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Discussione: Il ferro ha salvato la mia vita

  1. #1
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    Predefinito Il ferro ha salvato la mia vita

    Ciao a tutti!
    Sono più di due anni che lurko in questo forum, e questa sera ho deciso che è il momento di palesarmi. Premetto che sarò un po' prolisso, visto che devo recuperare il tempo perduto. Scrivo questa presentazione per due motivi: ringraziarvi per tutto quello che mi avete dato, primo, e tentare di testimoniare quello che ho imparato.

    Comincio, come è giusto, con qualche dato. Compio 40 anni il mese prossimo. Sono 176cm per 75.8 kg, % di bf bassa ma non degna di nota. Mi alleno principalmente per la forza. Mi alleno da due anni e mezzo, seguo da sei mesi un coniugato simil-Westside adattato ai miei tempi e alle mie capacità di recupero. I miei massimali sono ridicoli, ma per me costituiscono un risultato importante: squat 80, panca 70 senza fermo, stacco 125. Credo che l'impulso a buttare giù questa pappardella derivi dall'entusiasmo di aver ottenuto il mio 1BW nello squat (sotto il parallelo, cintura da PL) la settimana scorsa. Per il 95% di voi è un punto di partenza, lo so, ma per uno che a 30 anni faceva la pressa 45° Technogym 3x15-40kg è stato come conquistare la cima dell'Everest.

    Perché io sono sempre stato fisicamente debole, fin dalla nascita. Da neonato non succhiavo il seno, tanto che mia madre fu costretta a usare un biberon cui allargava il buco con uno spillo rovente, così che il latte mi gocciolasse in bocca. Una volta svezzato, odiavo il momento del pasto, con tre bocconi ero a posto e passavo il resto del pasto tra moine, minacce e trangugiamenti a forza. Alla scuola materna, dove vigeva la regola che ci si poteva alzare da tavola solo dopo aver ripulito il piatto, mi lasciavano da solo nel salone fino a quando gli altri non tornavano dal riposino, e solo a quel punto le maestre rinunciavano e mi toglievano il piatto da sotto. Quando si mangiava all'aperto, all'inizio dell'estate, scavavo furiosamente con il piede una piccola buca, e di nascosto interravo il pranzo (ricordo ancora come una vittoria personale l'aver fatto sparire quegli odiatissimi carciofi in barba a tutti). A quel tempo, mia madre era abbastanza angosciata per questo problema del cibo, e a volte chiedeva delucidazioni al medico. Ma erano gli anni '70, e il medico si limitava a dire che ero così, era la mia costituzione, in fondo ero sano e non c'era nulla di cui preoccuparsi.

    Sano ma debole. Non avevo forza, non avevo fiato. La mia carriera sportiva di bambino fu ovviamente un disastro. Poiché stavo crescendo curvo, a 9 anni fui mandato da mia madre a nuoto. Ero molto portato, ero affusolato e leggero, e sviluppai velocemente uno stile molto elegante che ancora ho. Ma fiato non ce n'era, e dopo essere stato portato allo stremo delle forze, un pomeriggio, da un istruttore con manie di grandezza, e quasi annegato a un metro dal bordo per resa alla fatica, feci un paio di scenate a casa e abbandonai con sollievo la piscina.

    Dopo venne il basket, e anche lì avevo degli sprazzi di capacità e una buona mira, ma poche gambe e nessun senso del gioco di squadra. Non parliamo dell'atletica, dove non ero veloce né tantomeno resistente. Poi il calcio, un anno con la squadretta dell'oratorio: campo troppo grande, palla troppo pesante e il gioco tutto intorno a me.

    Alla fine rinunciai allo sport. Non faceva per me dal punto di vista fisico, era chiaro, anche se dentro di me qualcosa bolliva. Io volevo fare qualcosa di fisico, io volevo potenziare il mio corpo. Erano gli anni '80, c'erano Rocky e Rambo, c'era il mito dei muscoli (chi ha visto Bigger Stronger Faster sa di cosa parlo). Quando un mio compagno in prima superiore mi raccontò di aver fatto un allenamento con il fratello maggiore in palestra e mi propose di iscriverci, accettai senza riserve. Avevo 14 anni.

    La palestra mi appassionò più di ogni altra attività, anche se durai pochissimo. Andavo 6 pomeriggi su 7, e rimanevo per 3-4 ore. In poche settimane mi esaurii, e i miei voti a scuola, da eccelsi che erano (non lo dico per vantarmi) crollarono miseramente. Da 9 a 4 in un lampo, in tutte le materie. Mia madre era contenta perché mi stavo rafforzando nel fisico, mio padre era incazzato nero e, temendo che mi stessi rovinando, minacciava il ritiro dalla palestra. In più, l'istruttore (un maghrebino enorme) era scocciato dalla presenza di ragazzini, aveva la tendenza a rimproverarci e io non ho mai sopportato i rimproveri, perché sono sì debole nel fisico, ma per niente pronto ad essere sottomesso. Ricordo di quelle settimane un episodio in particolare. Volevo fare la panca inclinata, che ovviamente era stata lasciata caricata con dischi da 10kg. L'attrezzatura era quel che era, i bracci erano stretti e senza fermi, per cui tolto un disco da una parte il bilanciere crollò dall'altra, quasi ferendo una signora. L'istruttore corse e si mise a urlare come un ossesso, la signora gli diede manforte e le grida fecero arrivare il proprietario. Era il meno agitato, mi disse conciliante che per scaricare il bilanciere dovevo chiedere aiuto all'istruttore, così nessuno si sarebbe fatto male. Io, inviperito dai rimproveri, esplosi: “Infatti volevo chiederlo a lui, ma non c'è mai, passa tutto il tempo a chiacchierare con la ragazza della reception!”. Fu il gelo, il re era nudo. “Eh, no, tu devi stare in sala a fare il tuo lavoro”, gli disse il proprietario, “e non perdere tempo a scherzare con la MIA ragazza”. Mentre l'istruttore negava e si giustificava, mi allontanai nello spogliatoio. Tre minuti dopo l'istruttore fece irruzione nello spogliatoio e mi venne quasi addosso come una furia. A tutt'oggi sono certo che, se non ci fosse stato lì un signore che si cambiava, mi avrebbe messo le mani addosso, perché appena lo vide si fermò e si sforzò di mantenere la calma, dicendo che quello era il suo lavoro e lui di quello campava, e quindi dovevo stare attento a quel che dicevo. Io risposi: “Allora cerca di stare calmo” e lui soffiando se ne andò. Pochi giorni dopo, un ulteriore compito in classe di latino dagli esiti disastrosi decretò, per imposizione paterna, la fine della mia avventura adolescenziale nel body building. Il mio manifesto motivazionale di 1997 Fuga da New York (esattamente questo qua http://static.blogo.it/cineblog/1997FugadaNewYork.jpg) venne strappato dalla parete della mia stanza e mi fu ordinato di non iscrivermi più in nessuna palestra.

