OK, OK capisco le perplessità di qualcuno di voi; vediamo se riesco con questo post a centrare di più il problema.
Tornamo ad occuparci dell’intensità, o meglio di quelle grandezze che concorrono nella misurazione della qualità e della quantità del lavoro svolto in palestra.
Riuscire a dare una quantificazione a tali grandezze, in riferimento agli obiettivi dell’allenamento, costituirebbe un ottimo approccio nella valutazione della efficacia di un programma e soprattutto consentirebbe di avere dei termini di paragone oggettivi a cui far riferimento.
Nel mio primo intervento avevo cercato di fare chiarezza sulla misurazione della variabile quantità dell’allenamento: visto il tempo che è passato, è preferibile riportare qualche concetto significativo.
Il VOLUME è una misura quantitativa del lavoro svolto durante un allenamento. Se vogliamo riprendere l’esempio dell’automobile, esso misura il numero di Km che l’auto percorre con un pieno di benzina ma non dà alcuna informazione su come tale distanza è stata coperta, sulla media in Km/h tenuta né sui picchi di velocità raggiunti.
L’INTENSITA’ è l’altra faccia della medaglia, rappresenta la misura qualitativa del lavoro svolto in palestra durante un allenamento. Se consideriamo l’automobile, fornisce indicazioni sulle prestazioni ottenute in un determinato percorso (l’allenamento) con un pieno di benzina (le nostre riserve energetiche), sulla media tenuta ma non fa riferimento alla distanza totale che si riuscirà a coprire.
Questo banale esempio permette di comprendere che VOLUME ed INTENSITA’ vanno a braccetto negli allenamenti, non ha senso parlare di una cosa senza considerare il livello dell’altra.
Conoscere i valori di VOLUME ed INTENSITA’ di un atleta momento per momento durante l’arco di una intera programmazione di allenamento (macrociclo), consente di monitorare il grado di adattamento ed i risultati che si stanno ottenendo in relazione agli obiettivi (possibilmente chiari) che ci si è prefissi.
Le due grandezze vanno sempre accoppiate: supponiamo che due atleti riescano a sostenere una intensità pari a 10 unità (per ora non sappiamo ancora come definire l’unità di misura) durante lo stesso allenamento.
Una informazione di questo tipo ci consentirebbe di affermare che i due atleti si stanno allenando con la stessa “durezza” senza nulla dire sul tipo di allenamento a cui si stanno sottoponendo né sui carichi di lavoro utilizzati.
Per stabilire la potenzialità atletica puntuale (giorno dopo giorno, settimana dopo settimana…) di questi due ipotetici atleti, occorre avere anche il dato relativo al volume di lavoro: infatti se il primo riuscisse a sostenere 15000Nm di lavoro mentre il secondo si fermasse a 10000Nm il livello atletico dei due sarebbe ovviamente ben diverso.
E’ ovvio sottolineare che un discorso di questo genere ha un senso se nell’esempio si prendono a riferimento atleti aventi caratteristiche fisiologiche e neuromuscolari simili. Questo non toglie nulla alla validità generale del concetto: infatti nel progettare e monitorare un programma di allenamento a medio/lungo termine l’unico punto di riferimento assoluto per l’allenatore è l’atleta stesso con le sue caratteristiche strutturali immutabili. Sarà quindi sempre possibile valutare possibili evoluzioni e/o miglioramenti attraverso il monitoraggio ed il confronto tra questi primi, semplici parametri (in realtà ve ne sono altri, ben più complessi da valutare, inerenti le capacità di recupero da stress indotto…).
Un atleta, allenandosi al massimo delle proprie capacità psicofisiche del momento otterrà, a seconda del tipo di allenamento, un certo rapporto (diciamo ottimale) tra intensità e volume, tra qualità e quantità di lavoro, tra prestazioni pure e percorrenza se vogliamo riprendere l’esempio dell’automobile.
Qualora l’allenatore (o l’atleta stesso) decidesse di aumentare la quantità di lavoro (il volume, la percorrenza…) inevitabilmente l’altra variabile ne verrebbe a soffrire, ossia la qualità globale dell’allenamento (l’intensità, le prestazioni medie…) calerebbero: se così non fosse significherebbe o che l’atleta in questione prima non si stava allenando al massimo delle proprie capacità, oppure che è sopravvenuto un miglioramento tale delle sue condizioni atletiche da permettere tale incremento di prestazioni senza intaccare la percorrenza totale.
Una volta chiarito definitivamente il senso del rapporto inversamente proporzionale esistente tra Volume ed Intensità, proviamo a dare una definizione quanto più possibile generale ed efficace dell’Intensità stessa.
Come accade per il Volume, ferma restando la variabilità tra persona e persona, la cosa che più interessa è misurare il proprio grado di qualità del lavoro non tanto per confrontarlo con quello realizzabile da altri quanto piuttosto per monitorare in maniera efficace e produttiva le varie fasi del proprio allenamento, valutando eventuali miglioramenti e/o mettendo in pratica gli accorgimenti necessari per ottimizzare i risultati.
Veniamo allora al cuore del problema, la definizione dei parametri che influenzano l’intensità.
