Cercando parole forti e decise
provi a descrivere come sei dentro.
Riesci a carpire un lucido senso
di gioia nel fare qualcosa di tuo.
Poi ti ritrovi con quello che hai scritto.
Leggi, rileggi e cerchi il perfetto.
Parola ingombrante che umana non è.
Segno di forza che in vero non c'è.
Scarti un saluto,
rimbrotti il passato.
Voli di idee coi piedi piantati.
Ali tarpate, cercando una colpa.
Sposti la mente sul vecchio che scava.
Sai che non è la vita migliore,
come una macchina senza motore.
Perdi degli anni a stringere aria
che vola si libra e ti lascia quaggiù.
L'esempio di un uomo che forte e deciso
riesce tra l'altro a ridere in volto,
è stato perenne lontano da te
spaccato da noie, problemi e mestizia.
Lo cerchi in qualcosa che mai troverai.

Un padre.
Figura lontana, e senza potere,
che prova a mostrare ciò che non è:
una guida gioiosa che allevia i dolori.
Diventa alla fine la somma dei mali,
cosparge di false benevole mosse,
le teste dei figli che non sono più suoi.
Si stacca qualcosa, si perde un ricordo,
rimangono solo quelli peggiori,
per farti odiare l'umano fallire,
per dirti che Dio non deve morire.
Col tempo si svuotano i cuori,
empi discorsi lasciati a metà: volutamente.
Niente sorprese, sorpassi o spaventi:
solo la vita, abitudini e stenti.
Cancelli lo sforzo che provi a star bene,
poi ti disintegri nelle tue pene.