    Ostilità in casa, ostilità in palestra, il mondo adulto mi aveva condannato a restare debole e io dovevo accettarlo. Per cui chinai la testa e tornai curvo ai miei studi.

    (Nota: ragazzi, non pensavo che l'avrei tirata così per le lunghe, sono ancora all'inizio. Ora però sono le 4 e devo dormire, non ho neanche la forza di rileggere per le correzioni. Se domani ho tempo continuo, se ho infranto qualche regola chiedo scusa e la pianto qui. Grazie dello spazio e un saluto a tutti)
    Ultima modifica di Perdij; 17-01-2012 alle 05:16 AM

  2. #2
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    Siccome chi tace acconsente, riprendo da dove avevo lasciato ieri sera.

    La mia adolescenza passò così, in un soffio, e l'unica cosa che guardavo allo specchio era la pettinatura, qualche brufolo infame e due peli di barba che ogni tanto bisognava tagliare.

    Nella primavera del '93, a 21 anni, feci mente locale, cercai uno specchio più grande, e guardando quello scheletro di 57kg decisi che era giunto il momento di ricominciare a spingere. Questa volta niente palestra, però, bensì allenamenti a casa. Flessioni, bicipiti con manubri da 5kg, e addominali in quantità (ovviamente sit-ups). Insomma, il classico allenamento da ventenne che non vuole sfigurare eccessivamente quando si toglie la maglietta. Il tutto condito da un piano alimentare rozzo ma d'impatto, che consisteva nel mangiare più possibile ai pasti principali, chiudere sempre con un gelato, e introdurre un nuovo pasto a me finora sconosciuto: la merenda (la colazione era invece un vocabolo a me alieno). In questa occasione trovai anche la fonte nutrizionale che mi permetteva di aumentare di peso senza distruggermi lo stomaco (che è sempre stato molto delicato): le nastrine del Mulino Bianco. So che a voi pare assurdo, ma per più di 15 anni, ogni volta che volevo pesare di più sulla bilancia, introducevo due nastrine a merenda per qualche settimana (avevo imparato a mie spese che le fieste Ferrero garantivano lo stesso risultato ma con l'effetto collaterale di distruggermi l'apparato gastrointestinale).

    Piegamento dopo piegamento, in pochi mesi aumentai di 8kg, sviluppai un addome di ferro e anche qualche accenno di tricipiti e pettorali (bicipiti non pervenuti, invece, perché adattati in fretta ai 5kg del manubrio fisso). Sopra l'addome di ferro, un piccolo strato di grasso che, unito ai pasti troppo sostanziosi, mi aveva dato una bella pancetta rotonda. Ricordo una sera che un mio amico disse: “Sei ingrassato, hai la pancia”. “Posso farla sparire quando voglio”, risposi io, forte del mio metabolismo cannibale. “Sì ma tu puoi scegliere tra due versioni: o secco da far paura, o con pancia e gambette, come quegli ometti fantozziani che vengono a giocare a carte al bar. A 40 anni tu sarai come loro”. “No, a 40 anni io sarò più bello di ora, vedrai se non è vero”. “Con le gambette e la panza, fidati”. “Vedremo”.

    Nel luglio di quell'anno ero in forma smagliante, almeno secondo il mio giudizio. 65kg di pura potenza. Fu una foto scattata durante una gita in campagna con degli amici a risvegliarmi: avevo qualche minuscola rotondità, è vero, ma ero completamente incassato. Tutte quelle flessioni e quegli addominali mi avevano curvato ancora di più, peggiorando la mia già critica postura. Mentre meditavo su come risolvere la situazione, m'imbarcai con 10 amici su un charter per Ibiza. 17 giorni dopo, al ritorno a casa, non riuscivo a fare più di 2 flessioni, dovevo stringere la cintura all'ultimo buco, e la bilancia dichiarava un peso di 52kg. Ne trassi due conclusioni. Primo: le flessioni avevano un effetto effimero e non ripagavano la fatica che costavano. Secondo: se non mi davo una raddrizzata, ben presto qualche medico legale avrebbe dichiarato che la mia morte era avvenuta per arresto cardiaco mentre ballavo musica house in pista, e un esame tossicologico avrebbe chiarito definitivamente la causa del decesso. Compreso questo, un mese dopo, un buttafuori mi bloccò mentre aprivo un'uscita di sicurezza della discoteca più estrema della zona, per uscire all'aria aperta. “Lasciami in pace, me ne vado a casa, non torno più”, biascicai. Lui si ritrasse, io me ne andai, e in effetti non tornai mai più. Con un semplice ciao alla combriccola e due passi nella notte ero tornato l'unico padrone di me stesso, e non avrei rinunciato di nuovo a questo privilegio. In fondo avevo 21 anni e tutta la vita davanti, perché buttarla?

    Alla palestra ricominciai a pensare nel '98, a 25 anni. Mi ero sposato l'anno prima, ero diventato padre, mi ero laureato e avevo cominciato a lavoricchiare. Tutto in fretta e tutto insieme. Visto che mia moglie cucinava meglio di mia madre, stavo aumentando di peso. Giunto senza troppi sforzi e con qualche nastrina di supporto a 67kg, m'iscrissi a una palestra a due chilometri da casa. Qui un'istruttrice molto simpatica e con due spalle così mi mise su un tapis roulant per un paio di settimane. Prima 20 minuti, poi 30, e alla terza settimana scoppiai. Non riuscivo neanche a finire la scheda, che consisteva in un elenco di 4x12 alle macchine. “Come dimagrito?”, mi disse quando le esposi i miei dubbi sulla scheda. “Eh sì, sono stremato”, risposi io. “Allora... forse... bisognerebbe cominciare a pensare a un'integrazione...”. “No, guarda, non m'interessa, non è la mia priorità mettere su muscoli a tutti a costi, tanto poi se ne vanno in fretta. E poi mi scrocchiano le spalle, mi sto facendo male, lo sento, mi sa che proprio che non fa per me, non ho il fisico, mi piace passare qualche oretta qui ma senza impegno”. Non solo capì perfettamente, ma mi prese sotto una specie di ala protettrice. Dislocazioni con bastone, L-fly ai cavi, trazioni a 45° con triangolo, non più di 10 minuti sul tapis roulant, quella tipa si mise d'impegno e mi ritagliò una scheda che mi fece ottenere dei progressi. Stavo meglio, mi sentivo più attivo, la mia postura migliorava (senza miracoli).

    Poi non la vidi più, e mi mancò il suo supporto. Un pomeriggio, arrivò un nuovo cliente in palestra. Un ragazzo enorme, un trionfo di muscoli, parlava con l'istruttore che gli faceva i complimenti per i risultati. “Da quanto ti alleni?”, gli chiese. “Due anni, ma ora sono in crisi. Non so come continuare, sto stallando, devo variare, infatti se hai qualche consiglio...”. “Quanto fai di recupero tra le serie?”. “Un minuto”. L'istruttore propose: “Potresti scendere a 50 secondi”. Il tipo lo guardò come se fosse una cacca di piccione sulla spallina della giacca e non gli rivolse più la parola. L'istruttore si vergognò e sparì, salvo poi commentare in sua assenza con più persone che quello era pieno di steroidi e pure stronzo, tipico effetto collaterale degli steroidi.

