...
Sacralità e simbologia nei Giochi
L’olivo era la pianta riservata per antonomasia ai vincitori.
“ Secondo la leggenda tramandataci da Pindaro, nella sua terza Ode Olimpica, la pianta di olivo selvatico era stata piantata nell’Altis (il bosco di Olimpia) dallo stesso Eracle il quale, nello stabilire la legge, il tempo ed il recinto per celebrare i Giochi da lui stesso istituiti, aveva constatato con rammarico che in Val Cronion non esisteva pianta che fosse degna di poter coronare la fronte dei vincitori.
Allora si ricordò di aver visto l’oleastro nel paese degli Iperborei quando, per comando di Euristeo, vi era andato a dar la caccia alla cerva dalle corna d’oro e dagli zoccoli di bronzo. Tant’è che presto vi si recò di nuovo….
Osserva Pindaro che se Eracle nella sua prima impresa – quella della 'fatica' – era stato spinto da necessità, nella seconda invece fu spronato dal suo stesso genio.
Stabilì dunque che i rametti di olivo fossero tagliati dall’albero sacro mediante un coltello d’oro….”
( tratto da “Storia delle Olimpiadi moderne” di Raniero Nicolai – 1952).
l'imperatore Teodosio consegna in premio una corona di ulivo
Sopra la facciata levigata di un disco di bronzo, conservato in Olimpia tra gli ex voto del tempio di Era, si trova inciso il seguente monito: “Olimpia è luogo sacro, chi oserà mettervi piede con la forza delle armi sarà punito con il marchio del sacrilegio”.
L’iscrizione si fa risalire all’886 a.c. e non è dato sapere se tale regola fu rispettata per il secolo successivo, ossia fino al 776 a.c. anno da cui, con la registrazione della vittoria del corridore Corebo, si fa iniziare oltre alla classica cronologia Olimpica anche l’era storica della Grecia antica.
Probabilmente la violazione avvenne una volta sola, durante il lungo millennio in cui si susseguirono l’una dopo l’altra le 293 Olimpiadi precedenti al severo Editto con cui Teodosio il Grande ne troncò bruscamente la serie.
Analizziamo ora quest'ultima importante circostanza, decisiva per la conclusione dei Giochi, prima di riallacciarci alla questione posta dall'iscrizione presente sullo scudo
Dovremmo collocare l’epilogo di cui cennato con la cosiddetta “Legge de paganis”, che secondo alcuni non sarebbe stata emanata nel 394, come vuole la storiografia più accreditata, ma due anni dopo.
La cosa non è di poco conto circa il movente di quanto avvenuto. Non avrebbe infatti credibilità la tesi che sostiene che l’editto medesimo, emanato genericamente contro le superstizioni pagane, sarebbe stato solo suggerito a Teodosio dal vescovo di Milano, Ambrogio.
In realtà l’antefatto vuole che l’imperatore romano, per vendicare un proprio ufficiale che aveva perso la vita durante i moti di una protesta, aveva adunato il popolo in un circo ove un gruppo di pretoriani aveva poi compiuto una strage spietata, uccidendo quasi settemila spettatori.
A seguito di ciò era stato fatto a Teodosio espresso divieto, da parte del futuro S. Ambrogio, di entrare nella basilica milanese fintanto che non dimostrasse d’essersi pentito di quanto era nelle proprie responsabilità.
Il grande Teodosio si umiliò dunque dinanzi al vescovo di Dio ed emanò una legge nella quale stabiliva non doversi eseguire alcuna pena capitale se non decorsi 30gg. dalla pubblicazione di una sentenza.
S.Ambrogio converte Teodosio il grande
Non è certo però se questa legge – chiamata “De paganis” – fosse poi stata diretta contro gli stessi Giochi olimpici (di natura religiosa pagana), sancendone di fatto la fine.
In tutto questo periodo – ovvero dall’886 a.c. fino alla promulgazione della rammentata legge De paganis – la tregua divina, cui fa riferimento l'iscrizione commentata in premessa, sarebbe stata violata con certezza nel 364 a.c., il primo anno della 104^ Olimpiade, durante la convulsa fase che seguì la “battaglia senza lacrime” e che precedette quella di Mantinea, nella cui occasione la morte del condottiero Epaminonda dimostrò quanto effimera fosse la presunta potenza di Tebe.
( liberamente tratto da “ Palingenesi di Olimpia “ di Raniero Niccolai – 1944).
la morte di Epaminonda
...i pesi pesano, non c'è niente che pesi quanto un peso...
Segnalibri