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Discussione: Metodi e Sistemi applicativi nell'allenamento delle specialità di forza

  1. #46
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    Alcuni chiarimenti sulla periodizzazione in fasi.
    .................................................. .........................

    Talvolta mi è capitato di veder rivolte alcune domande nei vari siti dove ho postato gli articoli del topic di cui trattiamo. Alcune di queste sono ben poste ed indubbiamente interessanti, per cui cerco di racchiuderle in poche righe, raggruppandole per argomenti e riporto anche quì delle risposte sintetiche che ho provato a formulare.

    Relativamente, ad esempio, alla distribuzione in fasi di una routine di allenamento e quindi con riferimento al cosiddetto Sistema a fasi, mi sono state posti alcuni quesiti che ho cercato di riassumere come segue.

    - dato che le sessioni previste nel sistema a fasi sono monosettimanali, con wo di volume, si può incentrare un programma su un wo a fasi e un wo ad onde? (il primo dunque a volume, il secondo più intenso/submassimale + complementari)?

    - che caratteristica deve avere una fase? Nel passare delle settimane deve esserci uno sviluppo su tutte le fasi ... ma quali caratteristiche deve avere? Può esserci una fase intensa e una di volume? O devono entrambe essere di volume?



    Provo a chiarire.
    Direi che alla prima domanda la risposta è affermativa. Lo schema a fasi viene normalmente attuato in 1xweek, per cui nulla impedisce di ricorrere, in una seconda sessione, ad altro sistema che sia utile per varie necessità e programmazioni e, quindi, portarlo avanti contemporaneamente.
    Del resto questo è possibile in tutte quelle applicazioni che privilegiano o consentano una singola sessione allenante nel microciclo o, comunque, più sessioni ma nell'ambito di una pianificazione generale più ampia dove le sedute complessivamente possibili, relativamente all'alzata prescelta, siano previste in numero ancora maggiore.
    Per cui potremmo trovare, in un microciclo, 1 o 2 sedute organizzate a fasi e altrettante ad onda oppure 1 a fasi, 1 a onda ed 1 con sistema a numero di serie e ripetizioni costanti a carico variabile, come pure al contrario a carico invariato e serie crescenti.

    Passiamo al secondo quesito, dove la risposta è leggermente più lunga.
    Il sistema a fasi è, appunto, un...sistema, cioè un'applicazione pratica di un metodo ma non è l'unica bensì una possibile, una delle tante. Insomma un contenitore congegnato in una certa maniera, un modo di procedere nell'attuazione di un qualcosa. Ma cosa è dunque questo qualcosa? Nient'altro che la metodologia prescelta, nella fattispecie, per lavorare e che si ritenga possa, in quel determinato periodo e su quell'atleta, regalare i suoi frutti migliori, grazie all'applicazione pratica a fasi anzichè a onde o così via.
    Allora, stando così le cose, alla domanda su quali caratteristiche deve avere una fase, segue la controdomanda su quale sia il metodo di lavoro a cui ci si vuol dedicare e che si pensa possa essere estrinsecato al meglio mediante appunto una suddivisione del lavoro nelle menzionate fasi.
    Se si è off season e si ricerca il volume, si darà dunque alle fasi un connotato precipuo in tal senso, se invece si è geared e si sta puntando sulla massima esplosività, potenza e qualità tecnica, allora si riempirà quello scatolone-contenitore delle fasi con altri elementi che più interessano, al momento, e si presume facciano alla bisogna .

    Allo stesso modo, rispondo per la domanda conseguente. Certo che può esserci una fase intensa ed una di volume, perchè come al solito dipende da quello che serve all'interessato e che, ovviamente, io in questa sede non conosco.
    Posso riportare - come mi accade spesso in questi casi - un piccolo esempio pratico.
    Stiamo preparando una competizione importante e, nella bench press, uno dei miei ragazzi segue una distribuzione del lavoro in fasi.
    Ho previsto 2 fasi, una in 3x3 e l'altra che va dalle 3 alle 5x5. Bene, la prima fase è incentrata sul fermo e mira ad un' intensità piuttosto elevata, poichè deve abituare l'atleta ai carichi ed alle modalità esecutive che troverà in gara. La seconda fase è basata su un volume di mantenimento a ripetizioni più alte e percentuali di carichi inferiori.
    Coerentemente cambiano anche gli sviluppi e le progressioni nei microcicli tra le due fasi, che percorreranno un cammino parallelo nel corso delle settimane. La fase da 3x3 - basata sull'intensità e la tecnica - prevederà sempre 3 serie da 3 col fermo ma all'interno cresceranno i carichi settimanalmente e, comunque ciclicamente. La seconda fase, incentrata sul volume, avrà invece come costante un carico prefissato ma varierà nel numero delle serie da svolgere, che saranno 5 quando i carchi del 3x3 sono più bassi, poi 4 e poi 3 man mano che cresce l'intensità del 3x3, poi nuovamente 5 quando il carico del 3x3 - dopo 3 settimane - scende per non raggiungere un precoce stallo, fino a tornare a 3 sole serie di volume con l'avvicinarsi della competizione.
    In questo modo, l'applicazione del sistema a fasi si incrocia con le onde intese, però, non nello sviluppo seriale all'interno della sessione - tipo 3/2/1 - ma come pendulum dei microcicli all'interno del mesociclo.
    E' forse in contrasto tutto ciò? No, perchè sono state semplicemente scelte diverse applicazioni o sistemi per contenere tutte le variabili e le tipologie di esercitazione che si intendevano effettuare per quell'alzata e su quell'atleta, in linea - beninteso - con il metodo di lavoro precedentemente stabilito.
    Chiaro che questo discorso non si ripete pedissequamente con tutti gli atleti, neppure per la stessa alzata, nè per lo stesso atleta in relazione a tutte le 3 alzate. Quanto sopra, in conseguenza di diversi fattori e peculiarità che distinguono atleta ed atleta ed altrettanto differenti attitudini per il medesimo tra specialità e specialità.

    Volendo, è possibile anche variare il contenuto tra le fasi non soltanto nei riguardi di carichi, ripetizioni, esecuzioni o modalità di sviluppo ma persino nella tipologia di esercitazioni prescelte.
    Se si vuole, ecco un altro esempio nel merito.
    Qualche volta ho sistematizzato in fasi il lavoro per lo stacco da terra, in questo modo: 3X2 - 3X3 - 3X5, tot. 3 fasi di 3 serie l'una per complessive 9 serie.
    La caratteristica però era che il 3x2 si svolgeva sui rialzi, allenando le partenze, il 3x3 sul movimento completo e il 3x5 al pin pull per le chiusure, quindi tre esercitazioni distinte tra loro dallo stacco in se per se.
    Inutile soggiungere che ciascuna fase aveva uno sviluppo diverso nel corso dei microcicli, pur restando collegate nell'ambito della sessione singola, con recuperi variabili all'interno di ciascuna fase e tra fase e fase.

    Non per niente, all'inizio del 3D, accenno infatti alla differenza tra il metodo di lavoro e l'applicazione pratica dello stesso che se ne fa, privilegiando un sistema attuativo rispetto ad un altro, magari solamente in quel periodo della stagione ed in quella fase della carriera dell'atleta e non necessariamente replicabile tout court in futuro.
    Spero di essere stato utile e mi auguro, soprattutto, di aver reso in termini sufficientemente chiari alcune idee che potevano costituire un logico sviluppo ad argomenti in precedenza trattati.
    ...i pesi pesano, non c'è niente che pesi quanto un peso...

  2. #47
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    Ciao ragazzi, volevo fare i complimenti a Tony per il thread e chiedervi un'informazione. Il sistema di allenamento 5/3/1 di Jim Wendler in quale metodo rientra tra quelli descritti sopra? Parto dal presupposto che lo conosciate, perché il programma è fuori dal 2009 e sui forum stranieri dedicati all'allenamento per la forza se ne parla tanto, con feedback molto positivi. Ho cercato dei pareri anche su questo forum, ma il motore di ricerca mi restituisce picche. Possibile che non ne abbia mai parlato nessuno?

