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Discussione: L'INTENSITA': nascita, crescita e possibili evoluzioni di un mito...

  1. #1
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    Messaggio L'INTENSITA': nascita, crescita e possibili evoluzioni di un mito...

    Vorrei proporre in questo forum, che vedo essere frequentato da utenti particolarmente esperti e propositivi, una serie di interventi che ho sviluppato in un'altra sito (Bodyweb).
    Devo dire che in quella sede hanno riscosso un notevole successo per quanto concerne la visibilità e l'attenzione da parte dei frequentatori, e questo è un punto a favore.
    La stessa cosa sto provando a proporla nel forum di Giancarlo Scimeca & Silia Matta.
    Purtroppo il mio obiettivo principale non era solo quello divulgativo (altrimenti avrei scelto qualche rivista del settore), ma quello di stimolare la discussione sui vari aspetti della teoria dell'allenamento applicata alle necessità del Bodybuilding nella prospettiva di creare insieme qualcosa di nostro.
    Qualunque testo, anche celebre, di teoria dell'allenamento è stato costruito sulla base di esperienze acquisite dall'analisi di atleti impegnati nelle discipline degli sport ufficiali che, fisiologicamente parlando, distano anni luce dalle nostre esigenze ipertrofiche di bodybuilders.
    L'osservazione attenta, lo spirito critico, l'esperienza ragionata, la voglia di creare qualcosa di nostro mi ha spinto a mettere giù un discorso generale sulle caratteristiche metaboliche, fisiologiche, neuromuscolari e contrattili che sono alla base del nostro sport.
    Dalla conoscenza di queste basi teoriche, ho cercato di spingermi nella valutazione funzionale dei carichi di lavoro a cui ci sottoponiamo durante gli allenamenti, analizzandone le variabili e provando a descriverle qualitativamente, attraverso le parole, e quantitativamente, attraverso algoritmi opportunamente adattati.
    Pensate di poter contribuire a mandare avanti insieme questa ricerca?
    Spero di sì...
    Se così fosse provvederò a fare una sintesi di quanto già scritto e riporterò il tutto qui.
    Grazie per la collaborazione.
    Luca.

  2. #2
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    Sono davvero felice che questo argomento di discussione abbia suscitato l'interesse di qualcuno che è entrato a leggere...
    Proponendo l'argomento sul forum di Bodyweb, ho notato che la diatriba più grande si è avuta proprio sul rapporto tra volume ed intensità: su tale argomento si sono concentrati la maggior parte degli interventi, alcuni interessanti, altri polemici, tutti desiderosi di dare un piccolo contributo per un miglior grado di comprensione del dilemma.
    Penso che la prima cosa sensata da fare sia dare una definizione quanto più precisa possibile delle due grandezze in gioco: se dovessi dare una definizione di VOLUME, riferendoci per semplicità al singolo gruppo muscolare piuttosto che all’intero organismo, direi che si tratta della misura del lavoro a cui sottoponiamo il muscolo in un determinato allenamento.
    Si tratta di un concetto più ampio rispetto a quello comune della somma matematica dei Kg sollevati durante una sessione di training: in realtà occorrerebbe stimare il prodotto tra la forza applicata e lo spostamento subito dal carico in questione:

    Lavoro (L) = Forza applicata (F) x Spostamento (s)

    Nel sistema gravitazionale in cui tutti noi viviamo (e ci alleniamo) è valida la Legge di Newton secondo cui la forza F è pari al prodotto tra la massa M e l’accelerazione di gravità g o , è la stessa cosa, ogni corpo è sottoposto a quella che viene chiamata in fisica la sua Forza Peso. Quindi:

    Lavoro (L) = Volume (V) = Forza Peso (Fp) x Spostamento (s)

