A – Prima di partire spingo forte sulle parallele e mi metto in assetto con le scapole addotte. Sebbene la foto sia piccola, si vedono le “punte” contratte dei dorsali uscire indietro sulla schiena.
B – Il movimento inizia spostando indietro le punte dei gomiti, cioè estendendo volontariamente gli omeri indietro mantenendo l’assetto delle spalle. Fin da subito sposto la testa in avanti e sollevo i piedi, giuro la prossima volta evito gli orrendi pedalini neri, in modo da far ruotare tutto il tronco in avanti. Mantengo i femori perpendicolari al terreno, cioè mi concentro sul non mandare le ginocchia in avanti.
C – Continuo a ruotare in avanti per prendere l’assetto definitivo.
D – E - Scendo fino alla profondità voluta. Vedendomi allo specchio ho memorizzato, nel tempo, la sensazione della postura finale pertanto adesso il movimento è automatico.
Immaginate adesso di risidegnare i fotogrammi ruotandoli in modo da avere il torace sempre nella postura iniziale, facendo pertanto muovere l’intero rack: nel disegno qua sopra un’idea di cosa otterreste.
Notate il passaggio fra il disegno di sinistra e quello immediatamente accanto: come è possibile che l’avambraccio ruoti in avanti e l’omero sia fermo? Che parallele sono? Queste accade perché io inizio il movimento “buttandomi un po’” in avanti e creando i presupposti per trasformare le parallele in una panca declinata estrema!
Non scendo “a picco”, ma in un assetto che mi permette di controllare la discesa utilizzando un pattern motorio che conosco.
Così facendo, pur arrivando ad avere l’omero sotto il parallelo con il terreno ho comunque limitato la sua estensione indietro perché il mio tronco è flesso in avanti e l’angolo dell’omero con il torace non è così aperto come lo sarebbe se avessi il torace più verticale.
In questo modo riesco ad ottenere una buona profondità di discesa in un assetto per me comodo e che non mi crea particolari problemi di stress articolari.
A questo punto… spingo ed inverto il movimento e la risalita risulta praticamente simmetrica rispetto alla discesa. Se vi ricordate la “trattazione” sulle trazioni, per andare verso l’alto non va visualizzato il proprio corpo che viene tirato su perché questo implica la “ricerca” dei bicipiti, la chiusura del braccio sull’avambraccio quando invece è meglio visualizzare lo “sparare i gomiti indietro”, azione possibile solo se vengono utilizzati i dorsali. Analogamente, nella risalita delle parallele non dovete pensare ad andare verso l’alto.
Nel disegno centrale in alto l’omino blu pensa a spingere verso l’alto: il risultato finale è che si sposta in alto e in avanti. Questo accade perché pensare di andare verso l’alto implica visualizzare il braccio che si estende e la spalla che si sposta verso l’alto, verticalmente. Il problema è che quello che state pensando non si verificherà: il braccio si estenderà spostando il vostro corpo in alto e in avanti.
Questa è una risalita in cui ho fatto un po’ di casino e infatti mi sono spostato in alto e in avanti: confrontate il fotogramma H con il precedente C e noterete come nel primo il gomito sia molto più sopra la mano, ad indicare che ho sì esteso l’avambraccio ma la spalla non è salita verso l’alto di conseguenza. Chiudo la traiettoria in I più inclinato in avanti rispetto alla partenza, che per comodità ho riportato in L e pertanto devo riposizionarmi. Il movimento non è in se “errato”, anzi così facendo esco velocemente da una posizione molto svantaggiosa per i tricipiti, bilanciandomi con l’estensione delle gambe, solo che se questo può andare bene per una esecuzione a carico naturale, di sicuro non va bene con un sovraccarico perché aumenta il rischio di essere trascinato in avanti dal peso.
Nei disegni precedenti in basso l’omino pensa ad andare verso l’alto ma anche indietro o, se volete, “spara i gomiti in avanti e si butta indietro”: ovviamente non è che va indietro… è solo uno schema mentale! Il risultato finale è che l’omino si sposta proprio verso l’alto.
Perciò, all’inversione del movimento pensare a sollevare indietro il torace, mandando la testa indietro e spingere contemporaneamente forte sulle barre. Ho cancellato la clip “come fare bene le parallele oh yeah”, nel libro avrete la versione completa con un Paolino senza calzini orridi.
Sintetizziamo
L’esercizio delle parallele o dip parallel bar è un multiarticolare ben più difficile della panca, sebbene sia più semplice delle trazioni. La sua particolarità è che pone il pettorale in uno svantaggio meccanico paurosamente superiore a quello della panca, amplificandone tutti i problemi articolari.
La regola di base è pertanto questa: mai sentire dolore o anche pressione dentro le spalle. Mai e poi mai. La probabilità di avere una compressione della cuffia è enorme. Lasciate perdere tutti i discorsi idioti sull’esercizio più completo: anche se lo fosse, inutile dire che se non potete praticare l’esercizio più completo al mondo perché siete infortunati… non migliorerete.
Come per le trazioni, ci saranno persone che non hanno forza sufficiente per tornare su: parzializzate il movimento, utilizzate pari pari tutte le tecniche descritte per imparare a fare una trazione.
