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Discussione: L'INTENSITA': nascita, crescita e possibili evoluzioni di un mito...

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    Quando il comando per la contrazione condotto dalla fibra nervosa (messaggio elettrico) raggiunge la fibra muscolare, si ha la liberazione di una sostanza (acetilcolina) che si riversa nello spazio tra la fibra nervosa e quella muscolare (spazio sinaptico) e va ad attivare recettori specifici situati sulla fibra muscolare (placca motoria).
    A questo punto avviene il passaggio dello stimolo da elettrico a chimico, in pratica il messaggio elettrico, a seconda della sua gamma di frequenza, ha la proprietà di eccitare (polarizzare) alcune molecole formando un flusso ionico che destabilizza la situazione elettrica della fibra muscolare. Questa modificazione elettrica della fibra muscolare provoca una serie di reazioni chimiche che, utilizzando le fonti energetiche disponibili, fanno in modo che i sarcomeri delle miofibrille si contraggano.
    I sarcomeri sono quindi le vere unità contrattili delle miofibrille, essi sono composti dalle due celebri proteine contrattili (actina e miosina). Terminato l’impulso o esaurite le scorte energetiche, avvengono altre reazioni chimiche che riportano la fibra muscolare ad una condizione elettrica di riposo e quindi la fibra si decontrae.
    Più che l’aspetto elettrico e di reclutamento delle fibre, l’esaurimento delle riserve energetiche a disposizione è l’aspetto più interessante per le applicazioni che se ne possono fare nella programmazione degli allenamenti per l’ipertrofia.
    Uno dei fondamenti della fisica è che in natura l'energia totale resta sempre costante o, detta in altri termini, l'energia non si crea e non si distrugge ma può essere solamente trasmessa, trasformata.
    Tutti i movimenti, le reazioni chimiche, le esplosioni, i sollevamenti, ossia tutto ciò che accade ogni giorno non sono altro che eventi che si realizzano mediante la trasformazione di energia da uno stato all'altro.
    Comprendo che questo concetto a prima vista possa sembrare un po' strano, ma se facciamo un banale esempio apparirà senz'altro di più semplice comprensione: consideriamo un'automobile con il pieno di carburante che è in movimento vario, ossia accelera, frena... e proviamo a dare un'interpretazione "energetica" di tale moto.
    L'automobile per restare in moto, ossia per permettere ai pistoni di muoversi, utilizza l'energia chimica generata dalla combustione della benzina: tale energia in parte viene dispersa (non distrutta) sotto forma di energia termica a causa degli attriti della trasmissione e degli organi interni dell'automobile, in parte viene trasformata in energia cinetica (energia del movimento) per il movimento vero e proprio dell'automobile stessa. Se si viaggia a velocità costante l'energia chimica che man mano viene utilizzata è minima poichè si consuma solo quella che serve a vincere la resistenza dell'aria, l'attrito volvente del rotolamento dei pneumatici e gli attriti interni della trasmissione: tali attriti trasformano l'energia cinetica dell'auto in energia termica tanto che se spegnessimo il motore, ossia se interrompessimo la trasformazione di energia chimica in cinetica, il movimento pian piano si esaurirebbe.
    Anche il corpo umano e la muscolatura scheletrica non sfuggono a tale legge della fisica: se consideriamo il nostro organismo come una macchina, esso non sarebbe altro che uno strumento di trasformazione dell'energia, in cui il combustibile è dato dall'energia chimica derivante dal metabolismo degli alimenti ingeriti.
    Il nostro corpo però, al contrario di un’automobile, è una macchina molto efficiente e che sa adattarsi, modificando le proprie strutture chimiche e motorie, alle variazioni energetiche per migliorare il proprio rendimento e, in definitiva, per mantenersi in vita.
    Se vogliamo continuare l'esempio precedente, potremmo considerare il corpo umano come un'automobile ipertecnologica ad altissima efficienza, dotata di un motore modulare formato dall'aggregazione di una miriade di piccoli motori autonomi (le unità motorie).
    Tali minimotori (unità motorie = alfa-neurone/miocellule) hanno una struttura molecolare variabile ed entrano in funzione in numero diverso a seconda del tipo di sforzo da affrontare.
    In realtà l'unico carburante che il corpo umano riesce ad utilizzare, ossia quello da cui riesce ad attingere l'energia che necessita per il mantenimento delle funzioni vitali ed il mantenimento dell'omeostasi, è immagazzinato in quantità variabili all'interno delle cellule stesse e prende il nome di ATP.
    L'ATP è una molecola formata da un certo numero di atomi legati tra loro da legami chimici ad alta energia specifica. Il corpo, nel momento in cui ha bisogno di energia, mette in moto una reazione chimica che determina la scissione di uno o più di questi legami per "liberare" l'energia chimica da essi contenuta.
    Una volta avvenuta la scissione, la molecola di ATP si degrada (ADP) sino a non essere più in grado di fornire ulteriore energia all'organismo.
    Le scorte di ATP presenti nelle miocellule sono di quantità variabile ma comunque limitata, di conseguenza il protrarsi di uno sforzo muscolare determina il graduale esaurimento delle scorte di ATP sino al punto in cui la contrazione dovrà necessariamente bloccarsi.
    Se le nostre capacità di performance fossero legate solamente alle scorte di ATP presenti nelle miocellule, saremmo in grado di effettuare sforzi di lievissima entità e per giunta poco prolungati nel tempo, in quanto tali scorte si esaurirebbero prestissimo.
    In realtà il corpo umano è una macchina molto efficiente e dalle risorse (quasi) infinite: la deplezione completa dell'ATP è interpretata come un fortissimo rischio per la sopravvivenza, per cui esistono 3 serbatoi di diversa grandezza da cui l'organismo attinge non per formare nuovo ATP, ma per "ricaricare" le molecole di ADP, ossia per ripristinare i legami chimici ad alta energia scissi durante lo sforzo.