    Secondo questa teoria dunque, per calcolare il volume di lavoro non basta sommare il peso utilizzato in ogni singola ripetizione di tutte le serie, ma occorre moltiplicarlo ogni volta per lo spazio percorso dal carico durante ogni reps.
    In questa filosofia eseguire ripetizioni con movimento ridotto o parziale determina un volume di lavoro inferiore, così come un atleta di statura elevata e con arti lunghi, a parità di peso sollevato, di reps e di serie, finirà per ottenere un volume di lavoro a carico dei muscoli ben più elevato rispetto ad un atleta dalla statura più ridotta.
    Altro fattore che influenza il VOLUME, a livello di singolo gruppo muscolare, è la percentuale tra esercizi base (pluriarticolari) e di isolamento (monoarticolari).
    Se, ad esempio, prendiamo in considerazione l’esercizio di distensione su panca per i muscoli pettorali, chiunque di noi sa bene che non tutto il peso sollevato è a carico dei pettorali: con una buona approssimazione potremmo attribuire un 50-55% di lavoro al petto ed un altro 20-25% ai deltoidi anteriori ed ai tricipiti. Nel calcolo del volume di lavoro dei pettorali occorrerebbe tener conto anche di tali percentuali per suddividere in modo corretto il lavoro.
    Resta inteso che, se allarghiamo il discorso al volume di lavoro a cui è sottoposto globalmente il nostro apparato muscolare, tutti gli esercizi hanno il medesimo effetto con ripercussioni anche importanti sul raggiungimento di malaugurati stati di sovrallenamento: lavorare con molti esercizi base per raggiungere il volume prefissato per i singoli gruppi muscolari affatica molto di più l’organismo.
    Possiamo concludere che il VOLUME è una misura quantitativa del lavoro svolto durante un allenamento. Se vogliamo riprendere l’esempio a me caro dell’automobile, misura il numero di Km che l’auto percorre con un pieno di benzina ma non dà alcuna informazione su come tale distanza è stata coperta, sulla media in Km/h tenuta né sui picchi di velocità raggiunti.
    L’INTENSITA’ è l’altra faccia della medaglia, rappresenta la misura qualitativa del lavoro svolto in palestra durante un allenamento. Se consideriamo l’automobile, fornisce indicazioni sulle prestazioni ottenute in un determinato percorso (l’allenamento) con un pieno di benzina (le nostre riserve energetiche), sulla media tenuta ma non fa riferimento alla distanza totale che si riuscirà a coprire.
    Questo banale esempio permette di comprendere che VOLUME ed INTENSITA’ vanno a braccetto negli allenamenti, non ha senso parlare di una cosa senza considerare il livello dell’altra.
    Per oggi mi fermo qui, la prossima volta entrerò meglio nel concetto di intensità…
    Verrà fuori qualcosa di interessante?
    Aspetto contributi, repliche e precisazioni per migliorare quanto detto.
    Vedremo…
    A presto

  3. #3
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    Cosi descrive l'intensita Giovanni Cianti nel suo libro Bodybuilding e io mi trovo daccordo.

    Tratta dal suo libro "Bodybuilding" ecco la definizione che da dell'intensità e che io trovo formidabile:

    Per intensita si intende la qualita di lavoro svolto.
    L'intensità
    -è in stretto rapporto con la quantita del carico ,con l'aumento dell'una diminuisce l'altra
    -avvicina e determina lo stato di forma,ma non riesce a crearne le premesse,di conseguenza:
    da risultati immediati ma non stabili quindi
    deve essere sempre preceduta da un periodo di allenamento imperniato sulla quantita (nella carriera del bber o nel macrociclo) che è in grado di realizzare queste premesse
    da risultati solo se si supera una certa soglia (il sole invernale pallido e debole non abbronza,per fare un esempio caro a Mike Mentzer)
    è specifica della qualità che si vuole sviluppare

    LA SPECIFICITA
    L'intensita deve essere specifica in riferimento all'obbiettivo dell'allenamento.Nel lavoro aerobico che si propone di stressare i sistemi di trasporto dell'ossigeno è correllata alla massima frequenza cardiaca;nel powerlifting e nel weightlifting dove l'obiettivo è quello di sollevare il massimo peso,si rapporta all'alzata massimale.
    Nel bodybuilding che ricerca il temporaneo esaurimento delle riserve di energia del muscolo,la serie si fa tanto piu intensa quanto piu si riesce a prolungarla nel tempo ripetizione dopo ripetizione,superando sofferenza dolore e disagio.Se si cerca una formula puo essere la seguente:
    INTENSITA=PERCENTUALE DELL'ALZATA MASSIMALE PER IL MAGGIOR NUMERO POSSIBILE DI RIPETIZIONI. (ricordatevelo,segnatevelo !)

    Se l'80% 1rm ci consente 6 rip e ne facciamo solo 5 non lavoriamo intensamente,se ne facciamo 6 lavoriamo sufficientemente intensamente se in qualche modo ne facciamo 8 lavoriamo moolto intensamente.

    Quindi non è il peso che conta ma il peso in relazione alle rep.
    Quanlcuno ha cercato di valutare anche i tempi di recupero nella figura dell'intensità.
    Ma i tempi di recupero sono correlati al tipo di fibra e ridurli sotto i limiti prima accennati diminuisce l'intensità e rende l'esercizio controproducente.

  4. #4
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    Ottimo weboy...
    Quello che hai postato rappresenta un ottimo riassunto del concetto di intensità, pone le basi per un suo calcolo e tenta di relazionarlo con le altre variabili presenti in un programma di allenamento.
    Certo...vi sarebbe più di una precisazione da fare (probabilmente si tratta di un "veccho" testo di Cianti), poichè molte ricerche negli ultimi anni hanno notevolmente allargato le frontiere di ricerca delle cause della massima ipertrofia/iperplasia.
    Alla luce dei nuovi studi appare riduttivo affermare che il bodybuilder ricerchi solo l'esaurimento delle riserve di energia nel muscolo, però è una buona base di partenza.
    Ciao.
    Luca.

