
Originariamente Scritto da
Cesare.G
ALT! Evitiamo di creare allarmismo o di distorcere la realtà.
Quello a cui tu accenni è il cosìdetto "cuore d'atleta", clinicamente conosciuto come "ipertrofia cardiaca da sport".
Vi spiego come funziona la questione:
Il cuore è un muscolo e, come tale, subisce delle variazioni come risposta funzionale alle sollecitazioni dell'allenamento. Grazie ai meccanismi del metabolismo proteico, in seguito a un allenamento costante si ha una prevalenza dell'anabolismo sul catabolismo, con conseguente ispessimento delle strutture fondamentali del muscolo, le miofibrille. Questo fenomeno investe essenzialmente tutti i muscoli coinvolti nell'esercizio fisico e, quindi, anche il cuore.
Tale aumento delle dimensioni (ipertrofia cardiaca) è particolarmente evidente se l'esercizio fisico praticato ha caratteristiche aerobiche ed è di media o lunga durata (sport di resistenza).
L'effetto dello sport di resistenza è spiegabile dalla necessità di mantenere elevata, per un lungo periodo di tempo, la gittata cardiaca, a fronte di una pressione arteriosa di poco superiore a quella in condizioni di riposo. Questa esigenza richiede un aumento della gittata sistolica e, per far fronte a questa necessità, il fisico "risponde" con una aumento della cavità cardiaca. Questo fenomeno è facilmente quantificabile, in quanto è possibile dai dati ecocardiografici ricavare parametri significativi. Tra questi, alcuni sono utilizzati per quantificare l'ipertrofia: la massa del ventricolo sinistro (espressa in g), le dimensioni del ventricolo sinistro alla fine della diastole (in mm), la gittata pulsatoria (in ml), lo spessore della parete del ventricolo sinistro e lo spessore del setto (entrambi in mm).
Se invece gli spessori rimangono normali ma aumenta il volume delle cavità si parla di ipertrofia eccentrica, osservata in molti altri sport di resistenza [2].
L'ecocardiografia è un esame ripetibile che permette di monitorare il volume delle cavità cardiache durante tutto il corso di una stagione agonistica e durante i periodi di riposo. Infatti è stato messo in evidenza che in seguito a una riduzione o all'interruzione dei carichi di allenamento, l'ipertrofia cardiaca si vanifica, riportando il cuore a dimensioni confrontabili con i soggetti sedentari.
Oltre a influire sulle dimensioni del cuore, l'allenamento induce altre modifiche, come l'aumento della capillarizzazione del tessuto cardiaco e un aumento del flusso coronarico. Le caratteristiche del cuore d'atleta possono essere spiegate da vari fattori: l'aumento della massa plasmatica e del contenuto intracellulare di RNA (che aumenta e ispessisce le miofibrille) e l'aumento delle dimensioni dei mitocondri.
Purtroppo altri motivi posso modificare il cuore. L'ipertensione, ad esempio, è un fenomeno pericoloso per la salute del cuore ed è accompagnata da un aumento delle dimensioni del cuore stesso. Per questo motivo spesso si confonde (ma un medico non dovrebbe farlo!) l'ipertrofia del cuore di atleta con l'ipertrofia indotta dalla condizione patologica dell'ipertensione. Tuttavia vi sono due differenze fondamentali: l'aumento della pressione all'interno della cavità cardiaca e del postcarico nell'ipertrofia da ipertensione permane sempre e non è limitato al solo periodo dello sforzo muscolare. Inoltre nel caso dell'ipertrofia patologica tale aumento è decisamente più elevato.
Per concludere, non esiste alcuna prova sperimentale che il cuore d'atleta sia una condizione potenzialmente pericolosa, che sia cioè ai limiti di una condizione patologica o sia un fattore di rischio in un cuore sano. Si tratta quindi di una conferma di come di per sé l'esercizio fisico per un cuore sano non sia un pericolo, ma un modo per migliorare il suo funzionamento. Risulta però fondamentale la pratica sportiva previa la verifica non solo dell'assenza di patologie cardiache, ma anche di un basso rischio cardiovascolare.
Citazioni:
J. Morganroth et al: Comparative left ventricular dimensions in trained athletes, Ann. Intern. Med., pagg. 82-521, 1975.
M. C. Milliken et al: Left ventricular mass by magnetic resonance imaging in male endurance athletes, Am. J. Cardiol., pagg. 62-301, 1988.
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