Sto rileggendo il libro mitico di Zatsiorsky “Science and practice of strength training”. Veramente un bel libro. Di quelli che si capiscono sempre meglio rileggendoli. Ci sono tantissimi punti in cui il nostro amico mi mette in difficoltà. Quello più critico è racchiuso nella spiegazione in questi due grafici.
Per una serie di motivi sia teorici che sperimentali, la forza massima è esprimibile solamente dopo un certo tempo dall’inizio di un “gesto atletico”. C’è un ritardo fra il voler esprimere la massima forza e quando questa si manifesta
Consideriamo infatti il primo grafico: la massima forza FMax si esprime al tempo TMax (dell’ordine dei secondi, non dei giorni eh). Al momento T0 la forza è meno della massima esprimibile.
Ci sono situazioni perciò in cui non è possibile esprimere la massima forza possibile per la velocità del gesto stesso, ad esempio, nel lancio del peso o in un salto da una certa altezza. Semplicemente, non c’è il tempo materiale!
Due parametri permettono di quantificare questo fenomeno:
Il primo è l’Esplosive Strength Deficit (differenza di forza esplosiva) ed è la differenza fra la forza massima e quella del gesto che ci interessa. Chiaramente, più questo parametro è grande, meno riesco a convertire i miei massimali in forza specifica per il movimento “esplosivo” che mi interessa.
Il secondo è il Rate of Force Development (tasso di sviluppo della forza) e misura la velocità con cui genero la forza nel movimento che mi interessa. Più è grande, più forza riesco a generare a parità di tempo.
Ed è qui che il buon Zats mi mette in crisi: lui dice che esercitazioni “dinamiche” migliorano questi due parametri. In pratica, allenandomi per l’esplosività del gesto, la curva della forza massima si sposta come nel secondo diagramma. Si vede infatti che al solito istante T0 la forza è maggiore, perché vale F1 > F0. Chiaramente perché questo accada, il tasso di sviluppo della forza (le linee rosse nei due diagrammi) deve crescere. Ma Zats dice che le esercitazioni dinamiche fanno traslare la curva a sinistra e basta: non c’è nessun miglioramento della forza massimale. Ancora, dedica nel suo libro molte pagine a parlarci dei metodi massimale e submassimale per lo sviluppo della forza, e 5 righe per dare una breve e sommaria descrizione del metodo dinamico.
Ma… chi fa il Powerlifting cura l’esplosività! In particolare quei pallosi del Westside (me compreso) che ci fanno due superpalle con le sedute dinamiche, con il DE (Dynamic Effort) e l’ME (Maximal Effort), con gli elastici…
E un luminare come Zats ci liquida in 2 minuti? O siamo tutti fessi, oppure c’è qualcosa che non va.
Posto questo dubbio amletico sul forum di AOS. Voglio parlare con chi fa il Powerlifting. Sinceramente, anche a costo di sembrare un barbaro palestraro che parla solo se l’interlocutore fa quanto lui di panca, non ho voglia di discutere magari con gente uscita da 5 minuti dall’ISEF e che non “vive” questo sport. Facile sentirsi dire che fare allenamenti dinamici nel Powerlifting non serve a nulla “perché Zatsiorsky…”. Il genere di risposte che non mi piace.
Su AOS mi risponde Ardus dicendomi che anche lui ha questo dubbio. Bene. Mi sento intelligente. Poi molte altre risposte interessanti. Il concetto è che tutti “sentono” che le sedute dinamiche portano dei benefici. Ovviamente, me compreso.
Pongo il problema per lo stacco: c’è solamente la concentrica in questo movimento. Perciò viene eliminato il riflesso miotatico, cioè l’incremento di forza che si ottiene pre-stirando un muscolo. Se consideriamo infatti uno squat, nell’eccentrica il muscolo lavora in stiramento, poi c’è una rapida inversione di movimento. Nello stacco ciò non succede.
Enrico mi fa notare che se si allena con sedute dinamiche, chiude certe alzate massimali, se elimina queste sedute, lo stesso peso si blocca al ginocchio.
Mettiamola così: c’è una evidenza empirica che i lavori dinamici nel powerlifting hanno un senso e portano dei benefici. Ma Zatsiorsky dice che queste sedute non migliorano la forza massimale. Del resto, non c’è un limite di tempo per le alzate, posso fare uno stacco in 2 secondi o in 20 secondi, perciò a logica non c’è bisogno di esplosività…
Questa spiegazione non mi basta.
E in questi casi, mi piace ragionare secondo la logica di un mio amico. Parafraso il suo pensiero: “ma chi (beep) è questo Zatsiorsky? Ci abbiamo mai preso un caffè insieme? No! E allora, ci importa una sega di Zatsiorsky”.
Bene. Ora inizia la parte pallosa. Del resto, capire come funzionano le cose, significa aprire il cofano e guardare come funziona la macchina. E è sicuramente più divertente premere l’acceleratore che guardare le candele e il radiatore. Però, ogni tanto, è necessario.