  5. #5
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    Ipertrofia, Intensità, Volume dicevamo…
    Come si ottiene l’ipertrofia? Noi tutti sappiamo che l’ipertrofia non può essere ricondotta ad un unico tipo di stimolo, ma è il risultato di un adattamento della parte delle unità motorie (alfaneurone/miofibrille) che, modificate nelle loro proteine contrattili, aumentano la loro efficienza e la loro capacità di contrazione contro una resistenza.
    Per comprendere in modo corretto il discorso occorre avere una minima padronanza della struttura fisiologica dell’apparato muscolare in tutte le sue strutture dinamiche: dalla nascita dell’impulso dal SNC (Sistema Nervoso Centrale), alla sua propagazione attraverso il SNP (Sistema Nervoso Periferico) sino alle placche motorie muscolari e, per ultimo, alle modalità di contrazione dei diversi tipi di fibre muscolari.
    Mi sforzerò di proporre un discorso semplice, in modo da non appesantire troppo il discorso teorico e fare in modo di appassionare l’eventuale lettore, spiegando la logica che soprassiede ogni passaggio.
    Spero che coloro che hanno avuto la pazienza di leggere alcuni miei vecchi contributi in altri siti non si annoieranno troppo se rispolvero qualche concetto, riportando alcune parti e magari ampliandole (chissà se riuscirò a postare qualche diagramma…) e approfondendo anche la parte relativa all’ipertrofia, dato che altri interventi erano più mirati ad illustrare i meccanismi neuromuscolari di base per l’espressione della massima accelerazione e della forza massimale.
    Partiamo dal presupposto che è alla base di tutta l'evoluzione del genere umano: il corpo umano è una macchina complessa in cui tutti i componenti interagiscono tra di loro restando comunque necessariamente in equilibrio (omeostasi). Per sua natura, il corpo umano attiva le sue risorse chimiche e meccaniche per mantenere tale equilibrio e salvaguardare la propria sopravvivenza. Qualunque cosa o evento intervenga ad alterare questo equilibrio, il corpo umano mette in moto una serie di processi atti a ristabilire l'equilibrio stesso nella maniera più efficace possibile in relazione alle energie a disposizione in quel momento, dando priorità agli aspetti vitali rispetto a quelli secondari.
    Altra particolarità, alla base della catena evolutiva, consiste nel fatto che, se attaccato nel proprio equilibrio, il corpo non solo ristabilisce l'omeostasi ma rafforza addirittura le sue capacità di difesa nei confronti degli elementi che hanno causato l'attacco.
    Tutte le reazioni del nostro corpo agli agenti esterni di vario genere possono essere letti ed interpretati in chiave di mantenimento dell'omeostasi, qualunque cosa possa alterare l'equilibrio viene vista come un potenziale pericolo alla sopravvivenza e quindi combattuta a vari livelli.
    L'obiettivo di qualunque programma di allenamento è senz'altro quello di migliorare le prestazioni di un atleta in una determinata disciplina: per un powerlifter l'obiettivo sarà l'aumento delle capacità di forza/accelerazione, per un bobybuilder l'obiettivo sarà invece quello di raggiungere la massima ipertrofia muscolare.
    Ricordando quanto detto sull'equilibrio, un corretto programma di allenamento dovrà "attaccare" quelle parti del corpo umano che sovrintendono alle capacità atletiche richieste, alterandone l'iniziale equilibrio. Il corpo umano concepirà tale allenamento come un rischio per la propria sopravvivenza ed innescherà tutta una serie di processi biochimici atti prima a ristabilizzare le parti attaccate (recupero), poi a portarle ad un grado di efficienza più elevato in modo da poter far fronte ad un eventuale ulteriore, più potente attacco esterno.
    Con questo semplice esempio serve ad illustrare uno dei cardini della teoria dell'allenamento, ossia il processo allenamentoaffaticamentorecuperosupercompensazione .
    Ma cosa accade all'interno del nostro organismo quando la nostra folle volontà lo sottopone ad uno sforzo di sollevamento?
    Se il corpo viene "attaccato" da un sovraccarico, esso attiva tutta una serie di difese atte a salvaguardare la propria integrità: tali difese fanno capo principalmente all'apparato scheletricomuscolare (ossa, tendini, articolazioni, muscoli...) e al sistema nervoso centrale e, principalmente, quello periferico.
    E' ovvio che tali apparati, come avviene per tutti gli elementi del corpo umano, sono strettamente legati tra di loro in un'unione che è alla base dell'equilibrio omeostatico.
    Tutti noi sappiamo (o dovremmo sapere) che le cellule nervose "partono" dal midollo spinale per innervare tutte le parti del nostro organismo: nella fattispecie alcune di esse si ramificano per andare ad inserirsi nei vari distretti muscolari.