  3. #48
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    Ciao Barabba.

    Ti do una risposta io che sono tra i più filo-USA in ambito di sviluppo della forza e powerlifting.
    Il 531 di wendler è un metodo molto famoso nel mondo soprattutto perchè se ne fa una grossa pubblicità, è legato all'omonimo libro che puoi comprare su elitefts.
    E' in oltre, veramente, un metodo facile da fare e che da guadagni.
    Non è un metodo specifico per il powerlifting, nel quale c'è bisogno di più volume.
    Nel metodo non sono previste catene, elastici o oggetti che non siano un bilancere, un rack, una panca e molti pesi.

    Tutto parte da una progressione

    Prima settimana:
    5x65% 5x75% max 85%

    Seconda settimana:
    3x70% 3x80% max 90%

    Terza settimana
    5x75% 3x85% max 90%

    Quarta settimana
    5x40% 5x50% 5x60%

    Le percentuali sono riferite al tuo massimale - 10%.
    Nelle ultime serie di ogni settimana è previsto il massimo numero di ripetizioni che ti riescono con quel peso. Non è raro alla prima settimana farne magari 9.
    L'allenamento potrebbe venire così

    Squat max 150, max per programma = 135
    5x 87 5X100 9X114

    e così via. Il metodo funziona al meglio se tu ti fissi degli obbiettivi. Decidi di fare 10 reps di squat nell'ultima serie e falle oppure muori tentandoci.

    C'è poi un secondo esercizio, che può essere anche lo stesso esercizio del primo ma con uno schema diverso.
    C'è per esempio lo schema "boring but big", ossia come secondo movimento tieni lo stesso del primo e fai 5x10.

    Wendler concepisce lo schema originario prevedendo 4 allenamenti alla settimana.
    1giorno panca
    1giorno squat
    1giorno Military press
    1giorno stacco

    Ecco perchè non è un programma da powerlifting, ti smonti in una sessione e poi non ne hai una seconda con pesi più semplici per fare pratica.

    A chi è rivolto questo programma? A tutte le persone che vogliono diventare forti, che vogliono iniziare un approccio ai metodi USA e quindi all'ottica dei PR, i personal record.
    Si applica al calciatore, al pallavolista, al bodybuilder annoiato che ha in mente di diventare un uomo etc etc.

    Io lo applico in maniera un po impropria, lo uso come progressione nei miei Maximal effort Day. Faccio quindi poi i dinamici.
    Mio fratello l'ha fatto nudo e crudo, anzi no con delle piccole modifiche (ossia dei 5x5 di panca nel giorno dello squat e dei 8x3 di squat nei giorni di panca).
    Ha avuto ottimi risultati. Per un powerlifter però può diventare dannoso tirare serie da 6 o7 con carichi importanti.

    Non so su che metodo ricade, c'è di sicuro una fase di volume seguita da intensificazione. Quindi non è proprio una stupidata o una commercialata come si vuol far pensare.
    Anche perchè la gente che si allena con la forza ha dei numeri per controllare se sta facendo bene, e se a tutte queste persone nel mondo i numeri crescono forse è il caso di dargli una chance. Certo, non è il programma ultraspecialistico che farebbe superSquattolev Profondosky (amico di tonymusante), quindi non è di sicuro un programma da usare sotto gara per evidenti limiti.

    Degli interessanti sviluppi sono il Juggernaut training system. Fai una ricerca su google, non lo conosco benissimo neanche io.

    Ovviamente dopo aver fatto il primo ed il secondo esercizio (a mio fratello l'ho modificato in 6x4 6x3 6x2 a peso costante) puoi montarci tutti i complementari che vuoi.

  4. #49
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    Grazie per la risposta, ormai ci avevo rinunciato.
    Il libro ce l'ho e l'ho letto e riletto. Mi sono allenato con questo sistema per circa sei mesi, ma avevo eliminato la seduta dedicata al military press per via del fatto che mi alleno in un garage dove il soffitto è a 2 metri da terra. Per il resto il programma era uguale al libro, compresi gli esercizi di assistenza. Dopo quattro mesi sono andato in stallo. Facevo record ad ogni seduta, ma sentivo il bisogno di fare più volume e un circuito finale per il condizionamento. Gli ultimi due mesi sono stati di sperimentazioni.

    La modifca che ha fatto tuo fratello mettendo una seduta di squat nel giorno di panca e una di panca nel giorno di squat l'ha fatta lo stesso Wendler nel programma 5/3/1 for football, che viene descritto nell'omonimo libro.
    A proposito, ho i pdf dei libri di Wendler (5/3/1, 5/3/1 for football e il manuale base sul metodo westside) e molti altri (compresa una scansione in inglese del noto Supertraining di Siff e Verkhoshansky). Se vi interessano ditemelo che vi giro un file txt con i titoli e i link su mediafire.
    Ultima modifica di barabba; 26-11-2010 alle 06:01 PM

  5. #50
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    grazie Unge per il tuo prezioso contributo.
    Effettivamente Giuseppe è uno che ha spesso utilizzato il sistema di Wendler ed era quindi più che giusto che fosse proprio lui a presentarlo e spiegarlo, in quanto vanta diversi feedback su stesso e su altri atleti che hanno seguito il programma insieme a lui.
    In realtà, direi che il "5/3/1" non possa essere inserito in nessuna delle precedenti fattispecie trattate da me in questo 3D, poichè ha delle caratteristiche a se stanti, che esulano dai principi già descritti e dunque è bene - forse - considerarlo isolatamente (cosa che vale pure per altri sistemi o metodi d'allenamento).
    Del resto, tutte le classificazioni sono pur sempre teoriche, importanti soprattutto ai fini didattici, di facilità di studio e per catalogare con buona sintesi ed efficacia la mole di materiale che si è scelto di presentare.
    Come ho specificato nelle premesse al thread, non è mia pretesa affrontare tutti i metodi esistenti e conosciuti, anche perchè sarebbe un lavoro senza fine. Ho preferito seguire una linea discorsiva sulla base di valutazioni personali e discrezionali che possono, a buona ragione, essere integrate da ulteriori inserimenti come questo di cui trattasi ora.
    Inoltre, c'è da svolgere un'ulteriore considerazione. Alcuni schemi di allenamento sono applicazioni sistematiche di metodologie di lavoro che li possono aver ispirati e, dunque, ne costituiscono i principi base e conduttori. Altre invece sono rappresentabili come sistemi a parte, con caratteristiche proprie ed esclusive, spesso nati con obiettivi specifici in un campo determinato della teoria dell'allenamento: ad esempio, riferibili ad una disciplina atletica piuttosto che un'altra.
    Questo particolare contribuisce a far si che non tutti i sistemi possano essere ricompresi in una categoria metodologica.
    Adesso, nel caso in particolare, c'è da sottolineare - come fatto da UngePL - che il 5/3/1 non nasce specificamente per il powerlifting, anche se è stato talvolta adottato in questo ambito, perchè il substrato culturale americano (al cui interno si è diffuso) riscontra una notevole passione per l'allenamento alla forza a prescindere, in quanto tale, spesso non finalizzato ad una forma competitiva ufficiale ne ad essere conforme alle norme regolamentari poste per una specialità atletica.
    Ne consegue che il lavoro allenante di miglioramento può non seguire sempre taluni passaggi, che sarebbero altrimenti obbligati per il transfert necessario e specifico verso una disciplina sportiva codificata.
    Peraltro il sistema Wendler, prevedendo l'uso di mezzi allenanti accessori, non è comunque facilmente collocabile neppure tra i mezzi di potenziamento atletici più classici, basati sui sovraccarichi della pesistica o sui lavori a carico naturale.
    Da quì presumibilmente si può far scaturire la motivazione principale per la quale non abbia svolto l'argomento e illustrato le relative metodiche e caratteristiche.
    Ciò non toglie che lo ritengo uno dei metodi più interessanti e avvincenti nel vasto mondo della forza e delle sue applicazioni e derivazioni, malleabile e adattabile anche alla preparazione per eventi competitivi sulle "lifts", qualora opportunamente e sagacemennte condotto da tecnici preparati e soprattutto esperti nelle scelte degli adeguamenti più appropriati alla bisogna.
    Ringrazio ancora, a tal fine, l'amico Beppe per essere esaurientemente intervenuto e, ovviamente, barabba da cui è scaturita l'interessante discussione.

