Le percezioni che l'atleta può avere in relazione alla tollerabilità del carico ed alla sua gestibilità nella situazione specifica dove l'atleta vive e si allena vanno tenute sempre in conto, sia che si tratti di un ragazzo come di un veterano, di un neofita o di un esperto, di un atleta di medio o alto livello; questo perchè la teoria, le conoscenze e la carta sono basilari ma alcuni elementi sono soggettivi ed altri possono esser rilevabili solo dall'atleta.
Faccio qualche esempio: se l'atleta cambia il proprio turno di lavoro manuale ed è spossato, al tecnico chi lo dice se non lui? Se va in vacanza e trova una palestra con il bilanciere olimpico o un'attrezzatura fitness il tecnico come lo può sapere? Se è influenzato, attraversa un momento particolare, ecc sono tutti dati che deve comunicare.
Per queste ragioni Harre, prima ancora di altri, insisteva sull'importanza del dialogo tra coach ed atleta e sul feeling di collaborazione che dovrebbe instaurarsi per ottenere i migliori risultati.
E' altrettanto chiaro che altre valutazioni specifiche sulla gravosità dei carichi acquistano un'importanza diversa se a farle è un atleta esperto oppure un novizio: l'esperienza dell'allenatore dovrebbe poterlo valutare, come pure prendere in considerazione le attitudini caratteriali e le risposte emotive diffferenti tra atleta ed atleta e soppesare ciò che gli viene comunicato dandogli l'importanza che merita: in sintesi, come suol dirsi, dovrebbe "conoscere i suoi polli"
In relazione alla tua seconda riflessione, è indubbio che molti amatori non diano il giusto peso al rapporto bilanciato tra i due carichi e si limitino a scopiazzare i programmi che leggono su internet (una volta sulle riviste specializzate) e magari li adattano secondo loro logiche molto approssimate e discutibili.
Questa però è la differenza tra un amatore - come tu stesso lo definisci - che solitamente non ha coach ed un atleta agonista, aldilà del livello di quest'ultimo perché l'agonismo è una scelta, una mentalità, una disponibilità al confronto: Harre, però, non si rivolgeva agli amatori nella sua opera ma ai tecnici di agonisti, ai coach di team e squadre.
Sarebbe troppo semplice prendere il primo programma di ciclo russo, Smolov, Korte, Starr e quant'altro e provare ad applicarlo sperando di trasformarsi in atleti agonisti: si può essere uomini geneticamente dotati, con un buon background alle spalle ed in grado di ottenere risultati pure buoni in una specialità ma non per questo si è agonisti, come del resto sipuò essere agonisti di livello solo discreto.
Il tecnico che allena e prepara un atleta alla competizione, che ne pianifica la stagione agonistica e che segue il suo percorso atletico negli anni clou di una carriera sportiva, non può limitarsi a scaricare dei programmi dal web ed adattarne i carichi di lavoro come farebbe un qualsiasi amatore, sia pur in gamba.
Harre, già negli anni '60, quando certi concetti erano indubbiamente noti ma non ancora codificati e non se ne parlava con la stessa facilità di oggi ebbe il merito di raccogliere in un'opera compendiosa - e per forza di cose un po' generalizzante - molte delle conoscenze teoriche dell'epoca e delle esperienze pratiche raccolte e sperimentate su centinaia di atleti.
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