento quando il carico complessivo dell’atleta - dovuto alla somma di allenamento, professione, studio, ecc. - supera la capacità di prestazione e tollerabilità del medesimo.
    In questo caso, la capacità di prestazione non si ristabilisce del tutto, manifestando una progressiva e inarrestabile tendenza al decremento fino all’eliminazione delle cause che hanno provocato il sovraffaticamento.
    Si registrano significative alterazioni nell’attività del sistema nervoso centrale, che si ripercuotono soprattutto sulle ottimali correlazioni tra eccitazione ed inibizione.

    Israel distingue tra uno stato di superallenamento basedovoide, con preponderanza del processo di eccitazione nervosa ed uno stato di superallenamento addinosoide, dove invece predominano i processi di inibizione: l’insorgere di una o dell’altra forma è favorita dalle tipologie soggettive del sistema nervoso e dal carattere del sovraffaticamento.
    Sempre secondo Israel, infatti, i processi di inibizione si rafforzano in particolare sotto l’influenza di carichi di durata estremamente prolungata con leggero superdosaggio continuativo dell’entità di carico; mentre l’eccessiva eccitazione si manifesta specialmente con l’eccedere dei carichi di intensità massimale e sub massimale o per una troppo accentuata richiesta di capacità di concentrazione nell’assimilazione di movimenti complessi.


    Appare dunque in tutta la sua evidenza l’imprescindibilità di una proficua collaborazione tra atleta, allenatore e medico sportivo (o equipe sanitaria).
    Harre non condivide il concetto prevalente in anni trascorsi che il sovraffaticamento sia in genere da attribuirsi all’eccessiva quantità del carico in se, poiché spesso la sintomatologia sopra esposta si riscontrava, in passato, pure con pianificazioni che prevedevano carichi molto al di sotto di quelli successivamente dimostratisi tollerati.
    A parere di Harre & C. le cause del sovraffaticamento vanno perlopiù ricercate negli errori commessi nella metodica di allenamento, in una condotta o tenore di vita non adeguati o in emotività e stati psichici estranei all’allenamento.


    tabella Harre: motivi che provocano o favoriscono uno stato di sovraffaticamento




    Prima che inizi il calo del livello di prestazione sono ravvisabili una serie di segnali premonitori; è quindi importante distinguere tra i normali sintomi di stanchezza, destinati a scomparire rapidamente e quelli dovuti al sovraffaticamento che permangono più a lungo.
    Ad esempio, occasionali disturbi del sonno, dopo una seduta molto impegnativa, contraddistinguono un isolato carico limite ma un’insonnia continuata deve senza dubbio essere valutata diversamente.
    Il numero ed il grado di manifestazione dei sintomi in parola sono differenti. Si parte spesso con sintomi di natura psichica quali mutamenti d’umore, diminuita capacità di concentrazione ed aumentata eccitabilità; possono seguire disturbi del sonno, sudorazione abbondante, inappetenza che contraddistinguono uno stato già avanzato e devono essere valutati ed offrire motivo per energiche misure di intervento al fine di evitare disturbi più seri, con conseguenti difficoltà di coordinazione nel gesto atletico e irreversibile calo della condizione dallo stato di allenamento fin lì costruito.

    I risultati dell’analisi della sintomatologia e del confronto tra allenatore ed atleta devono improntarsi alla massima fiducia reciproca: sarebbe maldestro il tecnico che interpretasse le giustificate lamentele dell’atleta da lui allenato come una mancanza di energia e di entusiasmo.
    Disturbi di poco conto sono facilmente eliminabili, mentre sovraffaticamenti persistenti possono condurre a manifestazioni patologiche quali alterazioni del ritmo cardiaco, esaurimento del potenziale biochimico, ecc., che comportano un’inevitabile e veloce calo della prestazione non più compensabile nel ristretto periodo del macrociclo.
    Quindi è consigliabile, qualora si ravvisino i primi certi e importanti segnali ed aldilà dei motivi specifici che li hanno indotti, ridurre il carico complessivo del lavoro e, contemporaneamente, porre in atto o intensificare quegli accorgimenti atti a promuovere il recupero: massaggi, esercizi di recupero attivo, accorgimenti alimentari e d’igiene personale, sospendendo altresì gare e test di prestazione.
    Non è tuttavia opportuno ricorrere al riposo assoluto, poiché l’improvviso rilassamento potrebbe provocare ulteriori imprevisti disturbi.
    Non appena invece si nota la scomparsa dei principali sintomi che avevano indotto agli interventi citati, si può con prudenza elevare dapprima l’entità e più tardi l’intensità del carico.
    Si dovrà tuttavia dedicare del tempo alla scoperta, disamina e valutazione delle cause del sovraffaticamento, onde eliminarle e correggere di conseguenza il programma di allenamento, apportando le opportune modifiche alla struttura del carico, ossia al rapporto tra entità ed intensità, ai mezzi di allenamento prescelti (esercitazioni), alla disposizione e contenuto dei micro e mesocicli, ecc.


    tabella Harre: sintomi rilevatori di uno stato di sovraffaticamento
    Ultima modifica di Tonymusante; 05-12-2014 alle 10:24 AM
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  6. #6
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    Questi ultimi due post erano molto interessanti ; soprattutto come Harre dia più la colpa alla situazione che circonda l'atleta che al carico di allenamento, trattando l'uomo come soggetto psicologicamente complesso e non come una macchina.
    Non esiste l’impossibile. Se si è animati da un forte proposito, si può scuotere con il pensiero il mondo intero. Si può fare tutto. Per la sua fragilità, la mancanza di spirito e la paura l’uomo non è determinato. È stato detto che si può muovere l’universo persino senza fatica; beninteso, se ci si concentra unicamente su questo ~ Yamamoto Tsunetomo
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  7. #7
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    Citazione Originariamente Scritto da Musashi Visualizza Messaggio
    Questi ultimi due post erano molto interessanti ; soprattutto come Harre dia più la colpa alla situazione che circonda l'atleta che al carico di allenamento, trattando l'uomo come soggetto psicologicamente complesso e non come una macchina.


    si, aldilà del regime imperante all'epoca nella Germania Est, Harre ed i suoi erano all'avanguardia non solo per lo studio della fisiologia umana e per didattica di allenamenti ma proprio a livello di analisi sociologiche e introspettive.
    Del resto, data l'importanza che l'attività sportiva aveva in quel Paese, l'atleta e l'uomo erano visti come un tutt'uno, sin dall'adolescenza,non soltanto una volta raggiunti i più alti livelli prestativi.
    La convinzione era che, data per assodata la necessità che vi fossero delle qualità genetiche alla base degli atleti che potevano partecipare alle competizioni d'elite, la differenza successivamente la facessero la meticolosa ricerca del miglioramento tecnico, l'organizzazione razionale dei carichi di lavoro e il sistema relazionale che veniva a crearsi intorno alla figura dell'atleta in tutti i suoi risvolti sociali: in primis i rapporti tra allenatore ed atleta e tra quest'ultimo con i compagni di squadra, poi con il suo team in senso generale e con l'intera nazione nella quale doveva identificarsi.
    Ultima modifica di Tonymusante; 05-12-2014 alle 12:55 PM
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