    Io ovviamente non potevo essere sospettato di far uso di steroidi, visto che continuavo ad essere magro come un chiodo, anche se più pimpante e ormai con quasi un anno di esperienza. Ma ebbi anch'io, in quella palestra, il mio momento di gloria.

    Arrivò infatti un giorno un ragazzo sui 20 anni, parecchio sovrappeso, piccolino di statura. Poiché le successioni di una scheda da palestra commerciale si somigliano un po' tutte, fummo vicini per tutto l'allenamento. Prima sul tapis roulant, io con i miei 10 minuti di corsetta leggera e sciolta mentre lui lasciava l'anima e dieci litri di sudore per arrivare in fondo alla corsa. Poi alle macchine, prima lui e poi io. Dopo un'ora, arrivati all'abdominal machine, un suo amico lo salutò e controllò il peso dell'esercizio. “Bravo, vai leggero, non esagerare”, commentò. “E certo che vado leggero, mica sono esaurito come quello lì!”, disse indicandomi con lo sguardo. Io caddi dal pero, e anche il suo amico. “Perché è esaurito?”, chiese. “Carica più di me”. “Eh, ma lui chissà da quanto tempo lo fa”. “No, mi segue da un'ora, e aggiunge pesi a tutte le macchine che ho appena fatto io per sentirsi superiore!”. Io ero allibito, e lo sguardo dubbioso del suo amico (del tipo “ma cerchi rogna?”) mi preoccupò anche un po'. Per fortuna il tipino sovrappeso non venne a farsi la doccia - credo per non spogliarsi in pubblico - altrimenti avrebbe urlato a squarciagola che me l'ero allungato con la pompetta pur di fargli dispetto. In ogni caso ero contento, perché per la prima volta non ero il più scarso della palestra, e addirittura c'era chi si sentiva umiliato dalla mia presenza.

    Tra parentesi, ho rivisto il tipo qualche tempo fa dopo più di 10 anni, al seggio dove ero andato a votare. Ho capito che era lui non dalla faccia, ma dalla particolare sagoma del suo corpo, che era rimasta la stessa, anche se con qualche chilo in più. Anche lui mi ha riconosciuto, me sono certo, perché appena mi ha visto mi ha squadrato da testa a piedi e mi è venuto incontro con fare deciso. Quando era a un metro da me gli ho detto: “Salve...”, e lui fissando con odio la mia camicia attillata ha detto con voce autoritaria: “Salve, eh!”. Era ovvio che si sentiva ancora offeso per quello che (non) era successo anni prima, ma stavolta aveva dalla sua la divisa da carabiniere che indossava. Che la sua voglia di rivalsa fosse evidente, non c'era dubbio. L'ho guardato rispettoso ma un po' (lo confesso) divertito, come a dire: “Mi vuole arrestare perché sono magro?”. Lui ha avuto un piccolo sussulto, forse chiedendosi cosa stesse facendo, e si è allontanato a testa bassa.

    Ha una faccia simpatica, dev'essere un bravo ragazzo, penso che faccia con correttezza il suo lavoro. Un po' mi dispiace di stargli tanto antipatico, ma so che quando uno a pelle non ti sopporta non ci si può fare molto. Pazienza, è la vita. Speriamo che non abbia mai una scusa per esercitare il suo potere su di me, perché sono certo che lo farebbe.

    Nota: Anche stanotte s'è fatto tardi, e non ho ancora terminato. Spero di poter concludere, prima o poi. Scusate per la lunghezza di questa introduzione senza fine. Un saluto a tutti.
    Ultima modifica di Perdij; 18-01-2012 alle 05:50 AM

  3. #3
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    Spero di poter vedere come finisce.
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  4. #4
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    Anch'io... Al prossimo post

  5. #5
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    @ stefanopunk e Bl4cKCrOw: grazie, mi avete dato forza.



    Dopo un anno mezzo, cambiai palestra per ragioni logistiche. Ce n'era una proprio al crocevia tra casa asilo e lavoro, ben attrezzata, per cui pagai il trimestre e mi infilai i calzoncini. Avevo con me ancora la scheda preparatami dalla vecchia istruttrice, e nessuna intenzione di cambiarla, per cui salii sul tapis roulant, impostai la velocità a 7 e mi misi a trotterellare a passo leggero, in perfetta autonomia e a bocca chiusa.

    Perché io in palestra saluto quando entro e quando esco, come educazione vuole, ma non parlo mai con nessuno. E quando dico nessuno, intendo nessuno. Da quando la mia istruttrice era sparita, non avevo mai rivolto la parola a nessun altro istruttore. Le poche cose che avevo imparato in più le avevo apprese ascoltando i discorsi di altri, e mi sembravano più che sufficienti per il mio scopo, che non sapevo neanche esattamente quale fosse. Nella vecchia palestra ero diventato invisibile da tempo, ma ora ero appena entrato in una nuova, e sapevo di dover ritagliare di nuovo la mia posizione solitaria, cosa che speravo di fare il prima possibile. E ci riuscii.

    Dopo pochi minuti dal mio ingresso in sala cardio, infatti, dall'altra sala fu mandato ad accogliermi un istruttore. Lo intravidi grazie al riflesso dello specchio, quando ancora non sapeva che io lo stavo guardando. Alto, massiccio, sicuro, e scocciatissimo che toccasse a lui prendersi cura di un novizio come me. Infatti non solo non ero il cliente ideale, cioè una ragazza giovane, carina e un po' ochetta, ma addirittura un nerd pallido e occhialuto, che lo avrebbe fatto faticare a insegnare per l'ennesima volta come si usano i macchinari e non gli avrebbe mai dato alcuna soddisfazione, perché era una mezza sega senza speranza. Sbuffò fino a che fu accanto a me, poi mi fissò con un sorriso di plastica e disse: “Ciao!”. Io lo guardai come si guarda un venditore di rose cingalese che ti si avvicina quando stai fumando da solo fuori da un ristorante. “Ciao...”. Lui rimase colpito dal tono scostante. Guardò il display del tapis roulant, e l'esperienza gli disse due cose: che conoscevo lo strumento e che non avevo voglia di sudare in palestra. Era dubbioso sul da farsi, io gli feci un cenno con la testa che significava “perderemmo tempo entrambi”. Lui disse, sollevato: “Se hai bisogno mi chiami”, e si allontanò. Da quel momento potei muovermi liberamente senza essere infastidito, visto che tutti gli altri istruttori pensavano che fosse lui il mio riferimento, e lui non si sognava certo di venire a chiacchierare con me.