    Mi sono peraltro affrettato ad intervenire onde evitare che l'utente, dotato di un nick di tal memento storico, potesse pensare che intendessi riservare a lui il trattamento dell'altrettanto famigerato Ponzio Pilato......lavandomene sdegnosamente le mani!!
    ...i pesi pesano, non c'è niente che pesi quanto un peso...

  6. #51
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    interessante evoluzione del thread (mi sono perso gli ultimi post prima del 5-3-1, stasera se riesco mi rimetto in pari)
    per quanto mi riguarda ho "studiato" (letto gli articoli su t-nation e sul sito elitefts e dato una leggiucchiata al libro di wendler) questo metodo, incuriosito
    ci sono dei punti che mi lasciano perplesso (ad esempio la frequenza 1xWeek di squat e panca) ma se ha avuto un tale successo evidentemente funziona così com'è

    mi piace la logica di base perchè tiene conto del bisogno dell'atleta (soprattutto non agonista e non allenato da un coach) di affrontare delle sfide
    visto che non sempre è possibile nè opportuno sfidarsi sull'incremento del carico, wendler utilizza un approccio intuitivo per stabilire nuovi PR (i max reps) con determinate %
    probabilmente è proprio a causa di questo lavoro a cedimento con % non basse che il volume totale è piuttosto basso.

    adesso sto facendo sperimentare qualcosa di simile ad irene e in effetti mi rendo conto che sortisce l'effetto desiderato: un nuovo entusiasmo, grazie a nuove sfide

    nota:
    un altro aspetto interessante da non sottovalutare è l'approccio al ciclo consigliato dall'autore:
    take it easy all'inizio (in termini di carichi) per aumentare lentamente e progressivamente nel tempo, a cui si associa uno scarico attivo in 4°settimana.

  7. #52
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    Citazione Originariamente Scritto da Tonymusante Visualizza Messaggio
    ... Mi sono peraltro affrettato ad intervenire onde evitare che l'utente, dotato di un nick di tal memento storico, potesse pensare che intendessi riservare a lui il trattamento dell'altrettanto famigerato Ponzio Pilato......lavandomene sdegnosamente le mani!!
    Ahahahah

    Quindi è come pensavo: è talmente particolare che diventa difficile inquadrarlo in un metodo convenzionale.
    Nel suo libro, comunque, Wendler descrive ogni aspetto del programma, dalla frequenza delle sedute di allenamento, ai carichi, ai movimenti di assistenza da far seguire alle alzate principali, suggerendo le combinazioni che secondo lui sono migliori di altre.
    A mio parere il metodo 5/3/1 ha avuto tanto successo, perché si tratta di un sistema molto versatile, che si presta, con le opportune modifiche, ad essere impiegato in molte discipline sportive. Wendler ha definito un modulo base (le alzate principali fatte con lo schema 5/3/1) e ha lasciato libero l'atleta per la parte relativa agli esercizi di assistenza e al condizionamento. Intervenendo su queste ultime due varianti si può modificare il programma a piacimento e lo si può adattare alle proprie esigenze specifiche. Almeno in teoria, quindi, ogni atleta che pratica uno sport dove la forza gioca un ruolo fondamentale può prendere il modulo base del 5/3/1 e adattarlo alle proprie necessità.
    Che poi è quello che ha fatto lo stesso Wendler quando ha progettato il 5/3/1 per il football e il 5/3/1 per il powerlifting, che sta per essere pubblicato. Ha lasciato intatto il modulo di base e l'ha modificato e integrato solo in alcuni aspetti, per adattarlo alle esigenze specifiche dello sport in questione.
    Ultima modifica di barabba; 26-11-2010 alle 08:33 PM

  8. #53
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    Be se hai usato il 531 per molto tempo, forse è il caso di passare al west side!

    P.S. Se la modifica del 5x5 e 8x3 l'ha fatta pure lui, forse non sono del tutto fuso! Non ho letto quello per il football!
    Ultima modifica di ungeheuer; 26-11-2010 alle 10:20 PM

  9. #54
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    I SISTEMI PIRAMIDALI




    Chi di noi, soprattutto al principio della propria attività atletica, non ha mai effettuato per prova, curiosità o premura di acquisire un nuovo record personale una sessione d’allenamento basata sull’intensità progressivamente crescente e la proporzionale diminuzione delle ripetizioni?
    Sin dall’inizio della frequentazione di una sala pesi, la strada tendente a far salire i carichi mediante il cosiddetto sviluppo “a piramide” viene spesso proposta ai frequentatori giovani e meno giovani e stuzzica pure atleti già esperti.
    C’è una reale giustificazione alla base di questo? Vi sono solide e motivate ragioni, magari parziali e da contestualizzare che diano fondamento a tale metodologia? O trattasi viceversa di un modo di procedere approssimato e privo di condotta razionale, una scorciatoia legata a sensazioni e intuizioni per tentare di raggiungere una meta senza disperdere tempo e fatica in elaborati piani di lavoro?
    Di fatto, nell’esperienza quotidiana cui si è accennato sopra, risulta trattarsi spesso di un espediente empirico rivolto più che altro ad appagare il proprio ego, lasciando atleticamente poche tracce di un illusorio raggiungimento di uno stato di forma che attesta, nel breve periodo, ciò che già si possiede ma non costruisce prodromi per il futuro.
    Tuttavia è errato credere che il concetto di “carico a piramide”, da cui possono farsi scaturire tutti i sistemi attuativi di questa metodologia, abbia come unica realizzazione pratica l’ascesa lineare verso una vetta d’intensità che, forse, ne costituisce l’applicazione più conosciuta nel bene o nel male.
    Poiché sono del parere che, nella maggioranza dei casi, il raziocinio e le illusioni come la verità e l’errore si mischiano, dando vita nel tempo ad una creatura diversa da quello che, in origine, si proponeva il suo seminatore o ideatore e che - d’altronde - la storia ci insegna come i progressi negli studi scientifici siano in grado di porre in discussione oggi quanto sembrava valido ieri, proviamo allora con umiltà e pazienza ad esaminare, scevri da condizionamenti esterni, quanto è stato scritto e posto in essere sull’argomento da coloro che ci hanno preceduto, fossero anche in contrasto di vedute e di responsi.


    Sin dagli studi più remoti sull’allenamento della forza era chiaro che, per nostre connaturate qualità ed attitudini fisiologiche, una tensione muscolare fosse caratterizzata da impegno contemporaneo del maggior numero di unità motorie, frequenza massimale degli impulsi che le sollecitavano e ritmo sincronizzato della loro attività.
    Tutto ciò senza scendere nei particolari delle differenti discipline sportive complesse.
    Il sollevamento massimale o sub massimale di un carico risponde a questi requisiti, perché la velocità raggiunge rapidamente il valore ottimale per poi proseguire a velocità costante (Hebestreit, 1934); al contrario, il prolungarsi del lavoro ed il rallentamento della curva di velocità – con l’intervento di diversi meccanismi energetici - induce i muscoli antagonisti a partecipare nel tempo al lavoro stesso, con opera di stabilizzazione, dunque a rinforzarsi a scapito di quelli deputati all’azione concentrica e favorendo in tal modo la fase di resistenza (Vacholder, 1928).
    Se però questi assiomi parevano dimostrare che l’allenamento della forza non avrebbe avuto successo senza l’impiego di carichi massimali, altri studi sottolineavano come sul piano energetico fosse da evitare un lavoro fino all’esaurimento, nel mentre – in apparente contraddizione – si rendeva necessario ripetere sforzi massimali in numero maggiore nel piano di allenamento.
    Le attenzioni furono pertanto indirizzate verso lo studio di metodiche che permettessero un progressivo e costante avvicinamento ai carichi alti, senza che tuttavia ciò conducesse ad un superlavoro coinvolgente per un tempo prolungato il sistema nervoso, stressandolo oltre misura e creando i presupposti di un inevitabile quanto repentino stallo delle prestazioni massimali.