    Semplificando possiamo affermare che l'unità motoria muscolare è composta da una cellula nervosa (alfa-neurone) e varie miocellule muscolari ad essa collegate.
    La contrazione muscolare avviene attraverso la trasmissione di vere e proprie onde elettriche: ogni unità motoria (alfa-neuronemiocellula) viene attivata da un impulso avente una determinata e prefissata frequenza; quindi il sistema nervoso centrale, una volta valutata la portata del carico da sollevare attraverso degli appositi "sensori" periferici, fa partire un treno di impulsi dal midollo spinale sotto forma di onde elettriche. Tali onde si propagano attraverso i neuroni sino ad arrivare alle placche motrici delle singole unità motorie muscolari: la contrazione avverrà soltanto a carico di quelle unità motorie aventi una frequenza di risposta compresa tra quelle presenti nelle onde elettriche generate dal sistema nervoso centrale per far fronte al sollevamento del carico.
    Se consideriamo la contrazione sotto questo aspetto biochimico, possiamo comprendere come una unità motoria non possa contrarsi parzialmente: se viene stimolata con onde elettriche della giusta frequenza essa si contrae nel suo complesso (ossia si contraggono tutte le miocellule connesse all'alfa-neurone) e continua a farlo sino a quando le scorte energetiche a sua disposizione saranno esaurite, altrimenti non si contrae affatto.
    Il numero di miocellule legate ad un singolo alfa-neurone nervoso è infatti variabile in funzione dei diversi gruppi muscolari e della loro specificità di azione: un muscolo che ha la funzione di assolvere un lavoro poco oneroso ma di grande precisione, avrà poche miocellule per ogni alfa-neurone; al contrario un muscolo che compie un lavoro di forza ma grossolano avrà moltissime miocellule connesse ad ogni alfa-neurone.
    Già alla luce di queste semplici nozioni è possibile comprendere come gli stimoli allenanti possono essere indirizzati sia verso la parte contrattile dell'unità motoria (i muscoli), sia verso la parte neuronale.
    Nel primo caso la finalità principale sarà quella di adattare l'apparato muscolare facendo in modo che possa immagazzinare scorte energetiche e contrattili sempre maggiori (ipertrofia), nel secondo caso sarà invece quella di allenare il sistema nervoso centrale e periferico, stimolandolo a generare onde elettriche di frequenza sempre più ampia in modo che il numero delle unità motorie interessate alla contrazione sia il maggiore possibile.
    Nel primo caso ci troveremmo a progettare un programma di allenamento teso a sviluppare la massa muscolare (parte contrattile) e solo secondariamente la forza (parte neuronale), nel secondo caso l'obiettivo sarebbe principalmente un aumento della forza, intesa come numero di unità motrici coinvolte in una singola contrazione massimale, e solo in modo marginale la massa muscolare...
    Il muscolo come noi lo intendiamo, ossia nella sua interezza, è composto da una moltitudine di unità motorie (alfaneurone/miocellule). Ogni singola cellula muscolare (miocellula) ha un aspetto fusiforme, allungato ed è disposta parallelamente alle altre miocellule, il tutto è tenuto insieme e stabilizzato dal tessuto connettivo.
    A sua volta ogni miocellula, al suo interno, contiene una grande quantità di filamenti (detti miofibrille) che hanno la stessa forma affusolata della cellula muscolare e la stessa sua lunghezza: la miocellula è dunque paragonabile ad un grande cavo elettrico al cui interno vi sono tanti altri piccoli cavetti.
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  6. #6
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    Quando il comando per la contrazione condotto dalla fibra nervosa (messaggio elettrico) raggiunge la fibra muscolare, si ha la liberazione di una sostanza (acetilcolina) che si riversa nello spazio tra la fibra nervosa e quella muscolare (spazio sinaptico) e va ad attivare recettori specifici situati sulla fibra muscolare (placca motoria).
    A questo punto avviene il passaggio dello stimolo da elettrico a chimico, in pratica il messaggio elettrico, a seconda della sua gamma di frequenza, ha la proprietà di eccitare (polarizzare) alcune molecole formando un flusso ionico che destabilizza la situazione elettrica della fibra muscolare. Questa modificazione elettrica della fibra muscolare provoca una serie di reazioni chimiche che, utilizzando le fonti energetiche disponibili, fanno in modo che i sarcomeri delle miofibrille si contraggano.
    I sarcomeri sono quindi le vere unità contrattili delle miofibrille, essi sono composti dalle due celebri proteine contrattili (actina e miosina). Terminato l’impulso o esaurite le scorte energetiche, avvengono altre reazioni chimiche che riportano la fibra muscolare ad una condizione elettrica di riposo e quindi la fibra si decontrae.