    Con l'ingresso nel nuovo ambiente avevo preso anche una decisione: avrei utilizzato la chiavetta Technogym per varcare l'entrata, ma non l'avrei mai più fatta programmare e non l'avrei mai più infilata in un macchinario. Era solo uno specchietto per le allodole, inventato per dare l'illusione di far parte di un complesso sistema ordinato, ma di fatto era solo una limitazione della libertà. Pagavo la tariffa per usare i macchinari e le docce, non certo per obbedire alle indicazioni di un gadget elettronico.

    Il mio allenamento, a quel tempo, pensato in origine come un A/B/C, era diventato, a causa del fatto che più di due volte a settimana non riuscivo mai ad andare, un A/B, e dopo qualche mese un A ripetuto due volte nella stessa settimana . Questo unico allenamento, che avrei ripetuto con costanza per quasi quattro anni (mi vergogno, oggi come oggi, a dirlo a me stesso), comprendeva decine di esercizi ordinati senza senso (la scheda era opera mia) e che non portarono a nessun risultato significativo dopo i primi mesi. Mi allenavo in una condizione permanente di stallo, e gli unici progressi erano dovuti di volta in volta a dei microcambiamenti nel numero di serie e ripetizioni che apportavo ascoltando i segnali del mio corpo.

    Credevo sinceramente di aver toccato il mio apice, e di dover lavorare sodo solo per mantenerlo. Quegli 8kg di curl manubri in fondo erano il doppio del peso di quando avevo iniziato anni prima, e dovevo essere contento così. Se mi alimentavo sostanziosamente toccavo i 73kg di peso, se mi veniva l'influenza perdevo un paio di kg e dovevo ricominciare da capo.

    Ma non ero insoddisfatto, anzi. Ero magro e tonico, assolutamente non definito ma con una forma accettabile. Ovviamente non potevo trasmettere un'impressione di forza, e non si poteva parlare di muscoli, ma mi piacevo.

    A volte mi prendevo delle soddisfazioni paradossali. Una volta ad esempio vidi, mentre mi avvicinavo alla rastrelliera manubri, un quarantenne molto alto, magro ma con uno scheletro significativo, che messo all'opera poteva dare molto. Era il suo primo giorno, e come tutti i novizi della palestra era stato messo a fare un'alzata manubri da 4kg, non meno di 10-12 ripetizioni. Fradicio di sudore, ansimando come un moribondo, si voltò e mi vide. Mi squadrò, e forte dell'impresa appena compiuta, commentò il mio fisico con un “Pfui” che mi indispettì. Ignorandolo, presi i miei manubri da 8kg e mi misi a fare il consueto curl. Quando vide che i miei manubri erano più grossi dei suoi e che a fine serie non arrancavo, rimase di sasso. Io mi allontanai, e dallo specchio lo vidi che afferrava i manubri che avevo appena riposto, per saggiarne il peso. Erano pesanti, non c'era dubbio. Pensare di fare l'esercizio con quei pesi, non se ne parlava. Qualcosa non gli tornava. Chiamò il più giovane degli istruttori, quello appena assunto, e parlò molto chiaro. “Senti un po', fammi capire bene perché questa cosa è parecchio faticosa: se io faccio questi esercizi mi vengono i muscoli?”. Il giovane rimase di stucco. “Beh, sì, chiaro...”, balbettò. “E no che non è chiaro! Quello lì alza molto più peso di me e non ha un muscolo! Come lo spieghi?” Il tipo mi aveva indicato. L'istruttore si voltò, e vide il mio sorriso sardonico riflesso. (“E' vero, ha ragione il signore, io alzo più di lui ma non ho muscoli, come glielo spieghi ora?”. “Bastardo”, mi dissero i suoi occhi che comunicavano con miei). “Per ottenere l'ipertrofia muscolare il sistema migliore è l'utilizzo di sovraccarichi, cioè di pesi che...” “No no, non ci siamo capiti, se io vengo qua è perché voglio i muscoli, quindi la mia domanda è: sei sicuro che facendo questo esercizio mi verranno i muscoli?” (“Dai, sii onesto, digli la triste verità, che a fare lento manubri con 4kg non gli verranno i muscoli, è impossibile. Ecco, digli così: impossibile!”. “Ma non glielo posso dire, ma pensa te che situazione”). Con voce rassicurante gli disse invece: “Ci vuole tempo e costanza...”. “Sì ma quanto tempo, quanto tempo per i muscoli?” (“Guarda, io sono cinque anni ormai e non ho un muscolo, e sì che ne ho alzati di pesetti da 4kg eppure eccomi qua, sono più seghino di lui anche se ne alzo 8. Secondo me questa storia dei pesi che fanno aumentare i muscoli è una bufala per fregare soldi al signore, siete dei truffatori ecco cosa siete”) “Beh, dopo qualche mese, i primi risultati già si vedono. Ovvio che ognuno risponde a modo suo allo stimolo e poi ci sono altri fattori...” “No, scusa ma non mi hai convinto per niente, comunque ora sono stanco e vado a fare la doccia, ma ne riparliamo perché mi sento un po' preso in giro, te lo dico proprio apertamente”.

    Al termine della scena, con due sole occhiate complici avevo conquistato la simpatia dell'istruttore giovane. Da quel momento mi salutò sempre con sorriso aperto, ma se tra di noi nacque qualcosa simile all'amicizia fu quando arrivò in palestra “la ragazza che non poteva riposare”.

    “La ragazza che non poteva riposare” era una trentenne dinamica e in carriera, approdata in palestra per migliorare il suo tono e la sua efficienza generale, e perché no, anche lavorativa. Il giovane istruttore la scortò in sala il suo primo giorno, per introdurla al magico mondo della tonicità. Quando mi vide seduto, non ebbe dubbi e me la portò a due metri. Primo esercizio: lat machine. La ragazza si fece spiegare bene la dinamica (inspirare, espirare, dieci ripetizioni etc.) e partì. Alla fine della serie disse istantaneamente: “Ora come procediamo?” “Riposiamo un minuto e poi lo rifacciamo”, disse sorridendo l'istruttore. “Come riposiamo? Non è meglio farlo subito senza riposare? Io non sono stanca!”. “Eh ma... tra una serie e l'altra si riposa un minuto, si fa così”, disse l'istruttore cercando con lo sguardo il mio appoggio. Io confermai con un cenno del capo. “Ma io non posso stare un minuto senza fare niente!”, squillò la ragazza. L'istruttore sussultò: “No ma passa in fretta, anzi è già passato, possiamo rifarlo”. La tipa ripartì, inspirò, espirò, terminò. Ora era scocciata: “Quindi ora dobbiamo aspettare di nuovo un minuto! No ma non ce la faccio, questa storia del minuto non mi piace per niente!”. L'istruttore ormai era avvilito, per cui decisi di consolarlo: “Invece a me il minuto di pausa è la cosa che piace di più”, dissi, “io vengo qui proprio per riposarmi tra una serie e l'altra.” Qui la ragazza si irrigidì: “No, calma un attimo, io non voglio fare amicizia, questo deve essere chiaro!”. Subito puntualizzai l'equivoco: “Neanche io voglio fare amicizia, infatti mi stavo rivolgendo al mio istruttore”. Che subito intervenne: “E' vero, stava dicendo a me”. La ragazza si agitò: “A chi diceva diceva, qui le cose non vanno, io non aspetterò tutti questi minuti, o faccio qualcosa o me ne vado”. “Abbiamo delle lezioni di step, giù, lì non si riposa mai, se vuoi ti faccio vedere la sala...”. “Io devo rimanere attiva, sempre, andiamo, cosa fai, se vuoi parlare con lui io me ne vado a casa!”

