Come scrive W. Tatarkiewicz (in Storia di sei idee) “classico”, sin dai tempi antichi, significa una determinazione di valore che segna l’eccellenza nel proprio ambito specifico, qualsiasi esso sia. Una bellezza può dirsi classica quando raggiunge l’eccellenza dal punto di vista dell’equilibrio delle parti, della nobile semplicità (infatti i corpi non-natulal li chiamiamo gonfi, goffi, finti), della naturalezza del gesto e del portamento (quanto è importante ormai non tanto saper posare quanto il riempire i vuoti nelle pose).
Da questo non si deve evincere che nell’epoca classica dei greci la bellezza coincideva in tutto con una concezione matematizzante dei rapporti proporzionali; sin dalla grecità arcaica venivano infatti ascritte alla bellezza tanto la vigoria fisica quanto la grandezza morale e la nobiltà d’animo. Bello era infatti tutto ciò che suscita fascino e stupore. Ritengo queste osservazioni talmente basilari che mi portano a chiedere: la bellezza è oggettiva? Esiste cioè una bellezza che tutti, al di là dell’appartenenza geografica, culturale, religiosa, riconoscono come “bella”. Se faccio della bellezza solo “quel che piace” non risolvo nulla: piace a me, ma non a te. È una bellezza chiusa nel soggettivo. Ma la vera bellezza è un grido in se stessa, e vuole essere condivisa. Perché allora si andrebbe in palestra? Magari non ce ne accorgiamo e lo facciamo per altri motivi, ma sono convinto che saranno motivi di superficie. Quello che ci spinge al ferro è quella stessa idea di BELLO che abbiamo nel sangue, che permea ogni nostra fibra, maschile e femminile, e di cui non possiamo fare a meno.
Così direi: non “bello perché piace”, ma “piace proprio in quanto è bello”.
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