    Più che l’aspetto elettrico e di reclutamento delle fibre, l’esaurimento delle riserve energetiche a disposizione è l’aspetto più interessante per le applicazioni che se ne possono fare nella programmazione degli allenamenti per l’ipertrofia.
    Uno dei fondamenti della fisica è che in natura l'energia totale resta sempre costante o, detta in altri termini, l'energia non si crea e non si distrugge ma può essere solamente trasmessa, trasformata.
    Tutti i movimenti, le reazioni chimiche, le esplosioni, i sollevamenti, ossia tutto ciò che accade ogni giorno non sono altro che eventi che si realizzano mediante la trasformazione di energia da uno stato all'altro.
    Comprendo che questo concetto a prima vista possa sembrare un po' strano, ma se facciamo un banale esempio apparirà senz'altro di più semplice comprensione: consideriamo un'automobile con il pieno di carburante che è in movimento vario, ossia accelera, frena... e proviamo a dare un'interpretazione "energetica" di tale moto.
    L'automobile per restare in moto, ossia per permettere ai pistoni di muoversi, utilizza l'energia chimica generata dalla combustione della benzina: tale energia in parte viene dispersa (non distrutta) sotto forma di energia termica a causa degli attriti della trasmissione e degli organi interni dell'automobile, in parte viene trasformata in energia cinetica (energia del movimento) per il movimento vero e proprio dell'automobile stessa. Se si viaggia a velocità costante l'energia chimica che man mano viene utilizzata è minima poichè si consuma solo quella che serve a vincere la resistenza dell'aria, l'attrito volvente del rotolamento dei pneumatici e gli attriti interni della trasmissione: tali attriti trasformano l'energia cinetica dell'auto in energia termica tanto che se spegnessimo il motore, ossia se interrompessimo la trasformazione di energia chimica in cinetica, il movimento pian piano si esaurirebbe.
    Anche il corpo umano e la muscolatura scheletrica non sfuggono a tale legge della fisica: se consideriamo il nostro organismo come una macchina, esso non sarebbe altro che uno strumento di trasformazione dell'energia, in cui il combustibile è dato dall'energia chimica derivante dal metabolismo degli alimenti ingeriti.
    Il nostro corpo però, al contrario di un’automobile, è una macchina molto efficiente e che sa adattarsi, modificando le proprie strutture chimiche e motorie, alle variazioni energetiche per migliorare il proprio rendimento e, in definitiva, per mantenersi in vita.
    Se vogliamo continuare l'esempio precedente, potremmo considerare il corpo umano come un'automobile ipertecnologica ad altissima efficienza, dotata di un motore modulare formato dall'aggregazione di una miriade di piccoli motori autonomi (le unità motorie).
    Tali minimotori (unità motorie = alfa-neurone/miocellule) hanno una struttura molecolare variabile ed entrano in funzione in numero diverso a seconda del tipo di sforzo da affrontare.
    In realtà l'unico carburante che il corpo umano riesce ad utilizzare, ossia quello da cui riesce ad attingere l'energia che necessita per il mantenimento delle funzioni vitali ed il mantenimento dell'omeostasi, è immagazzinato in quantità variabili all'interno delle cellule stesse e prende il nome di ATP.
    L'ATP è una molecola formata da un certo numero di atomi legati tra loro da legami chimici ad alta energia specifica. Il corpo, nel momento in cui ha bisogno di energia, mette in moto una reazione chimica che determina la scissione di uno o più di questi legami per "liberare" l'energia chimica da essi contenuta.
    Una volta avvenuta la scissione, la molecola di ATP si degrada (ADP) sino a non essere più in grado di fornire ulteriore energia all'organismo.
    Le scorte di ATP presenti nelle miocellule sono di quantità variabile ma comunque limitata, di conseguenza il protrarsi di uno sforzo muscolare determina il graduale esaurimento delle scorte di ATP sino al punto in cui la contrazione dovrà necessariamente bloccarsi.
    Se le nostre capacità di performance fossero legate solamente alle scorte di ATP presenti nelle miocellule, saremmo in grado di effettuare sforzi di lievissima entità e per giunta poco prolungati nel tempo, in quanto tali scorte si esaurirebbero prestissimo.
    In realtà il corpo umano è una macchina molto efficiente e dalle risorse (quasi) infinite: la deplezione completa dell'ATP è interpretata come un fortissimo rischio per la sopravvivenza, per cui esistono 3 serbatoi di diversa grandezza da cui l'organismo attinge non per formare nuovo ATP, ma per "ricaricare" le molecole di ADP, ossia per ripristinare i legami chimici ad alta energia scissi durante lo sforzo.