L’esercizio si presta a tutti i protocolli di resistenza alle ripetizioni visti per le trazioni e come per queste diffidate sempre quando troverete su youtube video della serie “50 parallele in 50 secondi”: questi video sono per me estremamente sorprendenti perché c’è gente che riesce ad inabissarsi stretchando i propri pettorali in maniera tale da prendere dei rimbalzi furiosi. Non fatelo, non imparate le parallele in questo modo perché al pari di trazioni e flessioni c’è una estetica del gesto e le parallele sincopate fanno cagare.
Ovviamente l’esercizio si presta a tutti i protocolli di forza e nulla vieta di farci uno Sheiko, un ciclo russo, un periodo a buffer, le onde e tutto il resto: in fondo, si tratta di fare una panca estremamente declinata! Quando calcolate le % dovete utilizzare la stessa tecnica per le trazioni con sovraccarico: sommate a questo il vostro peso corporeo, calcolate la % e poi sottraete nuovamente il peso corporeo. Altrimenti avrete delle sorpresine. Esempio:
Peso 80 Kg, ho un massimale con sovraccarico di 40 Kg. Mi voglio allenare con l’80% del mio massimale, cioè 32 Kg. Giusto? No! Sbagliato, in prigione senza passare dal Via così non prendete i 20 euro.
40 Kg di sovraccarico + 80 Kg di peso che sollevate voi, non è che siete di polistirolo, cioè 120 Kg. L’80% di 120 Kg è 96 Kg e se togliete 80 Kg ottenete 16 Kg di sovraccarico. 16 Kg e non 32 Kg che invece sono il 93% del massimale!
Il peso del vostro corpo è da considerare, un po’ come quelli che non tengono conto del bilanciere ma solo dei dischi e che ti dicono “di panca faccio 35 Kg per parte”, cioè 70 Kg e dato che il bilanciere non è da una parte… non lo contano.
Ma quello chi lo solleva? Qualche mistica forza extraterrestre?
Appena arrivate a 8 ripetizioni, cioè avete raggiunto un livello di forza accettabile, passate alla versione con sovraccarico, fosse anche 5Kg. Il sovraccarico forza una esecuzione tecnicamente più pulita. Del resto, non c’è bisogno di arrivare a 20 ripetizioni perché le parallele non fanno parte, permettetemi, dell’immaginario collettivo dell’”essere forti a carico naturale” come invece accade per le flessioni e le trazioni: per allenarsi con questi esercizi basta un pavimento o un tronco e tutti si sono cimentati in questa roba, mentre non esiste in Natura un albero a tronchi paralleli e vicini, come sono rarissimi i tubi delle impalcature messi in modo da poter praticare questo esercizio: non esiste perciò un retaggio culturale che identifica come “forte” uno che fa tante flessioni alle parallele. Perciò, passate al sovraccarico.
Quando eseguite l’esercizio tenete a mente questi punti di attenzione:
Banale, ma meglio scriverlo che tanto è gratis: le parallele devono essere ad una altezza tale che in caso di fallimento dell’alzata possiate mettere i piedi a terra o su un supporto in modo da non essere trascinati negli abissi dal vostro peso corporeo.
- Non dovete essere “passivi”, facendovi tirare giù dal carico: in posizione di partenza adducete le scapole e ruotatele verso il basso con la stessa tecnica che utilizzate per la panca. In più, contraete il dorsale per tenere appiccicati gli omeri al torace. Dovete spingere anche se siete a braccia tese, attivamente. Questo impedisce all’omero di comprimere la cuffia dei rotatori sulla volta acromiale e stabilizza la spalla limitando le possibilità di farsi male.
- Utilizzate una apertura delle barre che sia al massimo poco più larga delle spalle, 5 cm al massimo per parte: più le mani sono aperte, maggiore è lo stress sulle spalle.
- Scendete spostando indietro il gomito e protendendo in avanti il torace, mantenendo le scapole addotte: in questo modo non sarete mai trascinati giù dal vostro peso corporeo.
- Le prime volte guardatevi allo specchio in modo da memorizzare le sensazioni una volta raggiunta la profondità di discesa desiderata. Questa deve essere sempre la stessa, indipendentemente dal numero di ripetizioni e dal sovraccarico.
- Quando risalite dovete pensare a buttare il torace indietro mentre spingete i gomiti verso il basso e in avanti, come a spingere via le parallele. Questo impedirà che risaliate spostandovi in alto e in avanti.
Questo è vero specialmente per chi usa dei sovraccarichi consistenti: attenti alla postazione degli addominali, ci sono dei piccoli appoggi per i piedi che dovete centrare al volo. A me una volta è capitato di metterci solo un pezzettino di suola e per poco non mi distruggo, perciò per me meglio un bel rack con le parallele basse che mi basta riappoggiare i piedi sul pavimento.
Infine, ragazzi, non voglio fare del terrorismo psicologico alla McRobert: due parallele fatte un po’ a ***** non hanno mai ucciso nessuno ma nemmeno hanno strappato tendini. Semplicemente, una tecnica sbagliata può sovraccaricare la spalla in aggiunta ad altre tecniche sbagliate e creare i presupposti per pallosissime infiammazioni: anche se non muore nessuno, perché creare i presupposti per non allenarsi?
Segnalibri