    Il tentativo più vecchio del quale si abbia traccia nel programma di un’applicazione a base piramidale è quello effettuato dal capitano Thomas De Lorme, a cui si attribuisce infatti la paternità del primo sistema piramidale moderno documentato, pubblicato e riferito all’allenamento della forza resistente.
    De Lorme, nell’ormai lontanissimo 1945 appena dopo la conclusione del secondo conflitto mondiale, progettò un ciclo di allenamento lungo 8 settimane, che intendeva proporre come parte dell'esercitazione militare. Esso comprendeva un prologo preparatorio di 2 settimane ed una successiva fase specifica di 6.

    Le sessioni, ripartite in 3xweek, avevano il seguente schema generale:
    1° fase)
    - I settimana
    a) 50% 10RM x5reps + 75% 10RM x5reps x 3sets,
    b) 50% 10RM x5reps + 75% 10RM x5reps x 4sets,
    c) 50% 10RM x5reps + 75% 10RM x5reps x 5sets;
    - II settimana
    a) 5x50%10RM + 5x75%10RM + 5x100%RM x 2sets,
    b) 5x50%10RM + 5x75%10RM x 7sets,
    c) 5x50%10RM + 5x75%10RM x 5sets;

    2° fase)
    a) n serie x 5x50%10RM + 5x75%10RM + 5x100%10RM,
    b) n serie x 5x50%10RM,
    c) n serie x 5x50%10RM + 5x75%10RM.

    L’autore in seguito aggiunse varianti precipue per obiettivi diversi e, tra queste, quelle riferibili al parametro forza che più ci interessa ma il primo schema stilato resta agli atti come antesignano della metodica del piramidale.
    E' chiaro che oggi uno schema così asciutto ed elementare può apparirci perfino semplicistico e cionondimeno, rapportato all'epoca, avvalorava studi fino ad allora soltanto teorici e creava le premesse per successive e più articolate razionalizzazioni del metodo in esame.

    Alcuni anni dopo, nel 1951, Zinovieff tentò di rendere più strutturato lo schema in parola e ancor di più fece Wilmore con un primo esempio di progressione inversa (di cui parleremo dopo), inserendola nell’”Oxford technique”, metodo tutto sommato piuttosto complesso.
    Nel tempo si sono quindi succedute varie sperimentazioni di piramidali semplici, a sostanziale modifica di quelli che ne erano stati i precursori, poiché il concetto di crescita del carico all’interno della seduta di allenamento, accompagnato da una diminuzione del numero delle ripetizioni, ben si confaceva ad un allenamento concreto, stimolante e di facile realizzazione anche in situazioni e logistiche sfavorevoli.
    Così Steve Holmann ricorda uno schema di piramidale di 7 serie per atleti in mesociclo di forza (1x12 – 1x10 – 1x8 – 1x6 – 1x4 – 1x2 – 1x1/2), mentre il Dott. Di Pasquale - powerlifter, campione del mondo di bench press ed esperto di medicina sportiva - era solito applicare una formula più concentrata: partiva dal proprio 5 rm stabile x 5 reps e progrediva di un 2/3% in ogni serie, scalando nel contempo una ripetizione; in tal modo la sequenza 5/4/3/2/1 lo vedeva concludere il wo con un carico in aumento ma inferiore al proprio massimale assoluto. Nella seduta successiva e speculare (ossia quella analoga del microciclo successivo) aumentava leggermente i carichi di ogni serie.


    In effetti l’obiettivo della metodologia alla base del piramidale è quello di portare l’intensità a livello massimale, sia nell’ambito della singola unità di allenamento che nel microciclo, in un volgere di tempo sufficientemente breve per raggiungere lo stato di forma ottimale.
    Il lavoro si sviluppa pertanto in senso verticale, con ridotto numero di serie (perlomeno percentualmente a quello complessivo previsto dal wo). I principi fondamentali sono: scarsa quantità, alta intensità, recuperi via via più ampi tra le serie man mano che si raggiungono i carichi più elevati.
    Un sistema di questo tipo, dunque, trova impiego per riacquistare velocemente uno stato di forma perduto, per inattività o infortunio; per raggiungere un picco nella performance durante un periodo agonistico tra competizioni ravvicinate, che abbiano in ragione di ciò indotto ad un precedente scarico; come mantenimento e consolidamento di un livello già acquisito di forza, purchè in precedenza sia stato svolto un adeguato lavoro di base con il metodo degli sforzi ripetuti (repetition effort), volto a costruire la massa e la struttura fondamento del successivo sviluppo apicale.
    Può, inoltre, essere utilizzato con successo da atleti giovani, già in possesso di buona tecnica e che abbiano conseguito confortanti risultati ma che tuttavia per curriculum, anagrafe ed esperienza possano aspirare ad un progresso e ad incrementi cospicui e stabili nell’immediato.


    Quello che conosciamo come fulcro del piramidale moderno è sostanzialmente dovuto allo schema ad "albero di Natale" dei rapporti intensità/ripetizioni elaborato da Zaciorskij - con fini di studio peraltro del tutto diversi dalla progettazione di un sistema di preparazione con procedura piramidale - e poi riprodotto con ampie modifiche e in fattispecie mirate da Dietrich Harre, Direttore Tecnico e guru della preparazione atletica nelle nazionali della ex DDR.
    La scaletta, arcinota in tutti i settori della scienza dell’allenamento, è la seguente (con i dovuti aggiustamenti per singole discipline, esercitazioni e individualità):
    100% = 1 alzata = carico massimale
    90% = 2/3 rep. = carico sub massimale
    85% = 4/5 rep. = carico molto elevato
    80% = 6/7 rep. = carico elevato
    75% = 8/9 rep. = carico medio elevato
    70% = 10/12 rep. = carico medio
    65% = 13/16 rep e oltre = carico medio debole
    55/60% = 16/20 rep e oltre = carico debole
    50% ca. e inf. = 25 rep e oltre = carico molto debole.
    Chiaramente la rispondenza delle ripetizioni alle intensità stabilite risulta tanto più veritiera con i carichi alti, quanto più approssimata e legata a vari fattori di morfologia, specialità e curriculum con i carichi medi e ancor più con quelli ridotti tipici del lavoro di endurance.

    Peraltro lo stesso Zaciorskij, nel ’66, ebbe modo di esprimere valutazioni critiche del metodo piramidale, sottolineando come la base della piramide è rappresentata dal tipo di intensità raggiungibile con maggior efficacia tramite il metodo degli sforzi ripetuti, siano essi rivolti alla forza resistente o alla resistenza in senso propriamente detto; all’opposto, il vertice della piramide è comunque allenabile con sistematiche proprie dell’esclusivo lavoro massimale (il maximal effort eseguibile o meno su gli esercizi di gara), senza quindi che appaia necessario ricorrere ad una sintesi allenante, quale quella che si vorrebbe offerta dal metodo di preparazione piramidale puro.
    In quest’ultima ipotesi potrebbe infatti verificarsi che l’atleta, sapendo di dover compiere sforzi massimali e giustamente allettato da questi, risparmi l’impegno nella prima fase di lavoro a percentuali basse e maggior numero di ripetizioni, rendendo di fatto inutile e poco economico il lavoro; oppure, concentrandosi generosamente nel rispetto di quanto previsto in tabella sulla prima parte dell’allenamento, paghi dazio ed arrivi agli sforzi massimali in condizione di scarsa freschezza atletica.
    Dunque – conclude Zaciorskij – sembrerebbe più proficuo invertire la piramide, rovesciando un lavoro piramidale classico nel suo esatto opposto: 1x100% - 1x3x90/85% - 1x5x80% (così, a titolo esemplificativo).
    Dopo di lui, altri arrivarono alle medesime conclusioni in circostanze e pianificazioni diverse: Leighton nel ’67, il menzionato Wilmore, Mc Donagh nell’84, Fleck e Kramer nell’87.
    Proprio il già citato Harre propose uno schema da 1x95/100% - 2x2x90% - 3x3x85%.
    Con dette varianti lo scopo sarebbe quello di affrontare i carichi massimali o sub massimali all’inizio, in condizione di freschezza dopo il necessario warm up e proseguire con il metodo degli sforzi ripetuti ad intensità inferiori per aumentare la quantità ed incidere, in tal modo, sul volume complessivo.