    1) Il primo serbatoio è piccolissimo e contiene una sostanza chiamata FOSFOCREATINA (CP).

    2) Il secondo serbatoio è di media grandezza e contiene gli ZUCCHERI (sotto forma di GLICOGENO).

    3) Il terzo serbatoio è immenso rispetto ai primi due e contiene i GRASSI.

    Per comprendere meglio come avviene il processo di ripristino dell'ATP, possiamo continuare il parallelismo tra corpo umano ed automobile.
    Se ci sottoponiamo ad uno sforzo di intensità molto alta (come il sollevamento di carichi submassimali o uno sprint), il corpo avrà bisogno di una notevole quantità di ATP in un lasso di tempo limitato e, di conseguenza, di un sistema di ricarica molto veloce per evitare il rapidissimo esaurimento delle scorte. E' come quando il guidatore schiaccia l'acceleratore a fondo richiedendo al motore le massime prestazioni e regimi di rotazione elevati.
    In queste condizioni il corpo umano utilizza il combustibile presente nel primo serbatoio (CP) per la ricarica dell'ATP: essendo le scorte di CP anch'esse piuttosto limitate, ne consegue che gli sforzi molto intensi, ossia quelli che necessitano di una ricarica molto rapida dell'ATP, non possono essere mantenuti a lungo dall'organismo.
    Le reazioni chimiche che trasformano la fosfocreatina CP in nuovo ATP possono avvenire, all'interno delle miocellule, senza la presenza di ossigeno e non danno luogo a formazione di acido lattico (un metabolita di scarto di alcune reazioni chimiche molecolari). Tale sistema di ricarico dell'ATP viene quindi spesso definito come ANAEROBICO ALATTACIDO.
    Passiamo ora a descrivere quello che avviene quando il corpo viene sottoposti a sforzi di media intensità, quali la corsa veloce o, per restare nel tema a noi più caro, serie con carichi intorno al 70-75%, ossia quando la risintesi dell'ATP deve essere di media rapidità.
    In questo caso il combustibile utilizzato è quello presente nel secondo ipotetico serbatoio (il glicogeno): il glicogeno è presente nelle miocellule in quantità decisamente più elevata rispetto alla fosfocreatina ma comunque limitata.
    La reazione chimica che porta alla risintesi di ATP attraverso l’utilizzo del glicogeno avviene anch’essa senza che vi sia necessità della presenza di molecole di ossigeno ma, al contrario della fosfocreatina CP, produce anche una sostanza di scarto (metabolìta) detta ACIDO LATTICO. Per questo motivo tale sistema di ricarico dell’ATP viene comunemente definito ANAEROBICO LATTACIDO.
    Non è questa la sede per analizzare i mille miti che sono sorti attorno alle presunte capacità di generare dolore muscolare o quant’altro attribuite all’acido lattico, basterà invece affermare che l’eccessiva produzione di questo metabolìta determina un innalzamento dell’acidità locale delle miocellule: se consideriamo che l’allungamento e l’accorciamento delle unità motorie (la contrazione) avviene attraverso una trasmissione elettrica, un aumento dell’acidità determina una diminuzione delle capacità di conduzione elettrica e, di conseguenza, un progressivo impedimento alle contrazioni.
    L’ultimo caso da analizzare è quello che vede il nostro corpo impegnato in uno sforzo di lieve intensità e, in quanto tale, di possibile lunga durata. Se l’organismo si accorge di trovarsi in una condizione di questo tipo (footing, cyclette leggera...) comincia ad utilizzare come combustibile per la ricarica delle scorte di ATP la benzina presente nel terzo, immenso serbatoio, quello dei grassi.
    Il processo che porta alla risintesi dell’ATP a partire dagli acidi grassi (Ciclo di Krebs) è abbastanza complesso e necessita della presenza di ossigeno: produce una scarsa quantità di ATP nell’unità di tempo ma non genera acido lattico (sistema AEROBICO ALATTACIDO).
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  7. #7
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    Originally posted by Rox68
    Ottimo weboy...
    Quello che hai postato rappresenta un ottimo riassunto del concetto di intensità, pone le basi per un suo calcolo e tenta di relazionarlo con le altre variabili presenti in un programma di allenamento.
    Certo...vi sarebbe più di una precisazione da fare (probabilmente si tratta di un "veccho" testo di Cianti), poichè molte ricerche negli ultimi anni hanno notevolmente allargato le frontiere di ricerca delle cause della massima ipertrofia/iperplasia.
    Alla luce dei nuovi studi appare riduttivo affermare che il bodybuilder ricerchi solo l'esaurimento delle riserve di energia nel muscolo, però è una buona base di partenza.
    Ciao.
    Luca.
    Hai ragione,il libro l'ho preso recentemente ma è del 2000 se non erro.

  8. #8
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    Ricapitolando, i metodi di ricarico dell’ATP sono:

    1) ANAEROBICO ALATTACIDO – Fosfocreatina CP – Altissimo rendimento, scarsa durata (max 10 secondi);
    2) ANAEROBICO LATTACIDO – Glicogeno – Medioalto rendimento, mediobassa durata (max 60 secondi)
    3) AEROBICO ALATTACIDO – Grassi – Scarso rendimento, durata teoricamente illimitata.