    1) Il primo serbatoio è piccolissimo e contiene una sostanza chiamata FOSFOCREATINA (CP).

    2) Il secondo serbatoio è di media grandezza e contiene gli ZUCCHERI (sotto forma di GLICOGENO).

    3) Il terzo serbatoio è immenso rispetto ai primi due e contiene i GRASSI.

    Per comprendere meglio come avviene il processo di ripristino dell'ATP, possiamo continuare il parallelismo tra corpo umano ed automobile.
    Se ci sottoponiamo ad uno sforzo di intensità molto alta (come il sollevamento di carichi submassimali o uno sprint), il corpo avrà bisogno di una notevole quantità di ATP in un lasso di tempo limitato e, di conseguenza, di un sistema di ricarica molto veloce per evitare il rapidissimo esaurimento delle scorte. E' come quando il guidatore schiaccia l'acceleratore a fondo richiedendo al motore le massime prestazioni e regimi di rotazione elevati.
    In queste condizioni il corpo umano utilizza il combustibile presente nel primo serbatoio (CP) per la ricarica dell'ATP: essendo le scorte di CP anch'esse piuttosto limitate, ne consegue che gli sforzi molto intensi, ossia quelli che necessitano di una ricarica molto rapida dell'ATP, non possono essere mantenuti a lungo dall'organismo.
    Le reazioni chimiche che trasformano la fosfocreatina CP in nuovo ATP possono avvenire, all'interno delle miocellule, senza la presenza di ossigeno e non danno luogo a formazione di acido lattico (un metabolita di scarto di alcune reazioni chimiche molecolari). Tale sistema di ricarico dell'ATP viene quindi spesso definito come ANAEROBICO ALATTACIDO.
    Passiamo ora a descrivere quello che avviene quando il corpo viene sottoposti a sforzi di media intensità, quali la corsa veloce o, per restare nel tema a noi più caro, serie con carichi intorno al 70-75%, ossia quando la risintesi dell'ATP deve essere di media rapidità.
    In questo caso il combustibile utilizzato è quello presente nel secondo ipotetico serbatoio (il glicogeno): il glicogeno è presente nelle miocellule in quantità decisamente più elevata rispetto alla fosfocreatina ma comunque limitata.
    La reazione chimica che porta alla risintesi di ATP attraverso l’utilizzo del glicogeno avviene anch’essa senza che vi sia necessità della presenza di molecole di ossigeno ma, al contrario della fosfocreatina CP, produce anche una sostanza di scarto (metabolìta) detta ACIDO LATTICO. Per questo motivo tale sistema di ricarico dell’ATP viene comunemente definito ANAEROBICO LATTACIDO.
    Non è questa la sede per analizzare i mille miti che sono sorti attorno alle presunte capacità di generare dolore muscolare o quant’altro attribuite all’acido lattico, basterà invece affermare che l’eccessiva produzione di questo metabolìta determina un innalzamento dell’acidità locale delle miocellule: se consideriamo che l’allungamento e l’accorciamento delle unità motorie (la contrazione) avviene attraverso una trasmissione elettrica, un aumento dell’acidità determina una diminuzione delle capacità di conduzione elettrica e, di conseguenza, un progressivo impedimento alle contrazioni.
    L’ultimo caso da analizzare è quello che vede il nostro corpo impegnato in uno sforzo di lieve intensità e, in quanto tale, di possibile lunga durata. Se l’organismo si accorge di trovarsi in una condizione di questo tipo (footing, cyclette leggera...) comincia ad utilizzare come combustibile per la ricarica delle scorte di ATP la benzina presente nel terzo, immenso serbatoio, quello dei grassi.
    Il processo che porta alla risintesi dell’ATP a partire dagli acidi grassi (Ciclo di Krebs) è abbastanza complesso e necessita della presenza di ossigeno: produce una scarsa quantità di ATP nell’unità di tempo ma non genera acido lattico (sistema AEROBICO ALATTACIDO).
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