    Volendo pertanto riepilogare le più note applicazioni pratiche del metodo piramidale – catalogandole in gruppi per modalità esecutive – e senza la pretesa di stendere periodizzazioni per questi sistemi, potremmo delineare il quadro che segue con esempi annessi.

    piramidale classico:
    progressione lineare semplice,
    5x75% - 4x80% - 3x85% - 2x90% - 1x95%;

    piramide tronca:
    rivolta a sport di forza resistente,
    8x60% - 7x65% - 6x70% - 5x75% - 4x80%;

    piramide irregolare:
    dove non c'è progressione completa e fissa nel range delle reps e nei relativi intervalli tra esse,
    12x55% - 10x60% - 8x70% - 6x75% (o 5x80%) – 3 o 4x85/90% - 1x95%
    (con le varianti alternabili nelle sessioni);

    piramide inversa:
    varie applicazioni tra piramidi rovesciate semplici e irregolari,
    1x95% - 3x85% - 4x80% - 6x75% - 8x70% con recuperi maggiori all’inizio e ridotti al termine;

    piramide rafforzata:
    variante molto faticosa che consiste nell’aumentare talune serie, sporadicamente, sulla medesima intensità al fine di incrementare il tonnellaggio,
    es. 1x95% - 2x2x90% - 2x3x85% - 2x4x80% - 3x6x75% - 2x8x80%;

    piramide a ripetizioni costanti :
    ottima per atleti razionali e metodici in discipline di grande concentrazione,
    2x2x95% - 2x2x90% - 2x2x87% - 2x2x85% - 2x2x83%;

    doppia piramide:
    buon compromesso tra forza massimale e lavoro ripetuto,
    4x80% - 3x85% - 2x90% - 2x1x95% - 2x90% - 3x85% - 4x80%;

    piramide inversa ad espansione di serie:
    (la mia preferita)
    2x1x95% e oltre – 3x2x85/90% - 4x3x80/85% - facolt. 5x4/5x70-75%

    piramide a base larga :
    consigliabile per lavori lattacidi e di endurance,
    16x50% - 14x55% - 12x60% - 10x65% - 8x70% - 6x75%;
    piramide a base stretta:
    come la piramide irregolare ma con l'inizio inoltrato alla serie da 7 o 8 reps.


    Esistono poi sistemi che prevedono l’impiego del piramidale all’interno della stessa serie


    piramide a carico discendente nella serie:
    metodo che somiglia a quello degli “scarichi”, tipico del BB, prevede di scaricare il peso dopo ogni rep. proseguendo senza recupero ed effettuando comunque una singola alzata, per complessive 5-6 ripetizioni.
    Il numero delle serie utilizzato varia, secondo il livello dell’atleta, da 4 a 8 e i recuperi possono arrivare a 7/8’ ed oltre tra le serie.
    Es. 1 set x5 ripet. con 1x95% - 1x90% - 1x85% - 1x80% - 1x75%;

    piramide a carico ascendente nella serie:
    molto diffuso ma forse di scarsa praticità, può essere utile per atleti poco abituati allo sviluppo dei carichi e per alcune tipologie di lavori ipertrofici.
    Es. 1 set x 10/12 ripet. con 3x50% - 2x60% - 1x70% - 2x60% - 2/4x50%;
    un’altra variante sul tema:
    1x5 con 2x75/80% - 1x90% - 2x70%
    Ultima modifica di Tonymusante; 20-01-2011 alle 12:45 PM

  10. #55
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    Citazione Originariamente Scritto da Tonymusante Visualizza Messaggio
    Peraltro lo stesso Zaciorskij (...) sottolineando come la base della piramide è rappresentata dal tipo di intensità raggiungibile con maggior efficacia tramite il metodo degli sforzi ripetuti, siano essi rivolti alla forza resistente o alla resistenza in senso propriamente detto
    potresti approfondire questo discorso?
    thx
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  11. #56
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    Tony se in risposta a phoenix puoi/riesci ad approfondire anche il discorso piramidale inverso/diretto mi farebbe piacere... Cioè io a dirti la verità, dal basso della mia ignoranza, reputo quello inverso meno "utile" (passami il termine) di quello diretto... Sono io che non ne capisco oppure in una qualche maniera c'ho preso?

  12. #57
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    Citazione Originariamente Scritto da phoenix1927 Visualizza Messaggio
    potresti approfondire questo discorso?
    thx
    Citazione Originariamente Scritto da djdo Visualizza Messaggio
    Tony se in risposta a phoenix puoi/riesci ad approfondire anche il discorso piramidale inverso/diretto mi farebbe piacere... Cioè io a dirti la verità, dal basso della mia ignoranza, reputo quello inverso meno "utile" (passami il termine) di quello diretto... Sono io che non ne capisco oppure in una qualche maniera c'ho preso?

    Ciao ragazzi, rispondo molto volentieri.

    Non ho ben capito se la domanda di phoenix riguardasse la differenza tra i concetti di forza resistente e di resistenza generale o se invece si riferisse alle valutazioni critiche di Zaciorskij in merito ai sistemi piramidali. Ad ogni modo cercherò di svolgere un discorso riepilogativo, che racchiuda tutte le domande rivoltemi.


    Sappiamo che nell'esplicazione di un lavoro atletico il nostro corpo agisce, a grandi linee, mediante tre principali meccanismi energetici: quello anaerobico alattacido dell'ATP, quello anaerobico lattacido e quello aerobico, con tutti i possibili distinguo e le connessioni che possono ovviamente essere interposti nella definizione sommaria di dette classificazioni.
    Al tempo stesso sappiamo di poter sfruttare diverse qualità muscolari, quali la velocità, la forza, la potenza, la resistenza, la reattività, l'esplosività, la flessibilità ecc. che, di fatto, non sono poi soltanto muscolari ma agiscono sinergicamente con implicazioni di altre funzioni e caratteristiche strutturali e organiche (nervose, tendinee, articolari, cardiocircolatorie, polmonari e via dicendo).
    Alcune delle attività dipendenti dalle ricordate qualità muscolari si verificano esclusivamente all'interno di precisi meccanismi energetici: è il caso della velocità pura o della potenza (forza nell'unità di tempo), che hanno luogo solo in fase anaerobica alattacida; altre invece, come le attività di forza in generale, possono svilupparsi nell'ambito di più di un meccanismo.
    Possiamo quindi parlare di forza veloce, di forza massimale e di forza resistente, per indicare delle attività con caratteristiche diverse, dove tuttavia le qualità di forza - siano esse in regime di ATP (per es. il massimale di un pesista o lo scatto di un centometrista) oppure di lavoro lattacido (le prese di un lottatore) - restino pur sempre preponderanti; allorchè però il lavoro prolungato varcasse quella soglia limite per cui si estrinseca in presenza del lattato per proseguire in fase aerobica, a quel punto non potremmo più parlare di resistenza alla forza o forza resistente ma di resistenza vera e propria o di endurance (i confini, in dottrina, sono molto sottili).