    Da quanto detto è possibile comprendere come la macchina organismo affronti la necessità di compiere uno sforzo di varia entità: la percezione del carico e dello sforzo richiesto è ad opera di sensori periferici preposti a tale scopo; valutato il carico, il sistema nervoso centrale emette degli impulsi sotto forma di onde elettriche di varia frequenza che si propagano sino a giungere alle placche motrici delle singole unità motorie interessate. A questo punto le unità motorie che rispondono alle frequenze sopraggiunte si contraggono utilizzando come fonte energetica l’ATP presente nelle miocellule che le compongono: essendo le scorte di ATP molto modeste, in funzione dell’intensità dello sforzo richiesto e, progressivamente, della sua durata, il corpo umano sceglie il sistema di ricarico dell’ATP più opportuno per far fronte all’improvvisa richiesta e, in definitiva, per sopravvivere a quello che è visto come un attacco alla proprio equilibrio. A seconda dell’entità dello sforzo varia la frequenza delle onde elettriche generate e, quindi, variano le unità motrici interessate alla risposta: ad un impegno intenso ed energeticamente dispendioso, è associata la contrazione prevalente di unità motorie la cui struttura biochimica è per così dire ottimizzata per facilitare i processi anaerobici di risintesi dell’ATP; al contrario, a sforzi di lieve intensità il sistema nervoso chiamerà a contrarsi prevalentemente unità motorie ottimizzate al processo di ricarico aerobico dell’ATP.
    E’ importantissimo sottolineare che i tre sistemi di ricarico funzionano praticamente sempre in parallelo, ossia agiscono contemporaneamente e non in maniera esclusiva: il corpo ha un suo tempo tecnico di percezione dell’impegno motorio richiesto quindi parte sempre utilizzando al massimo ritmo i suoi sistemi più efficienti, ossia quelli anaerobici: se poi si accorge di poter far fronte allo sforzo con un sistema meno oneroso, allora attiva man mano il sistema aerobico.
    Vari studi e ricerche sono stati effettuati per tracciare le mappe delle percentuali di utilizzazione dei 3 sistemi in relazione all’intensità dello sforzo e alla sua durata: in presenza di uno sforzo anche di lieve entità, il sistema di ricarico aerobico acquisisce un contributo superiore al 50% rispetto agli altri dopo non prima di 20 minuti dall’inizio dello sforzo stesso...
    E’ chiaro che le fibre muscolari sono teoricamente in grado di utilizzare tutti e tre i sistemi a seconda delle necessità, però numerosi esperimenti hanno dimostrato che i nostri muscoli scheletrici sono composti da fibre muscolari energeticamente specializzate, ossia predisposte ad utilizzare un sistema di ricarica in maniera molto più efficiente rispetto agli altri.
    Tale caratteristica è resa possibile da un’elevata concentrazione di particolari molecole (enzimi) che favoriscono una reazione chimica piuttosto che un’altra: tra l’altro la presenza massiccia ti tali enzimi influenza anche la colorazione delle cellule muscolari.
    Le fibre specializzate nella risintesi dell’ATP attraverso i meccanismi anaerobici hanno una colorazione biancastra mentre quelle dotate di notevole capacità ossidativa (aerobica) hanno un colore rossastro.
    Proprio l’aspetto cromatico diverso di queste fibre ha spinto i ricercatori a nominare “FIBRE BIANCHE” quelle a maggiore attività glicolitica (anaerobica) e “FIBRE ROSSE” quelle a prevalente attività ossidativa (aerobica).
    Questa prima distinzione viene fatta sulla base delle diverse caratteristiche energetiche dei due tipi di fibre muscolari. Parallelamente la stessa distinzione si ripercuote sulle caratteristiche neuromuscolari: abbiamo visto che una singola unità motoria (alfa-neuronemiocellule) si contrae a causa dello stimolo ricevuto da un impulso elettrico di una determinata frequenza. Le fibre dotate di grande capacità glicolitica avranno la possibilità di utilizzare una grande quantità di energia per un breve periodo di tempo: di conseguenza le contrazioni di questo tipo di fibre sarà potente, veloce e limitata nel tempo. Proprio per questo motivo tali fibre vengono definite anche FIBRE VELOCI (ST) così come, in modo analogo, quelle a forte componente ossidativa vengono anche definite FIBRE LENTE (LT).
    Volendo scendere ancor più nel dettaglio, esistono anche delle fibre muscolari che non hanno caratteristiche energetiche così nette, ma che hanno discrete capacità glicolitiche (anaerobiche) e discrete capacità ossidative (aerobiche). Tali fibre si posizionano a livello intermedio tra le fibre veloci (o bianche o ST) e quelle lente (o rosse o LT): a seguito di intensi e mirati allenamenti, l’adattamento della matrice proteica che le compone può modificarne la struttura facendole diventare delle fibre veloci o lente a tutti gli effetti.
    A presto...

  9. #9
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    Molto dubbioso La domanda nasce spontanea


    Ma dove vuoi focalizzare l'attenzione?
    Su cosa vuoi che discutiamo?


    Tu stai facendo/riportando una serie di nozioni.

    Su quale punto particolare vuoi che si incentri il 3d?

    Per carità nn vuole essere polemica sterile. Probabilmente è solo un mio problema (sono noto per la mia distazione §83) ma non riesco a comprendere il senso

    Jarod che si incasina
    Peace & Pump

    J a r o d

  10. #10
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    Predefinito Re: La domanda nasce spontanea

    E' vero...
    Sto riportando una serie di nozioni, già espresse tra l'altro in altra sede.
    Credo che prima di entrare nel vivo dell'argomento, ossia dello studio delle variabili che influenzano un allenamento, occorre aver ben chiari alcuni presupposti fisiologici e metabolici altrimenti si rischia di non essere chiari o, peggio, di essere fraintesi.
    Ciao Luca.
    A presto...