    Tra queste follie, gli anni passarono. Io andavo principalmente la mattina presto per questione di orari di lavoro, e venivo puntualmente tartassato da una ragazza logorroica, anoressica e completamente schizzata che pretendeva di avere un dialogo con me (visto che ce l'aveva con tutti), specialmente quando mi vedeva correre senza fiato sul tapis roulant: “Non parli molto”, “Perché non saluti?”, “Perché stai sempre zitto?”, “Mi sa che qualcuno qua pensa di essere migliore degli altri!”. “Scusa, sono senza fiato, non ce la faccio...”, dicevo io senza mentire. “Sì vabbè”, rispondeva lei. Negli ultimi tempi, vedevo sempre più spesso accanto a me anche l'istruttore alto e massiccio del primo giorno. Era stato convinto dalla ragazza logorroica che io snobbavo tutti, ed era comunque invidioso marcio del mio rapporto di complicità con l'istruttore neoassunto.

    Mi ronzava intorno, aspettando l'occasione buona per attaccare discorso, salvo poi recitare immediatamente la parte della figa offesa. Una volta mi stava fissando mentre facevo le estensioni dei tricipiti con manubrio. Come i miei occhi incrociarono i suoi venne lì e urlò: “E chiudili 'sti gomiti! Almeno chiudi i gomiti!”. Questo contraddiceva tutto ciò che avevo imparato negli anni: “Ma... non fa male all'articolazione bloccare il gomito?”. “Con 6 chili? E che male ti può fare? Mica sei di pastafrolla!”, disse andando via col naso all'insù e sculettando, più o meno come faceva la logorroica.

    Alla fin fine gli utenti della palestra erano sempre gli stessi, e potevano essere racchiusi nelle grandi categorie che tutti conoscono: le quarantenni che ti mettono il culo in faccia, le ragazzette amiche del mondo ma caste per non perdere valore sociale, gli anziani piacioni, i muscolosi che parlano solo tra di loro di integrazioni magiche e i pischelli in gruppo che cercano la via della figa.

  6. #6
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    Un giorno però arrivò un ragazzo che notai subito per la sua stranezza. Era decisamente diverso dagli altri, anche nell'abbigliamento, che non era affatto curato come quello degli altri frequentatori. In più ai piedi aveva delle Chuck Taylor della Converse, blu. Sulle prime pensai che fosse un novizio, e che qualcuno avrebbe dovuto dirgli che quelle scarpe per il tapis roulant non andavano bene. Ma non stava correndo sul tapis roulant, e non erano affari miei. Però mi aveva incuriosito, per cui lo tenni d'occhio. Tirò fuori dalla tasca un metro da sarto, e si mise a misurare il bilanciere che stava sulla panca piana. “Ma come li fanno 'sti bilancieri, sono tutti sbagliati!”, disse severo all'istruttore massiccio, che tanto per cambiare stava a due metri da me e che rispose assertivo: “Sì sì, lo so, hai ragione”. Cosa avessero di sbagliato i bilancieri, non era dato sapere. Forse erano troppo lunghi, o troppo corti, ma in fondo che differenza poteva fare? Il ragazzo con le Converse si stese sulla panca e inarcò la schiena, staccò il bilanciere e fece qualche ripetizione decisa in quell'assurda posizione. Io guardai l'istruttore, aspettando che lo riprendesse, ma quello lo fissava zitto. Il ragazzo si alzò, prese dei dischi e caricò ancora di più il bilanciere, poi si rimise in quella terribile posizione che mi faceva male solo guardare. Sentii mio dovere intervenire e richiamare all'ordine quel bambascione dell'istruttore. “Ma così si fa male alla schiena!”. “No, non si fa male...”, disse guardandomi con delusione, “La panca da gara si fa così”.

    La panca da gara? Mi stava prendendo in giro? Esistevano gare di panca? Per me era una novità. Le uniche garette di panca che avevo visto in anni di palestra erano fatti da due o tre bodybuilder quadrati che si sfidavano alla buona, tutti con pettorali e braccia enormi, gente molto diversa da quel ragazzino, e nessuno di loro aveva mai inarcato la schiena in quel modo innaturale e palesemente pericoloso. Intanto però il ragazzino non si spezzava e continuava a caricare dischi su dischi. Poi chiese una mano all'istruttore, che scattò in piedi quasi inorgoglito e si mise dietro la panca. “Non lo devi toccare, capito?”, disse il tipo minaccioso. “Sì sì, non ti preoccupare”, rispose l'istruttore concentrato. Passarono dieci minuti in cui i dischi aumentavano, e addirittura l'istruttore andò in giro a cercarne altri. All'ultima alzata il peso era diventato ai miei occhi qualcosa di surreale. Poi la seduta di panca finì.

    Il ragazzo si alzò e attraversò la sala. Lo fissai per studiarlo bene, certo che mi fosse sfuggito qualcosa. Era qualche centimetro più basso di me, e a occhio mi sembrava addirittura più leggero di me. Però a differenza mia era solido, era il più solido della sala, e sicuramente in quel momento il più forte. Da dove traesse quella forza, non riuscivo a capirlo. Quando lo vidi entrare sotto un bilanciere e fare lo squat, vicino al multipower ma non con il multipower, pensai che esistevano mondi di cui non ero a conoscenza, di cui la cifra caratteristica era l'incoscienza. Notando i miei occhi spalancati, l'istruttore massiccio si avvicinò ed esclamò: “Lui è forte. Lui fa le gare.” Lo disse con un'ammirazione che mi lasciò di sasso. In cinque anni che andavo in palestra non mi era mai pesato che gli altri fossero più forti, neanche che una parte delle donne fosse più forte di me. Non mi interessava molto, io avevo altre cose a cui pensare e andavo lì solo per riposare un minuto tra una serie e l'altra, e fare la doccia calda compresa nel prezzo. Ma vedendo quel ragazzino determinato, preciso, esplosivo sotto pesi più grandi di lui, realizzai per la prima volta che i miei sforzi erano patetici, e mi sentii molto piccolo. Mi girai per guardare l'istruttore, seduto a me, che lo fissava squattare. Ed ebbi l'impressione che si sentisse esattamente come me.