    Ora abbiamo visto come la metodologia del "piramidale" - introdotta da De Lorme con un programma fondamentalmente rivolto alla forza resistente - aveva, all'origine, come caratteristica comune quella di iniziare da un'intensità bassa o moderata (perlomeno in relazione a quella finale) e proseguire in crescendo fino ad un'intensità elevata o massimale.
    In conseguenza di ciò e sfruttando tale filosofia, i sistemi con i quali si è operato per attuare il metodo piramidale sono risultati i più svariati. Alcuni, come il piramidale forse più comune (utilizzato poi da De Pasquale), partivano da una serie di 5 reps. per giungere alla singola; altri, come nell'esempio del piramidale tronco o in quello riportato da Holmann, iniziavano con serie da 8 o da 12 per arrivare alla fine con una singola o per interrompersi alla serie da 4; altri ancora, come quello descritto da Andrea Umili della piramide larga, avevano un range di lavoro tra le 16 e le 6 ripetizioni.
    E' evidente come non soltanto le caratteristiche ma soprattutto le finalità di ciascun sistema tra quelli descritti e basati sul concetto di piramide fossero estremamente diverse tra loro, poichè sicuramente rivolte ad atleti e situazioni sportive ben distinte o addirittura diametralmente opposte.
    Pertanto e partendo dal presupposto di voler utilizzare il metodo piramidale, avrò dinanzi a me alcune alternative ben precise: opterò per un certo sistema, se mi rivolgo ad un pesista che abbia in obiettivo uno sforzo massimale concretizzabile in una singola alzata; sceglierò invece una seconda applicazione, se alleno uno strongman dotato di forza straordinaria, che tuttavia la esplica in un lasso di tempo maggiore ed a cui interessa trasportare o resistere ad un carico eccezionale per "n" tempo, in confronto al suo avversario, piuttosto che aumentare il peso anche solo di una libbra; preferirò d'altro canto un'ulteriore tipologia se, con il piramidale, volessi allenare un BB in regime lattacido a scopo ipertrofico; infine, ancora un altro sistema, se il mio è un atleta resistente a cui interessino ondulazioni nell'intensità dei carichi o magari un giovane da sottoporre ad una preparazione fisica generale.

    In questo senso si inserisce la disamina critica di Zaciorskij.
    Egli aveva elaborato la cosiddetta "piramide delle intensità" per fissare dei parametri grazie ai quali potersi orientare, in ragione della disciplina sportiva cui si mirava, sulle percentuali di carico più idonee, sul range di ripetizioni più adatto, sul recupero più congruo.
    Non riteneva però opportuno affrontare in unica seduta l'intera scala delle opzioni.
    Sostanzialmente lo studioso sosteneva: se l'obiettivo è uno sforzo prolungato (resistenza) o di forza resistente, per il quale si giustifica il range di ripetizioni identificabile nella base della piramide in ascesa, allora perchè proseguire con un diverso lavoro ad intensità maggiore e così alta? Sembrerebbe preferibile, perchè più economico in termini sportivi, scegliere il metodo del lavoro ripetuto (repetition effort) e concentrarsi solo su esso, dopo aver individuato il numero o il range di reps necessario alla bisogna; se viceversa si tratta di specialità con implicazioni di sforzi massimali, arrivare ad essi avendo eseguito diverse serie a sostenuto impegno energetico è controproducente all'obiettivo finale; pure nell'eventualità che la disciplina comprendesse contestualmente sforzi sub massimali ed altri ad intensità moderata, parrebbe ugualmente più consono allenare, rispettivamente, ciascuno di essi in sessioni (unità di allenamento) separate, così da poter recepire il meglio da ogni seduta svolta con oggetto mirato e concentrato.
    Cionondimeno - concludeva - anche volendo ricondurre l'attuazione del piramidale all'ipotesi di un'attività atletica che preveda sforzi ad intensità diversa e oscillante, da effettuare perciò senza soluzione di continuità o, comunque, nel volgere di un tempo ristretto - il che giustificherebbe appieno l'introduzione di un sistema di allenamento misto - la soluzione più coerente sembrerebbe quella di rispettare i parametri fisiologici della successione temporale dei meccanismi energetici, rovesciando la piramide e lavorando (dopo, beninteso, il necessario riscaldamento), secondo la consecutività: forza max - sub max - forza elevata e resistente - endurance, ossia 1/2-3/4-6/8 ecc.

    Mi riallaccio a quest'ultimo punto per rispondere a Djdo.
    Vuoi sapere cosa ne penso io? Bene, fondamentalmente credo che si debba sempre tener presente il fine ultimo e prioritario del nostro allenamento o dell'atleta che alleniamo.
    Pertanto, se l'obiettivo è una disciplina di forza pura, dove abbia un senso allenare proprio la forza massimale e ci si trovi in periodo non estremamente lontano dalla stagione agonistica, mi trovo senz'ombra di dubbio d'accordo con Zaciorskij, Harre, Wilmore e Gilles Cometti.
    Vale a dire: l'allenamento su sforzo massimale o sub massimale (qualora necessario) dovrebbe avere la precedenza (dopo il necessario warm up), perchè coinvolge delle unità motorie nonchè globalmente il sistema nervoso centrale in una misura e percentuale tali da non poter altrimenti usufruirne anche solo pochi minuti dopo.
    Se del resto sono consapevole che il mio ATP mi concede 6/8" di autonomia per lo sfruttamento massimo, non posso certo coinvolgerlo adeguatamente dopo un 5x85% .
    D'altra parte una volta effettuato il lavoro di forza massima, esplicatosi in pochissimo tempo e lasciato ad energie prevalentemente mentali e nervose, sono ancora abbastanza in grado di concentrarmi per svolgere un lavoro tecnico specifico su pesi elevati che, comunque, non potrei rimandare ulteriormente, pena la stanchezza subentrante; dopo di tutto ciò, meno lucido e meno reattivo, potrei ancora essere sufficientemente fresco per un lavoro di forza generale o resistente; poi, esaurite anche quelle riserve e magari leggermente contratto, potrei ancora prolungare il lavoro di resistenza globale il quale, proprio perchè fondato sulla capacità di resistere, potrebbe regalarmi un aumento di tonnellaggio e volume complessivo.
    E' evidente che trattasi di un esempio limite per indicare un teorico ordine di priorità; non è da prendere come riferimento assoluto per esplicare sempre e comunque tutta l'attività descritta nel complesso in un'unica seduta allenante.

    Alla luce di quanto sopra e per scendere sul piano pratico, potrei descriverti - sempre a titolo esemplificativo e non per imitazione - un piano di lavoro generico eseguito da uno dei miei ragazzi nello stacco da terra.
    a) warm up e attivazione progressiva raw
    b) 2x1 full geared a percentuali crescenti nei microcicli,
    c) 2/3x2 parz.te geared di lavoro specifico di stacco deficit,
    d) 3/5x3 raw a percentuali medio elevate,
    e) 4/5 rematore bilanciere da 5/6/8 reps.
    La logica, pur chiaramente non rispondente ad un piramidale classico, risente tuttavia di alcune linee guida ad esso assimilabili.