Il punto è che il corpo umano è un sistema meccanicamente complesso. Tanti segmenti (gli arti), tanti giunti (le articolazioni), tanti muscoli (le forze). Il corpo è, come si dice, iperstatico: ci sono più forze per tenerlo in piedi del necessario. La sua modellazione un minimo credibile è estremamente complessa. Appena usciamo dal classico disegnino del tizio che fa i bicipiti con il manubrio (Dio quante volte l’ho visto…), ci troviamo di fronte a calcoli trigonometrici pazzeschi, a equazioni differenziali, a cose raccapriccianti quali gli angoli di Eulero, le matrici Jacobiane, le Lagrangiane…
Ho saccheggiato nel tempo le dispense di biomeccanica, di bioingegneria, di bioqualcosa. Ho trovato un sacco di materiale. Non c’è niente che in fondo mi soddisfi. Perché quello che noto è che ci si concentra su come risolvere i problemi piuttosto che a porre problemi che hanno un significato nella pratica.
Una volta ho trovato una tesina di non mi ricordo che università dove c’era un modello di movimento alla pressa orizzontale. Paccate di calcoli per dire che nella fase eccentrica c’era un grosso coinvolgimento del sartorio.
Dico… del sartorio. Uno dei muscoli più insignificanti del nostro corpo. E poi, nella pressa orizzontale qualcuno ha mai avuto DOMS al sartorio il giorno dopo? Quello laggiù in fondo alza la mano… ma vedo che ha 3 gambe, perciò non conta.
Nella tesina avevano modellato la pressa come se nell’eccentrica il peso dovesse essere tirato… in pratica, i piedi erano incollati alla pedana e il peso posto sullo stesso piano orizzontale.
Questo accade quando chi ha il compito di risolvere i problemi non ha idea del problema stesso: chi ha le competenze matematiche è un nerd che i pesi li ha visti in fotografia (ah ah ah, scusate, non ce l’ho fatta…) mentre il fissato dei pesi solitamente ha il diploma di 5° elementare preso alla CEPU.
E quando perciò le cose sono difficili, le semplificazioni fatte con l’accetta (o con la mannaia) si sprecano. Vediamo se riesco a mediare le esigenze. Vi invito a leggere anche se capisco che il tutto sia abbastanza indigesto.
Perdonatemi ma c’è un limite al rendere dolci cose che di fatto lo sono poco.
La domanda è: cosa accade quando stacchiamo il bilanciere da terra?
Consideriamo solamente il bilanciere che sale. Nel grafico successivo in alto a sinistra ho riportato una ipotetica curva della velocità del bilanciere: si incrementa e rimane costante per tutto il tempo. Questo l’ho ripreso proprio dal libro di Zats: lui dice che il bilanciere dopo una fase di assestamento, si muove a velocità costante. La curva della velocità descrive questo comportamento.
Affrontiamo ora il problema come una questione di cinematica inversa: noi sappiamo come si muove il bilanciere e vogliamo stabilire le forze che lo muovono in quella maniera. Sappiamo anche che una alzata di stacco si chiude quando il bilanciere è ad una certa altezza S0, in un tempo T0.
La velocità è legata allo spazio percorso dall’equazione integrale riportata sotto il grafico descritto. Maneggiare queste cose è complicato. E perciò introduciamo nel nostro modello una semplificazione che ha una sua ragionevolezza. Il grafico in alto a destra è la semplificazione che abbiamo scelto: una spezzata in cui la velocità cresce linearmente e poi si assesta. La crescita avviene in una frazione del tempo T0, che indichiamo con kT0 come piace ai matematici. Se k=0.2 il fenomeno avviene nel 20% del tempo totale, questo è il senso.
Va da se che il calcolo dello spazio è enormemente semplificato e l’odioso integrale scompare.
Vediamo il grafico a sinistra in basso: se un oggetto si muove a velocità variabile, deve necessariamente essere sottoposto ad una accelerazione (cioè ad una forza netta) che fa variare il suo stato. Se un oggetto si muove a velocità costante, non è soggetto a forze (o meglio, la risultante di tutte le forze a cui è sottoposto è zero)
Per fare un po’ di puzzo, l’accelerazione è la derivata della velocità. E non ci piace usare le derivate. Nella nostra semplificazione, il valore dell’accelerazione è decisamente più semplice.
Mi raccomando: è una semplificazione. L’accelerazione vera è quella a sinistra, però noi “semplifichiamo” e diciamo che il valore di picco a sinistra è pari a quello a destra. Dovete fare un atto di Fede che questa semplificazione non distorce il problema. Del resto, noi vogliamo un risultato “spendibile”, non “preciso”.
Ok, abbiamo ricavato i nostri valori di Vmax e Amax. Riporto di seguito le formule che ci interessano:
Ora scriviamo l’equazione delle forze che agiscono sul bilanciere. Mi raccomando: sul bilanciere. Queste rappresenteranno infatti il carico esterno e non il carico interno cioè le forze che i nostri muscoli devono generare.
Sul bilanciere agisce la forza di gravità data dalla massa M del bilanciere per la costante di accelerazione gravitazionale g e la forza F che noi esercitiamo con le nostre mani. Il risultato è che il bilanciere si muove:
Da cui:
Già questo ci dice una cosa importante quanto banale: se vogliamo che il bilanciere si muova, dobbiamo tirarlo per un valore di forza che è superiore alla forza peso del bilanciere stesso. Infatti rapportiamo la forza F ad un peso equivalente e poi ad una massa equivalente, come nei 3 passaggi sotto riportati.
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