    Non vidi più quel ragazzo, ma nel periodo successivo mi misi per la prima volta dopo anni a fare la panca. Poche sedute, giusto per togliermi lo sfizio, ovviamente a fine allenamento. Il mio miglior risultato fu 34kg per otto ripetizioni. Quando mi vide l'istruttore massiccio, mi riprese: “La fai tutta di spalle, così ti fai male”. Effettivamente la spalla destra non apprezzava quel movimento, e scrosciava rumorosamente. “Allora insegnami”, dissi io, cedendo dopo anni di indipendenza e indifferenza. “Ma... ti interessa fare la panca?”, chiese dubbioso. “Eh, sono sulla panca, che dici?”. Lui rilanciò: “Ma ti interessa fare le gare di panca?”. “No, non esageriamo, io non potrei mai fare una gara”. “E perché?”. “Perché la perderei. Sono debole, sono anni che mi vedi, te ne sarai accorto.” “A quello si rimedia, la forza aumenta, potremmo fare una scheda mirata...”. Lo interruppi: “Se non è aumentata finora, dubito che lo farà in futuro.” “Vabbè ho capito, senti lo vuoi un consiglio? Fai il petto alla macchina dove l'hai sempre fatto, tanto non fa differenza, la panca non è per te, fidati.” Io alzai gli occhi al cielo e me ne tornai alla chest press Technogym, che con il suo movimento fluido e guidato mi aveva dato sempre soddisfazioni in sicurezza e non mi costringeva a parlare con uno che non perdeva neanche cinque minuti a spiegarmi un esercizio.

    Quando qualche settimana dopo lasciai per sempre la palestra, causa trasferimento per lavoro, non sapevo di aver perso l'occasione di imparare qualcosa. Rimpiansi gli allenamenti per qualche settimana, e poi la vita mi fece pensare ad altro. Fino a quando, anni dopo, il ferro tornò a fare capolino nei miei pensieri.

    Era una mattina di maggio del 2009, e io avevo ormai 37 anni...

    Nota: ho davvero esagerato, è mattina. Ma vorrei terminare entro domani notte, perché venerdì riparto per lavoro e starò via qualche giorno. Comunque ormai stiamo arrivando al punto...

  7. #7
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    scrivi molto bene è un piacere leggere. Con calma quando hai voglia continua.
    IO NON TREMO

  8. #8
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    Questo racconto sta appassionando anche me resto in attesa delle prossime puntate

  9. #9
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    Ho finito adesso di leggere tutti e 4 i post, mammamia che scorpacciata!!!

  10. #10
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    Sono impaziente anch'io! Questo racconto mi prende peggio di un telefilm, sei proprio bravo a scrivere complimenti!

  11. #11
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    Grazie a tutti per i commenti. Ho tenuto duro e finalmente concludo.


    Avanti e indietro, settimane e mesi fuori di casa, pasti veloci e di bassa qualità, giornate di lavoro che finiscono dopo 14-15 ore di seguito, Questa è stata la mia vita per otto anni. Con una consolazione, però: tre mesi all'anno di riposo, praticamente tutta l'estate.

    Circa 4 anni fa, mi prese una febbriciattola che non voleva andarsene, e che alla fine mi mise in fila per una visita dal mio medico di famiglia. La situazione poi si risolse da sola dopo qualche settimana e senza strascichi. Intanto, però, il medico mi aveva prescritto delle analisi del sangue. Quando gli portai il referto, disse: “E con questa anemia come va?”. “Perché, sono anemico?”, dissi stupito. “Scusi, ma non lo sapeva? Eppure ce l'ha sicuramente dalla nascita. Quando ha fatto le analisi del sangue l'ultima volta?”. Mi concentrai ma non mi veniva in mente un precedente. “Credo di averle fatte solo per la visita di leva, a 17 anni, ma nessuno mi ha mai detto niente”. Il medico rise. “Ma da bambino avrà fatto sport, si sarà accorto di avere poca resistenza. Lei ha senz'altro una ridotta capacità aerobica ”. Questo non potevo certo negarlo, ma ero incuriosito dal fatto che l'avesse capito leggendo quel foglio di cifre. “Glielo spiego in breve. Ha un'anemia microcitica, nel suo caso ha più globuli rossi del normale, ma più piccoli, e con poca emoglobina. E' ereditaria, qualcuno in famiglia ce l'ha sicuramente”. “Mio padre fu riformato dal servizio militare per anemia.” “Appunto, mi sembra strano che lei mi arrivi qui a più di trent'anni all'oscuro di tutto”. “E che ci vuole fare, son cose che capitano.” “Sì, è vero. Ah, comunque faccia molta attenzione al ferro”. “Prego?”. “Stia attento a non assumere integratori di ferro, un'alta dose le intossicherebbe il sangue.” “La carne posso mangiarla?” “Sì, l'alimentazione è libera. Piuttosto le scrivo la richiesta di analisi mirate, così scopriamo esattamente il tipo di anemia microcitica, ce ne sono vari, non ci si può fare niente e deve tenersela così com'è, ma almeno conosciamo i dettagli”.

    All'uscita dell'ambulatorio, mentre gettavo nel secchio l'impegnativa per le nuove analisi (perché stressarmi di nuovo, se tanto era inutile?), ripensavo a tutte le dolorose iniezioni di ferro che mia madre mi aveva fatto alla fine degli anni '70, e a quanto le avessi odiate. Insisteva con il medico (“è debole, diamogli un po' di ferro”) e quel disgraziato prescriveva, tanto mica le doveva fare lui. Con chi prendersela? Non si sa, e non ha più importanza, ormai. Il medico era già anziano allora, sarà morto da un pezzo, pace all'anima sua.

    In ogni caso la diagnosi mi aveva chiarito molti punti della mia storia. Ora era tutto più limpido. Non ero un bambino svogliato nelle attività sportive, la mancanza di carattere, come dicevano gl iinsegnanti di educazione fisica, non c'entrava nulla. Il motivo per cui non arrivavo in fondo alla corsa aveva una causa oggettiva. Io ero una mezza sega proprio di natura, e avrei potuto anche esibire un certificato per provarlo, se solo qualcuno me l'avesse fornito prima.

    Ma si diceva dello stress lavorativo. Ogni anno a maggio, quando finalmente staccavo e tornavo a casa a riposare, ero sempre un relitto umano. Chili, chili e ore di sonno da recuperare. Per il sonno mi bastava una settimana sul mio materasso e tornavo arzillo e pimpante, per i chili serviva un po' di tempo in più, ma le nastrine facevano sempre il loro sporco lavoro, e passato ferragosto ero rimesso a nuovo e pronto a ripartire.

    Nel maggio del 2009 qualcosa cambiò. Dopo quindici giorni di sonno e pasti regolari ero ancora provato come il giorno in cui ero tornato a casa. Fingevo di non accorgermene, pensando che l'indomani mattina sarebbe avvenuto il miracolo che ogni anno si ripeteva, e io mi sarei alzato dal letto zompettando. Invece non fu così.