    Ovviamente qualora lo scopo prefisso sia invece quello di allenare un atleta ad un'attività di tipo lattacido e/o ipertrofico oppure ad una disciplina con tempi prolungati ecc - tutte finalità in cui mi sono imbattutto ma molto più sporadicamente - a quel punto sia il classico piramidale crescente, così come la piramide tronca o la doppia piramide tronca (12 - 10 - 8 - 6 - 8 - 10 - 12), potrebbero avere molte più ragioni di essere preferite e rivelarsi scelte azzeccate e funzionali.
    Dunque e come al solito: est modus in rebus (....che naturalmente non vuol dire che ...c'è sempre un modo per risolvere i rebus! )

    Sperando di essere riuscito ad evadere tutti i quesiti, vi saluto



    N.B.) per un refuso di battitura nel mio post precedente - che ovviamente adesso non mi è più possibile correggere - laddove riporto l'esempio di "piramide rafforzata", ho erroneamente scritto 2x8x80% in luogo del ben più fattibile 2x8x70%, che rispecchia tra l'altro la proporzione tra il decremento del 5% nelle percenuali e l'aumento delle reps in un carico discendente.
    L'esatta applicazione pertanto sarebbe: 1x95% - 2x2x90% - 2x3x85% - 2x4x80% - 3x6x75% e, appunto, 2x8x70%.
    Ultima modifica di Tonymusante; 21-01-2011 alle 05:53 PM

  13. #58
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    Grazie mille Tony

  14. #59
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    Citazione Originariamente Scritto da Tonymusante Visualizza Messaggio
    Non ho ben capito se la domanda di phoenix riguardasse la differenza tra i concetti di forza resistente e di resistenza generale o se invece si riferisse alle valutazioni critiche di Zaciorskij in merito ai sistemi piramidali.
    la seconda che hai detto (cit.). fortunatamente la differenza tra allenamento anerobico ed aerobico la so

    in particolare mi interessavano le considerazioni sulla preferibilità al metodo degli sforzi ripetuti in caso di un'allenamento finalizzato alla forza resistente ed alla precedenza dell'allenamento neurale su quello più metabolico in caso di un allenamento di più abilità.

    grazie mille per la risposta, chiarissimo cm sempre!
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  15. #60
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    IL METODO DEGLI SFORZI MASSIMALI




    Premesse, descrizioni e considerazioni


    Si era già precedentemente accennato e si può, ad ogni buon fine, ulteriormente riassumere di come una tensione muscolare fosse essenzialmente caratterizzata da:
    - impegno contemporaneo del maggior numero di unità motorie,
    - frequenza massimale degli impulsi efferenti,
    - ritmo sincronizzato dell’attività delle unità motorie.

    Se, ad esempio, attuiamo uno sforzo muscolare non massimale la frequenza dell’impulso non raggiunge il culmine e il ritmo di attività delle unità motorie coinvolte è asincrono. Di conseguenza, con l’aumentare della fatica, tali unità smettono di lavorare - per usare termini di facile comprensione - e sono sostituite da altre; per cui, perdurando l’allenamento, migliora questo meccanismo di alternanza tra le unità motorie coinvolte ma ciò agevola la durata e la prosecuzione del lavoro e cioè favorisce il miglioramento della resistenza ma non della forza pura.

    Considerando le qualità di velocità e accelerazione che determinano le caratteristiche spaziali e temporali dei diversi movimenti e relative tensioni muscolari, sin dal 1934 Hebstreit aveva osservato che:
    a) nel sollevamento di un carico massimale o sub massimale, la velocità raggiunge celermente un certo valore e in seguito si mantiene costante; l’accelerazione oscilla di poco; la forza occorrente per vincere la resistenza opposta è all’incirca corrispondente al peso dell’oggetto da sollevare;
    b) nel sollevamento di carichi medi o deboli, se gli sforzi applicati sono massimi, l’accelerazione ha un picco iniziale, per poi scendere e infine divenire negativa nella seconda parte del movimento; la forza necessaria da applicare è dapprima superiore al peso dell’attrezzo, poi inferiore e il sollevamento si conclude per inerzia; il tempo di tensione è spesso così ridotto da non consentire influenze pratiche sullo sviluppo della forza;
    c) se gli sforzi applicati non sono massimi nel sollevamento di carichi inferiori, le curve di velocità e accelerazione saranno, invece, analoghe a quelle dello sforzo massimale ma il successivo rallentamento artificiale del movimento porterà all’impiego di muscoli antagonisti e quindi un mutato rapporto di forza (con decremento di quella massima) nei confronti della catena cinetica deputata all’esercizio.

    Inoltre, già dalle ricerche dei bulgari Mateev e Akrabov, si dimostrò che le resistenze esterne determinano diversi valori di stimoli fisiologici ai quali si contrappongono reazioni proporzionate. Di modo che, a stimoli (stressor) elevati corrisponde un’alta inibizione mentre, al contrario, stimoli deboli causano risposte deboli: da cui la deduzione che la forza massimale è allenabile e migliorabile con impieghi massimali della stessa e tensioni muscolari massime.

    Ecco perché, al fianco del metodo per gli sforzi ripetuti (di cui si è ampiamente trattato) ed a quello degli sforzi dinamici, ha sempre avuto largo impiego il cosiddetto metodo degli sforzi massimali, con opportuni distinguo.
    In buona sostanza:
    - il metodo degli sforzi dinamici: è principalmente rivolto agli atleti degli sport di velocità e potenza ove è fondamentale, con resistenze modeste, imprimere la massima velocità di esecuzione (forza nell’unità di tempo). Si possono considerare quali esempi il pugilato, tutti i tipi di lanci nell’atletica, molte arti marziali, l’attività del battitore nel baseball ecc : in essi la resistenza cui opporsi è costituita da massa non elevata (attrezzi di peso ridotto o addirittura dalla resistenza dell’aria) e, tuttavia, la velocità da imprimervi contro è basilare.
    Per tali specialità, il lavoro principale nell’allenamento della forza prevede programmi con alto impiego del metodo di sforzi dinamici e lavoro assistenziale in parte svolto con metodo di sforzi massimali e ripetuti;

    - il metodo degli sforzi ripetuti: può essere considerato ideale per attività dove sia preponderante l’impiego della forza non massimale: forza resistente o resistenza di forza, forza generale di base; possono annoverarsi gli esempi delle varie forme di lotta (libera, greco-romana, pancrazio), degli strongman, degli atleti di sport di squadra come il rugby e il football americano ed australiano; costoro pur lavorando ampiamente con detto metodo, utilizzeranno saltuariamente anche quello degli sforzi massimali e dinamici;

    - il metodo degli sforzi massimali : è da ritenersi il più adatto per atleti che debbano appunto opporsi a resistenze massimali e che, pertanto, compiano il loro sforzo in un’unica alzata o movimento (in quanto l’1RM non consentirebbe repliche) e, con altrettanta evidenza, non possano imprimere una velocità apprezzabile al gesto stesso.
    E’ chiaro che si tratterà pur sempre della massima velocità occorrente e sostenibile nella fattispecie ma non avrà, tuttavia, caratteristiche preminenti rispetto alla componente della qualità muscolare di forza massimale. Rappresentanti tipici di questa peculiarità sono praticamente tutti i sollevatori olimpici e i powerlifters, che riserveranno al peak della loro preparazione l’esercizio della forza massimale (da allenare peraltro anche off season, in svariate forme) ed avranno come imprescindibile complemento ed assistenza l’allenamento con metodi di sforzi dinamici e quello su gli sforzi ripetuti.


    Occorre però fare un’importante distinguo. Quando si parla di allenamento con il metodo degli sforzi dinamici non dobbiamo confondere questi ultimi con la velocità in senso stretto; il metodo prevede l’allenamento esplosivo di un gesto che lo richiede in proporzione alle proprie caratteristiche specifiche; ne consegue che ogni esercizio agonistico improntato alle qualità di forza può richiedere esplosività e necessita pertanto di una preparazione adeguata ma l’importanza che essa avrà all’intermo di un’attività sportiva sarà differente da applicazione motoria ad applicazione e, quindi, occuperà un ruolo diverso caso per caso ed a seconda del momento topico della stagione.
    Similmente, il metodo di allenamento degli sforzi massimali indica un obiettivo da perseguire e non una sequenza di esercitazioni; non si tratta di prevedere e tentare più volte l’1RM ma di allenarsi con protocolli che mirino allo sviluppo di quella componente basilare, piuttosto che al raggiungimento di una performance ottimale di esclusiva esecuzione dinamica oppure rispetto all’attitudine a svolgere sforzi ripetuti sempre maggiori e protratti nel tempo.