La prima cosa che viene spontaneo chiedersi se vogliamo stabilire la qualità di un certo lavoro è la definizione dell’obiettivo, ossia di cosa tale lavoro vorrebbe ottenere: se l’obiettivo è correre la maratona di New York e lavoriamo con carichi attorno al 75% del max, svilupperemo un gran lavoro ma la sua qualità (riferita all’obiettivo) sarà decisamente scarsa.
Questo significa che, ammesso di riuscire a trovare un algoritmo (una formula) che riesca a fornire con un buon grado di approssimazione la misura dell’intensità di uno sforzo, vi sarebbero comunque delle limitazioni alle variabili in gioco determinate da fattori puramente fisiologici di cui in ultima analisi occorre tener conto.
Come base di partenza potremmo senz’altro far riferimento alle considerazioni sviluppate dal Dott. Filippo Massaroni in tanti anni di ricerca e divulgazione: nel corso degli anni il Dott. (nonché Mr. Universo NABBA) Massaroni elaborò una relazione che doveva servire a dare una misurazione alla variabile intensità dell’allenamento.
Nella prima stesura (del 1984 se non ricordo male…), tale formula si presentava nella forma:
I = (Kg x Reps)/ T
In cui Kg è il peso caricato all’attrezzo, Reps sono il numero delle ripetizioni effettuate in una singola serie e T identifica il tempo di recupero tra una serie e l’altra.
Si trattava solo di un primo tentativo, ma racchiudeva già l’essenza di quello che comunemente si intende per allenamento intenso: infatti analizzando tale relazione, è facile comprendere come un aumento dell’intensità è ottenibile:
- a parità di reps effettuate e di tempo di recupero, aumentando il carico al bilanciere;
- a parità di carico e di tempo di recupero, aumentando il numero delle reps effettuate;
- a parità di carico e di reps effettuate, diminuendo il tempo di recupero tra una serie e l’altra.
Non che questo algoritmo sia perfetto, ma si è trattato del primo tentativo analitico di misurazione dell’intensità. Ragionando un po’ su questa formula si potrebbero però sollevare almeno un paio di serie obiezioni: in primo luogo l’intensità dovrebbe essere un parametro indipendente dalla statura atletica del soggetto che si sta allenando, al contrario in questo caso il valore che otteniamo è senz’altro influenzato dalla forza massimale.
Infatti supponiamo di voler misurare la qualità dell’allenamento di due atleti: l’atleta A, con un massimale di 100Kg, esegue 10 reps con un carico di 70Kg ed un riposo di 2 minuti tra una serie e l’altra; l’atleta B esegue lo stesso lavoro (10 reps x 70Kg) ma con un massimale di 150Kg.
Applicando la relazione, si ottiene per entrambi i soggetti che:
I = (Kg x Reps)/ T = (70 x 10)/120 = 5,83
L’esperienza comune ci insegna però che, in una situazione di questo tipo, l’atleta A sta lavorando con un carico pari al 70% del proprio massimale e, eseguendo 10 reps, sta facendo un ottimo lavoro; al contrario l’atleta B si sta allenando con un carico di poco superiore al 45% del proprio massimale, per cui le 10 reps eseguite equivalgono ad un riscaldamento.
Altro neo di questa relazione è senz’altro rappresentato dal tempo di recupero T al quale non sapremmo mai dare un valore qualora ci riferissimo alla prima serie di un esercizio.
Sulla base di questa ed altre considerazioni, Massaroni propose (all’inizio degli anni ’90) una versione più evoluta dell’algoritmo di calcolo dell’intensità:
I = (Kg x Reps)/Max
in cui Max non è altro che il massimale. In tal modo viene superato il problema più grande della versione precedente; infatti, riprendendo l’esempio degli atleti A e B, avremo stavolta:
I(A) = (70 x 10)/100 = 7 I(B) = (70 x 10)/150 = 4,67
a conferma che l’atleta A compie un lavoro di qualità senz’altro maggiore rispetto all’atleta B.
In questa nuova ottica quest’ultimo, per allenarsi allo stesso livello dell’atleta A, dovrebbe caricare il bilanciere con il 70% del proprio massimale (ossia 105Kg) ed eseguire sempre 10 reps.
Qualcuno di voi a questo punto potrebbe domandarsi: dato che è evidente il fatto che l’atleta B sia atleticamente più preparato rispetto all’atleta A, numericamente come possiamo determinare tale differenza?
Ebbene abbiamo già detto che gli indicatori caratteristici di un allenamento sono la sua quantità e la sua qualità, il suo volume e la sue intensità: tali variabili prese singolarmente hanno un significato davvero ristretto, devono sempre essere evidenziate entrambe. Infatti, nell’esempio appena fatto avremo (supponendo per semplicità spostamenti unitari):
I(A) = (70 x 10)/100 = 7 I(B) = (105 x 10)/150 = 7
V(A) = 700 Nm V(B) = 1050 Nm
Quindi la differenza sostanziale consiste nel fatto che l’atleta B riesce a portare a termine un allenamento (o meglio una serie) con la stessa intensità dell’atleta A ma realizzando un volume di lavoro ben più elevato (del 50%).



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