    Anzi, un giorno in particolare, al risveglio misi i piedi fuori dal letto e capii cosa prova un ottantenne che deve alzarsi sulle sue gambe per iniziare la giornata. Ero pesante e debole. Le nastrine, invece di distribuire le loro energie per tutto l'organismo, si stavano depositando sull'addome. Per la prima volta in vita mia, stavo accumulando adipe. Mi ritornarono in mente le parole del mio amico, pronunciate come un vaticinio anni prima: “Con le gambette e la pancia, fidati, a 40 anni sarai così”. Aveva ragione, solo che di anni ne avevo solo 37, ma visto la vita che facevo e un punto di partenza non eccelso, avevo anticipato i tempi, invecchiando precocemente. “Che ***** la vita”, pensai, “sono già diventato vecchio. E vabbè, accettiamo anche questa, mi abituerò”. Ma di colpo ebbi paura del futuro. Se ero uno straccio ora, come sarei stato a 50 anni? E a 60? E quanto presto avrei smesso di camminare con le mie gambe?

    Giravo in ansia. Tutti, nella mia città, incontrandomi dicevano: “Certo che sembri ancora un ragazzino, non invecchi mai tu”. Volevo urlare loro: “Forse fuori, ma dentro... dentro sono vecchio, arranco e non sapete quanto rimpiango quello che ero cinque anni fa. Se è vero che l'importante non è l'apparenza ma sentirsi giovani dentro, beh io dentro mi sento vecchio, anzi lo sono”. Sentivo che dovevo fare qualcosa, trovare una soluzione, ma non sapevo quale. Di palestra non se ne parlava, quel tapis roulant avrebbe decretato la mia condanna, e ora sapevo anche il perché. A che serviva mettermi a correre, se correre mi stancava? E quelle serie interminabili alle macchine, quel fiatone, un minuto non sarebbe più bastato a farmi recuperare ossigeno. Degli altri sport, neanche a parlarne. Ma allora cosa? Cosa mi avrebbe ridato un po' di forza fisica? Qualche farmaco ricostituente? Magari un po' di ferro, pensavo sarcastico. E la papaya? Non c'era quel medico che rinvigoriva papa Wojtyła con la papaya? Sì, peccato che il papa era morto poco dopo l'intervista. Le soluzioni semplici servono solo a far arricchire qualcuno, è sempre così. Eppure ci dev'essere qualcosa che possa farmi diventare meno debole.

    Ripescai nella mia mente immagini del passato, dei flash che potessero aiutarmi, darmi un suggerimento. E mi tornava in mente Mr. T in Rocky 3, che pieno di rabbia si tirava su alla sbarra a casa, e Linda Hamilton in Terminator 2, che lo faceva in prigione, e tante altre situazioni in cui qualcuno, per trasmettere una sensazione di forza che dà lì a poco nel film sarebbe esplosa contro un malcapitato, si tirava su. Io li guardavo e pensavo: sono forti, sono in forma. Solo chi è forte e in forma può tirarsi su con la forza delle braccia. E io, sarei stato in grado di fare delle trazioni? Per un attimo immaginai me stesso nell'atto di tirarmi su con il mento oltre una sbarra. Poi, siccome passo gran parte della mia vita davanti a un computer, scrissi su google, quasi senza pensarci, “trazioni”.

    E chi cerca trazioni, trova Ironpaolo.

  12. #12
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    L'articolo “Trazioni: da zero a mito” fu la svolta. Perché io fino a quel momento non pensavo seriamente di cercare una sbarra cui aggrapparmi fisicamente, ma se lo sforzo consiste nel leggere non mi tiro certo indietro. Così cominciai.

    Per quattro settimane ho studiato, scoprendo che c'era un universo di conoscenze dietro la panca piana, che l'alimentazione dei bodybuilder non era un'alchimia di veleni, che c'era chi aveva studiato seriamente queste cose e ne parlava su internet con immediatezza, che trasmetteva il suo sapere e la sua esperienza gratuitamente. Che c'erano dei forum. E tra tutti quelli che visitai, scelsi questo. Perché mi parve il più ordinato, il più leggibile, quello meglio moderato. Per un mese non è che vi lurkai, vi divorai proprio, scoprendo che c'era sempre più da sapere, che questo mondo non era “inspira, espira, dieci ripetizioni”, ma aveva delle basi profonde, e un senso. Lo ammetto, prima di ciò anch'io pensavo che i palestrati non fossero proprio delle cime, ma dovetti ricredermi. Quello che veniva fuori prepotentemente era che si poteva migliorare studiando, che la ricerca di una tecnica sempre più efficace era fondamentale, e che insieme a voi prestanti atleti del ferro c'erano anche un nugolo di novizi che erano come me, con le domande che avrei fatto io 15 anni prima se avessi pensato di ricevere una risposta sensata da qualcuno.

    La mia conoscenza crebbe, o meglio la mia ignoranza diminuì. Ormai rispondevo a mente alle domande dei novizi, sapevo cos'era un prenanna, un Bill Starr e uno schema motorio, e continuavo a rileggere che “una sola, fottutissima, trazione è un risultato notevole”. Un pomeriggio di giugno, formalizzai la mia iscrizione a questo forum e uscii sotto una fine pioggerella per andare a vedere se nel negozio di articoli sportivi della mia città vendessero questa famosa sbarra entroporta.

    Fui fortunato, ne avevano una. Per soli 15 euro potevo finalmente applicare le mie conoscenze. Arrivai alla cassa con più rossori di un tredicenne che va a comprare preservativi da una farmacista amica di sua madre, ma nessuno fece sorrisetti e dopo due minuti avevo la confezione del bagagliaio dell'auto. Corsi a casa in uno strano stato di ipereccitazione e sistemai la sbarra. Capii subito che se fosse scivolata mentre ero appeso potevo disintegrarmi le ginocchia, per cui la montai molto bassa e sistemai dei cuscini sul pavimento. Sistemai la webcam del computer, mi misi in mutande per eliminare ogni zavorra superflua e mi appesi. Non solo non riuscivo a tirarmi su, neanche di slancio, ma dopo due minuti di tentativi le mani cominciarono a farmi un male cane. Smontai la sbarra e tornai al computer, deciso a ritentare il giorno seguente.

    Ironpaolo parla di una trazione, ma avrebbe dovuto aggiungere una trazione “onesta”, perché io per quattro settimane salii di slancio e non da fermo. Da fermo non mi riusciva. Tentavo e tentavo, ma dondolavo e basta. Provai con le negative, e continuavo a dondolare. Non mi vergogno a dire che allo scadere di un mese di quella storia, col computer pieno di video umilianti, stavo per gettare la spugna.

    “Se non ci riesco entro la fine della settimana, mollo”, dissi a mia moglie. “Ma perché, ancora provi? Credevo avessi smesso da un pezzo!”, rispose lei. “No, provo due volte a settimana, sono molto costante”. “Sei diventato più forte?”. “Direi di no, e credimi che è frustrante”. “Immagino, anzi mi stupisco che tu ancora non abbia ceduto, attento a non farti male”.