    Storia sommaria ed esemplificazioni pratiche


    Il metodo degli sforzi massimali è diventato preponderante a partire dagli anni ’50. In precedenza i pesisti dedicavano la maggior parte della loro preparazione a sforzi ripetuti, ricalcando in questo l’allenamento dei primi bodybuilders.
    Successivamente, le periodizzazioni delle stagioni agonistiche ed i contenuti delle sessioni allenanti si sono sempre più diversificate e oggi gli atleti di qualificazione olimpica utilizzano in gran parte lavori di tipo sub massimale e tendente al massimale.
    Il sommo Zaciorskij riporta il contenuto di una seduta di allenamento del campione olimpico di Roma ’60, Kurinov, categ. medi, che già 50 anni fa utilizzava pionieristicamente tale metodologia.
    Strappo in piedi: 2x60 - 2x1x80kg.
    distensione: 1x2x100 – 1x1x100 – 1x120 – 2x1x130 – 1x120 – 1x130kg.
    girate: 2x1x130kg.
    tirate: 2x90kg.
    strappo in piedi: 1x90kg.
    strappo completo: 1x105 – 2x1x110 – 1x120 – 2x1x125kg.
    tirata con strappo: 2x130 – 2x2x140 – 2x150kg.
    distensione: 2x1x100 – 1x120 – 2x1x130kg.

    Da rilevare che le serie non superavano mai le 2 reps e, cionondimeno, non trattavasi di carichi al 100% bensì di carichi sub massimali, in grado di esser sollevati da 1 a 3 volte senza eccitazioni eccessive e totali del sistema nervoso.
    La differenza percentuale tra il carico valutabile come massimale per l’allenamento e l’effettiva miglior prestazione raggiungibile in assoluto è soggettiva e perciò varia da atleta ad atleta, con escursioni più ampie man mano che si prendono in considerazione le categorie ponderali maggiori.

    Alcuni protocolli di lavoro con il metodo degli sforzi massimali sono riscontrabili in varie sistematiche di allenamento nel powerlifting o in altre specialità di forza.
    Vi rientrano parzialmente alcuni lavori di tipo piramidale, altri con le “fasi” ed implicanti almeno un gruppo di alzate singole, il carico a onda di tipo 3/2/1; inoltre qualche applicazione particolare e specifica – che mi auguro di poter esaminare in seguito nel dettaglio – come l’Hepburn System, per la parte in cui si svolgono le 3-5 serie singole, che può essere ricompreso sia in detto metodo, sia parzialmente in quello degli sforzi ripetuti a carico costante (con il gruppo da 5x5), sia infine e complessivamente nel lavoro ripetuto a distribuzione di serie.
    Un classico mesociclo che viene programmato con il metodo degli sforzi massimali è quello di “peak” che trovasi spesso al termine di un macrociclo o che talvolta è previsto dopo consistenti lavori di accumulo (ad es. dopo lo Smolov) o ancora, più in generale, si effettua prima di un’importante competizione della stagione agonistica.
    Si potrebbe citare una miriade di esempi in proposito ma ripropongo una progressione trisettimanale tipica utilizzata tanto nel WL come nel PL con le opportune discrezionali varianti:

    1^ sett. –
    sess. a) 7x2/3x80%
    sess. b) 6x2x82,5%
    2^ sett. –
    sess. a) 5x1x85% e oltre
    sess. b) 4x1x87/90%
    3^ sett. –
    sess. a) 3x1x90% e oltre
    sess. b) 2x1x92/95%
    4^ sett. –
    sess. unica) scarico
    gara

    N.B.) alle alzate singole possono essere accompagnate alcune serie a modesta intensità per il mantenimento del volume raggiunto.



    Valutazioni e differenze


    Fondamentalmente, come nella maggioranza dei casi, “virtus in medio stat” e infatti il risultato più soddisfacente si ottiene con la sapiente mistura di più ingredienti tutti utili a diversi fini e sovente capaci, in sinergia, di produrre un risultato migliore rispetto alla stessa somma aritmetica degli addendi.
    Cosicché la combinazione omogenea dei metodi di allenamento di sforzi ripetuti, massimali e dinamici trova largo impiego nelle pianificazioni più moderne e conduce alla performance più elevata.
    E’ proprio il concetto che dapprima lo stesso Zaciorskij fino poi a Verchosanskij hanno sostenuto concependo il “metodo coniugato” - che pure mi riprometto di trattare - che già dal nome sottintende l’amalgama di tanti principi e che ha trovato proprio nel settore del Pl diverse applicazioni pratiche, tra cui il celebre “Westside”.
    Tornando però al tema odierno, restano molti punti pro e contro il metodo degli sforzi massimali, che lo inducono talvolta ad essere preferito, tal’altra scartato a vantaggio del più sicuro (ancorché monotono) metodo degli sforzi ripetuti; questo aspetto andrebbe vagliato anche in rapporto a chi siano i soggetti verso i quali entrambi i metodi siano eventualmente diretti e dedicati.

    Come già detto, il metodo degli sforzi massimali è stato negli ultimi decenni quello preferito da gli atleti di più elevato livello e qualificazione.
    Sul piano puramente energetico, nel campo delle discipline prestazionali di forza pura e potenza, è da evitare un lavoro volto al cedimento che intacchi la freschezza e l’integrità atletica e conduca all’esaurimento delle forze fisiche.
    L’attività riflesso condizionata si sviluppa meglio con sforzi brevi ed intensi, qualora questi non eccedano toccando i massimali reali nell’eccitazione del sistema nervoso.
    Inoltre per un atleta agonista è importante sollevare carichi alti senza dispersione di forze in un ambito di tempo ristretto (considerando pure i necessari ampi recuperi occorrenti) e l’elevato impegno delle odierne stagioni agonistiche nonché le esigenze sociali della vita esterna porterebbero l’atleta di picco, che può permetterselo per caratteristiche personali, curriculum, spessore tecnico ed esperienza a preferire una preparazione incentrata su serie ad alzate singole o comunque a ripetizioni limitate, per evitare che un volume di lavoro, che abbia già valicato livelli limite negli anni pregressi, rischi di divenire insostenibile nel tentativo di determinare ulteriori miglioramenti.

    D’altro canto, il metodo degli sforzi ripetuti presenta altrettanti numerosi e indubitabili vantaggi da non sottovalutare e, semmai, da integrare opportunamente.
    Il lavoro di volume produce e mantiene effetti positivi sul metabolismo, quindi sui processi trofici e sugli incrementi plastici; diventa allora importante per un lavoro ipertrofico basale su cui operare i successivi transfert di forza; con esso si riduce la tetanizzazione e dunque l’assuefazione a certi stimoli massimali localizzati, che possono indurre ad una stagnazione dei risultati.
    In poche parole, l’atleta di livello è, in tale frangente, come un cane che si morde la coda: necessita di ripetere sempre più uno schema motorio ed una certa intensità per abituarsi ad essi e a non perdere il feeling con il gesto di gara ma, paradossalmente, ripetendolo soltanto e pedissequamente si stalla nel livello già conseguito.
    Si può aggiungere che gli esercizi di tipo massimale non agevolano il controllo dell’attrezzo e la padronanza tecnica dell’esecuzione e neppure la coordinazione dei movimenti.
    Il rischio di infortuni con carichi ingenti e prossimi al proprio limite è naturalmente più alto.
    Infine, in atleti di livello non apicale la percezione dell’eccellenza prestativa non risulta evidente come in quelli di maggior qualificazione, mentre l’allenamento con sforzi ripetuti ha un approccio più semplice per tutti e anche in condizioni logistiche eventualmente disagiate.


    L’importanza di tutti questi rilievi, la necessità di una linea programmatica che tenga conto, in chiave agonistica, di tutte le componenti in proporzione alle percentuali di rischio e agli elementi negativi insiti in esse nonché alle risultanti effettive delle componenti stesse, ha indotto la maggioranza dei tecnici a pianificare protocolli di lavoro che pongano sulla bilancia tutte le analisi sopra espresse e prevedano, in successione e in simultanea, l’effettuazione di lavori incentrati su più di una metodologia – sia pur in misura e frequenza diversa a seconda delle scuole di pensiero – per avvalersi dei relativi vantaggi pratici, stemperando o limitando le inevitabili controindicazioni comunque contenute.
    Ultima modifica di Tonymusante; 03-06-2011 alle 05:31 PM

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