  11. #11
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    la cultura a mio parere non guasta mai, poi ci vuole la pratica ..ma fare le cose senza capire nemmeno concettualmente cosa si sta facendo porta a gran confusione e a tanto lavoro inutile.

  12. #12
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    Predefinito

    Originally posted by weboy
    la cultura a mio parere non guasta mai, poi ci vuole la pratica ..ma fare le cose senza capire nemmeno concettualmente cosa si sta facendo porta a gran confusione e a tanto lavoro inutile.
    Parole sante!
    Non dico che non bisogna allenarsi col cuore, con la passione, con l'anima e con il sacrificio...questi sono sicuramente un valore aggiunto del nostro sport rispetto ad altri (anche se pure gli altri...); dico solo che occorre allenarsi anche con la testa (intesa come cervello), analizzando e studiando quali sono i processi fisiologici che andiamo a stimolare con i nostri sforzi, imparando ad adattare gli stimoli alle esigenze nostre e dei nostri clienti affidandoci non solo all'esperienza ma anche alla scienza visto che al giorno d'oggi è possibile farlo.
    Questo perchè, se la grande passione ci differenzia dagli altri sport, la serietà e la scientificità delle metodologie di allenamento ed alimentazione sono le cose che allontanano anni luce il nostro sport dagli altri...con il risultato che qualunque buon venditore di aria fritta può spacciarsi per esperto ed infangare la professionalità di chi si impegna da anni con serietà e rigore.
    Rispetto la tua posizione e chiudo qui la polemica poichè non sarebbe tra l'altro questa l'area giusta per continuarla.
    Un saluto.
    Luca

  13. #13
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    Occhiolino

    Rispetto la tua posizione e chiudo qui la polemica poichè non sarebbe tra l'altro questa l'area giusta per continuarla.
    Se ti riferisci alle mio non capire, sbagli. Ho specificato che è un mio problema e SOTTOLINEATO che non era una polemica. Ti arrendi già per alla prima risposta di chiarimenti sull'obiettivo?

    ... ci fai rimanere cosi a bocca asciutta?

    Io ho comprato i [# e mi sono messo sulla riva del fiume in attesa di vedere l'acqua scorrere (i tuoi ragionamenti).


    Sei tu cha parti dal presupposto che il lettore non conosce cosa dici/riporti e lo ribadisci per far si che tutti SIANO in grado di capire quello che dirai... IO NON ho capito quello di cui vuoi discutere...(sarà scemo ma non lo capisco) miKA voglio fare polemica!
    Peace & Pump

    J a r o d

  14. #14
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    Rox ti mando un PM

  15. #15
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    Originally posted by Jarod
    Se ti riferisci alle mio non capire, sbagli. Ho specificato che è un mio problema e SOTTOLINEATO che non era una polemica. Ti arrendi già per alla prima risposta di chiarimenti sull'obiettivo?

    ... ci fai rimanere cosi a bocca asciutta?

    Io ho comprato i [# e mi sono messo sulla riva del fiume in attesa di vedere l'acqua scorrere (i tuoi ragionamenti).


    Sei tu cha parti dal presupposto che il lettore non conosce cosa dici/riporti e lo ribadisci per far si che tutti SIANO in grado di capire quello che dirai... IO NON ho capito quello di cui vuoi discutere...(sarà scemo ma non lo capisco) miKA voglio fare polemica!

    Se hai letto il primo post ha spiegato cosa intende fare :

    "Purtroppo il mio obiettivo principale non era solo quello divulgativo (altrimenti avrei scelto qualche rivista del settore), ma quello di stimolare la discussione sui vari aspetti della teoria dell'allenamento applicata alle necessità del Bodybuilding nella prospettiva di creare insieme qualcosa di nostro.
    Qualunque testo, anche celebre, di teoria dell'allenamento è stato costruito sulla base di esperienze acquisite dall'analisi di atleti impegnati nelle discipline degli sport ufficiali che, fisiologicamente parlando, distano anni luce dalle nostre esigenze ipertrofiche di bodybuilders.
    L'osservazione attenta, lo spirito critico, l'esperienza ragionata, la voglia di creare qualcosa di nostro mi ha spinto a mettere giù un discorso generale sulle caratteristiche metaboliche, fisiologiche, neuromuscolari e contrattili che sono alla base del nostro sport.
    Dalla conoscenza di queste basi teoriche, ho cercato di spingermi nella valutazione funzionale dei carichi di lavoro a cui ci sottoponiamo durante gli allenamenti, analizzandone le variabili e provando a descriverle qualitativamente, attraverso le parole, e quantitativamente, attraverso algoritmi opportunamente adattati.
    Pensate di poter contribuire a mandare avanti insieme questa ricerca?
    "

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