    Finalmente, nell'ultimo allenamento del mese, il miracolo si compì. Da posizione immobile, aprendo il petto, ruotando il torso di qualche grado, e tirando giù i gomiti con tutta la forza che avevo in corpo, venni su. Avevo ottenuto il mio risultato notevole. Grazie Ironpaolo. Tentai la seconda. Niente. Testimoniai a mia moglie l'accaduto. “Bene, allora ora sai fare le trazioni...”. “Ne so fare una.” “E la seconda?” “Ci sto lavorando, perché sai, io penso che una non basti, cioè per essere sicuro che le sai fare ne servono almeno due di seguito, altrimenti non hai la prova provata”. “E ci vorrà un altro mese? Ah ah ah!”. Diventai serio: “Ci volesse anche un anno, io farò la mia seconda trazione”. Con questa frase mia moglie capì che ero impazzito del tutto.

    Dopo due settimane ebbi la mia seconda ripetizione, ed esattamente tre mesi e mezzo dopo aver cominciato, a metà settembre, presi la telecamera di famiglia e immortalai me stesso di spalle mentre chiudevo con una tecnica accettabile l'incredibile e simbolico numero di 5 trazioni. Mostrai il video a un mio amico sedentario. Disse: “Sei fuori di testa”, ma non accennò al fatto che la prova non fosse niente di eccezionale. Perché lui una trazione non la sapeva fare, e io ne facevo cinque. “A che scopo lo fai?”, mi chiese “mi sembra una gran perdita di tempo”. “Perché mi emoziona”, risposi “e perché mi ha rimesso al mondo”.

    Lui non lo sapeva, ma tra faticare ad arrivare in bagno e chiudere la quinta trazione c'era un universo di studio, di speranza, di impegno, di determinazione e di forza che chi non prova sulla sua pelle non può capire.

    Da quel momento, non volli più ascoltare ragioni da parte di nessuno. Non m'interessò più niente di quello che pensavano gli altri, mia moglie compresa, sull'argomento. Perché l'argomento era a loro sconosciuto e quindi non erano titolati a dissertarne. Acquistai una panca, un bilanciere e un po' di dischi. Misi mia moglie a farmi da spotter e la vidi stupirsi insieme a me dei miei 50kg, poi acquistai un portabilanciere da 69 euro e mi misi a fare squat. Orrendevolmente, con 25kg sulle spalle, le ginocchia che crollavano in avanti e il terrore di farmi male. E lo stacco, che col caldo della stanza e il respiro da trattenere mi faceva quasi collassare in terra tra una ripetizione all'altra.

    Ormai era chiaro al mondo intero che non avrei più mollato. Per allenarmi efficacemente senza rischiare la pelle, acquistai un rack. Quando lo montai fui soddisfatto, perché non era un soprammobile della suocera che se non ti piace lo nascondi in un cassetto, quello rimane là sfrontato e devi imparare ad accettarlo (“Se mi ami , devi voler bene anche al mio rack”, ripetevo a mia moglie sempre più perplessa). Chi veniva a casa mia non capiva cosa fosse, a cosa servisse. Qualcuno si spaventava, qualcuno si appendeva. Un mio amico disse: “Ma non ha le guide, e poi non ha il coso per i pettorali”. Tentai con entusiasmo di coinvolgere tante persone, misi perfino il bilanciere sulle spalle di mia moglie (che non volle mai più ripetere l'esperienza e ancora oggi ripete: “Io odio lo squat”), e continuai a spiegare tutto a tutti, sempre, tentando di coinvolgerli. Dicevo che il fitness, il wellness, le palestre con i macchinari erano una via, ma non l'unica, e quella che avevo scelto io a parer mio era molto più efficace. Qualcuno comprese (mica frequento gente scema), ma nessuno mi seguì sulla via della forza, perché il mondo pensa che la forza non serva, o meglio serva solo se c'è uno scopo pratico, quando non è così. La cosa strana è che vogliono apparire forti, e non capiscono che la via più efficace per apparire forti è essere forti. E che quando sei forte, non ha nessuna importanza se non lo sembri, perché lo sei.

    Raggiungere i piccoli risultati che ho esposto all'inizio di questo lungo scritto mi ha richiesto molto impegno, e mi è costato anche qualche piccolo infortunio, come una violenta contrattura del piriforme che mi ha fatto zoppicare per più di un mese, all'inizio del 2010, (e che temevo fosse l'ernia che il 100% delle persone mi pronosticava). Dall'estate del 2009 mi alleno con costanza, cercando di superare i miei limiti un passo alla volta, e con la speranza di non dover abbandonare mai. Vorrei ringraziarvi tutti, uno a uno, dire a Somoja che ho letto tutto il suo diario due volte, che non vi conosco ma un po' vi conosco, che ammiro i grandi e vorrei essere d'aiuto ai piccoli, che vi sono vicino ogni volta che vi mettete sotto un bilanciere pesantissimo e all'orecchio vi arriva la voce: “Ma cosa fa quello?”.

    Perché una cosa ho capito: nel momento in cui si affronta il ferro si è soli, ma se si sceglie di affrontarlo e lo si può vincere è merito di tutti quelli che condividono questa passione. Se io ho ho preso questa decisione e qualche volta ho vinto, è merito vostro. Il ferro ha salvato la mia vita. Per questo vi dico grazie.

    Il vostro Perdij




    Post Scriptum: Nel settembre scorso ho rivisto, dopo tanto tanto tempo, l'amico che mi aveva predetto un futuro da quarantenne “pancia e gambette”. Era ingrassato e l'abitudine all'alcol gli dava un aspetto ancora più gonfio e sofferente. Quando mi ha visto è diventato simpaticamente acido: “Uh, e che vai in palestra?”. “Una cosa del genere. Perché si vede?”. “Si vede, si vede, sei in forma accidenti a te. Io invece sono ingrassato, devo mettermi a dieta ma mi piace mangiare, per cui ho deciso che mangerò solo pesce, il pesce mi piace e non ha molte calorie”. “Il pesce è buono”, ho detto io sedendomi accanto a lui in silenzio, nella stessa posizione di quando eravamo ragazzini e passavamo le nottate a fantasticare spensierati.

  13. #13
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    Bellissimo!!! Veramente bellissimo. Dal titolo pensavo a un topic un po' trash del 18enne o simile che fa BB da 3 mesi e dice "adesso è la mia vita!"... Per quanto abbiamo storie diversissime mi fa sorridere che un po' mi ci ritrovo anche io nella parte "ho trovato ironpaolo" e la palestra è cambiata.
    Ti faccio i migliori auguri.

  14. #14
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    Complimenti per la determinazione dimostrata, la voglia di misurarti con te stesso e la disponibilità a scrivere e raccontare.
    Confesso che, da storicista quale sono, mi avrebbe fatto piacere leggere di un luogo, di una città ( o più luoghi ) ove la vita si svolge, tra le tante notizie e informazioni che fornisci, per dare una collocazione spaziale e ambientale man mano che la trama si dipana.

    In bocca al lupo per tutto

  15. #15
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    Semplicemente toccante.
    La tua tentimonianza mi fa rendere conto di quanto l' animo umano è fragile ma allo stesso tempo forte, se si decide di prendere la vita di petto e con decisione...nulla è impossibile..

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