Un giorno però arrivò un ragazzo che notai subito per la sua stranezza. Era decisamente diverso dagli altri, anche nell'abbigliamento, che non era affatto curato come quello degli altri frequentatori. In più ai piedi aveva delle Chuck Taylor della Converse, blu. Sulle prime pensai che fosse un novizio, e che qualcuno avrebbe dovuto dirgli che quelle scarpe per il tapis roulant non andavano bene. Ma non stava correndo sul tapis roulant, e non erano affari miei. Però mi aveva incuriosito, per cui lo tenni d'occhio. Tirò fuori dalla tasca un metro da sarto, e si mise a misurare il bilanciere che stava sulla panca piana. “Ma come li fanno 'sti bilancieri, sono tutti sbagliati!”, disse severo all'istruttore massiccio, che tanto per cambiare stava a due metri da me e che rispose assertivo: “Sì sì, lo so, hai ragione”. Cosa avessero di sbagliato i bilancieri, non era dato sapere. Forse erano troppo lunghi, o troppo corti, ma in fondo che differenza poteva fare? Il ragazzo con le Converse si stese sulla panca e inarcò la schiena, staccò il bilanciere e fece qualche ripetizione decisa in quell'assurda posizione. Io guardai l'istruttore, aspettando che lo riprendesse, ma quello lo fissava zitto. Il ragazzo si alzò, prese dei dischi e caricò ancora di più il bilanciere, poi si rimise in quella terribile posizione che mi faceva male solo guardare. Sentii mio dovere intervenire e richiamare all'ordine quel bambascione dell'istruttore. “Ma così si fa male alla schiena!”. “No, non si fa male...”, disse guardandomi con delusione, “La panca da gara si fa così”.
La panca da gara? Mi stava prendendo in giro? Esistevano gare di panca? Per me era una novità. Le uniche garette di panca che avevo visto in anni di palestra erano fatti da due o tre bodybuilder quadrati che si sfidavano alla buona, tutti con pettorali e braccia enormi, gente molto diversa da quel ragazzino, e nessuno di loro aveva mai inarcato la schiena in quel modo innaturale e palesemente pericoloso. Intanto però il ragazzino non si spezzava e continuava a caricare dischi su dischi. Poi chiese una mano all'istruttore, che scattò in piedi quasi inorgoglito e si mise dietro la panca. “Non lo devi toccare, capito?”, disse il tipo minaccioso. “Sì sì, non ti preoccupare”, rispose l'istruttore concentrato. Passarono dieci minuti in cui i dischi aumentavano, e addirittura l'istruttore andò in giro a cercarne altri. All'ultima alzata il peso era diventato ai miei occhi qualcosa di surreale. Poi la seduta di panca finì.
Il ragazzo si alzò e attraversò la sala. Lo fissai per studiarlo bene, certo che mi fosse sfuggito qualcosa. Era qualche centimetro più basso di me, e a occhio mi sembrava addirittura più leggero di me. Però a differenza mia era solido, era il più solido della sala, e sicuramente in quel momento il più forte. Da dove traesse quella forza, non riuscivo a capirlo. Quando lo vidi entrare sotto un bilanciere e fare lo squat, vicino al multipower ma non con il multipower, pensai che esistevano mondi di cui non ero a conoscenza, di cui la cifra caratteristica era l'incoscienza. Notando i miei occhi spalancati, l'istruttore massiccio si avvicinò ed esclamò: “Lui è forte. Lui fa le gare.” Lo disse con un'ammirazione che mi lasciò di sasso. In cinque anni che andavo in palestra non mi era mai pesato che gli altri fossero più forti, neanche che una parte delle donne fosse più forte di me. Non mi interessava molto, io avevo altre cose a cui pensare e andavo lì solo per riposare un minuto tra una serie e l'altra, e fare la doccia calda compresa nel prezzo. Ma vedendo quel ragazzino determinato, preciso, esplosivo sotto pesi più grandi di lui, realizzai per la prima volta che i miei sforzi erano patetici, e mi sentii molto piccolo. Mi girai per guardare l'istruttore, seduto a me, che lo fissava squattare. Ed ebbi l'impressione che si sentisse esattamente come me.
Non vidi più quel ragazzo, ma nel periodo successivo mi misi per la prima volta dopo anni a fare la panca. Poche sedute, giusto per togliermi lo sfizio, ovviamente a fine allenamento. Il mio miglior risultato fu 34kg per otto ripetizioni. Quando mi vide l'istruttore massiccio, mi riprese: “La fai tutta di spalle, così ti fai male”. Effettivamente la spalla destra non apprezzava quel movimento, e scrosciava rumorosamente. “Allora insegnami”, dissi io, cedendo dopo anni di indipendenza e indifferenza. “Ma... ti interessa fare la panca?”, chiese dubbioso. “Eh, sono sulla panca, che dici?”. Lui rilanciò: “Ma ti interessa fare le gare di panca?”. “No, non esageriamo, io non potrei mai fare una gara”. “E perché?”. “Perché la perderei. Sono debole, sono anni che mi vedi, te ne sarai accorto.” “A quello si rimedia, la forza aumenta, potremmo fare una scheda mirata...”. Lo interruppi: “Se non è aumentata finora, dubito che lo farà in futuro.” “Vabbè ho capito, senti lo vuoi un consiglio? Fai il petto alla macchina dove l'hai sempre fatto, tanto non fa differenza, la panca non è per te, fidati.” Io alzai gli occhi al cielo e me ne tornai alla chest press Technogym, che con il suo movimento fluido e guidato mi aveva dato sempre soddisfazioni in sicurezza e non mi costringeva a parlare con uno che non perdeva neanche cinque minuti a spiegarmi un esercizio.
Quando qualche settimana dopo lasciai per sempre la palestra, causa trasferimento per lavoro, non sapevo di aver perso l'occasione di imparare qualcosa. Rimpiansi gli allenamenti per qualche settimana, e poi la vita mi fece pensare ad altro. Fino a quando, anni dopo, il ferro tornò a fare capolino nei miei pensieri.
Era una mattina di maggio del 2009, e io avevo ormai 37 anni...
Nota: ho davvero esagerato, è mattina. Ma vorrei terminare entro domani notte, perché venerdì riparto per lavoro e starò via qualche giorno. Comunque ormai stiamo arrivando al punto...
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